L'angioletto
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Recensione della Redazione QLibri
Le petit saint
Vivi, lascia vivere e assapora ogni piccola, insignificante cosa.
Vladimir ha dodici anni, il piu' indipendente, il bambino grande.
Alice dovrebbe averne nove, una bella signorina che cucina e si prende cura dei fratelli.
I gemelli invece sei, inseparabili ometti dai capelli rossi, ribelli, combattivi.
Louis anni quattro, e lui e' un mondo da scoprire pagina dopo pagina. Osserva ogni cosa e si sazia di essa, ogni immagine e' nutrimento, una goccia di pioggia che scivola su un vetro non e' forse uno spettacolo meraviglioso ? L'angioletto.
Èmilie e' la piccina, un anno circa , una culla di ferro e la fragilita' della vita.
E poi Gabrielle, che esce di casa ogni mattina alle tre per comprare frutta e verdura dai grossisti e smerciarla sui marciapiedi di Parigi, pane e formaggio per i suoi piccoli.
Nessun calendario nella stanza di questa famiglia, dove le stagioni scorrono al susseguirsi dei colori degli ortaggi sulla carretta di Gabrielle.
Simenon, ritrattista elitario senza portafoglio, propone un romanzo i cui personaggi sono così concreti nella semplicita' delle parole da cui sgorgano da lasciare imbambolati di stupore.
Se nei suoi libri non Maigret ci ha abituati ad una vena profonda di malinconia e deviazione negativa, questa e' la prima volta in cui il protagonista e' un concentrato di serenita', al punto tale da avere un effetto terapeutico sul lettore.
Vita natural durante commovente, la dignita' e la forza di una madre avvolgono in un tiepido e tenace involucro amniotico, mentre l'angioletto ripete "non lo so" , quel non lo so in cui si concentra il segreto dell'onniscenza.
Un libro bellissimo, che fa stare bene, che invita a sorridere. Che porta in sè e dispensa umilmente mezzelune di labbra voltate all'insù, disegnate con un mozzicone di lapis su un pezzo di carta del pane.
Ottima Adelphi che pubblica una novita' editoriale in economica, non si puo' non leggerlo.
Io consiglio di comprarlo, una volta finito e' difficile restituirlo. Buona lettura.
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Opinioni inserite: 7
Malinconico
Simenon rimane un grande narratore, che con la solita maestria racconta la dura realtà di persone comuni, in luoghi comuni. L’ angioletto è un bambino diverso dagli altri, che cresce in una povera e numerosa famiglia, nei sobborghi di Parigi ad inizio secolo.
Taciturno, pacifico, curioso, riflessivo e complessivamente indifferente, manca di quell’aggressività comune ai suoi coetanei, e ai suoi fratelli, è sempre e solo meravigliato e stupito dalle immagini e dai colori che osserva tutti i giorni, tanto da diventare un pittore in età adulta.
Personalmente preferisco il Simenon, delle atmosfere cupe, della suspence, dei sospetti crescenti, il libro scorre ma non vola mai, il protagonista suscita simpatia e tenerezza, tutta la sua esistenza è segnata da un velo di malinconia, interessa ma non entusiasma.
Arte senza fuoco
Non è fra i migliori romanzi di Simenon ma avrebbe potuto esserlo, considerata la potenza descrittiva di ambienti e personaggi, fra vividi scorci di vita parigina nei quartieri operai e piccolo borghesi dei primi del Novecento, rappresentati sì impeccabilmente, ma con una meticolosità che alla lunga annoia.
Colpisce il realismo dei personaggi, ma le loro azioni non sono ben messe a fuoco e restano come in fase di abbozzo, lasciando chi legge nell’attesa di qualche avvenimento che segni una svolta.
Gli eventi si susseguono sotto lo sguardo pacato, attento e indifferente al contempo, di Louis, “l’angioletto”, pittore diverso dagli altri, i “maledetti”, consumati di solito dal sacro fuoco dell’Arte.
La sua è un’esistenza che procede senza sobbalzi (così, almeno, la percepisce il suo animo quieto) e che si srotola placida dall’infanzia alla vecchiaia. La narrazione manca di mordente, procede con lentezza, non annoia né avvince particolarmente, e il lettore arriva all’ultima pagina come un passeggero distratto a destinazione.
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- no
Amaro, comunque
Romanzo atipico rispetto a quelli di Simenon da me letti, centrato su una singola esistenza, dai primi anni dell’infanzia fino alla vecchiaia o quasi. Vive di quella capacità di godibilissima caratterizzazione che è tipica della scrittura del belga, capace sempre di regalare personaggi a tutto tondo, ambientazioni di un realismo impressionante e poetico al tempo stesso, romanzo però privo quasi di una trama, delineata solo a grandi linee e per tappe esistenziali.
Louis Cuchas è un bambino piccoletto, silenzioso, tardivo nelle tappe di sviluppo fisico e cognitivo, un bambino che osserva la realtà nel quale è immerso in modo inconsapevole, registrando in quadri visivi dettagli e particolari inutili sul momento per una comprensione della sua esistenza e che, da adulto, riuscirà a sistemare in una netta lettura attraverso l’arte. Definito dai suoi compagni di classe “l’angioletto” per l’estrema bontà che lo porta a soprassedere ad ogni loro angheria, stampa fin da piccolo sul viso un sorriso che pare beffeggiare il mondo intero annullandolo nelle sue miserie per porsi su un piano più alto- apparentemente è invece relegato nella lettura altrui in quello degli ultimi, dei falliti, dei miseri, degli inutili- quel piano al quale giunge con la capacità di cogliere l’essenziale nel particolare e di riuscire a rappresentarlo perpetrando il mistero dell’arte con la sua pittura. Un istinto, una necessità, un bisogno che irrompe nella sua vita con prepotenza e che accetta di assecondare rimanendo sempre, in fondo, quel bambino strano, incompreso, indietro su tutti ma il più brillante a scuola, un ragazzetto il cui sguardo sul mondo non è stato inquinato o deturpato neanche dalla più bieca realtà nella quale ha vissuto.
Godibile lettura la cui atipicità mi ha spiazzata permettendomi un giudizio di piacevolezza non completo come accaduto con altri testi. Lo consiglio sebbene non l’abbia ben apprezzato.
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La meraviglia di Louis
Sotto la scorza di una tranquilla vita borghese, di sorrisi cortesi e grigie abitudini, si può celare un magma di desideri inconfessabili e pulsioni oscure. È in questo ribollire di tensioni e debolezze umane che Simenon si addentra spesso nei suoi romanzi per raccontarci, in fondo, la parte più oscura dell’umanità, il male. La prima sensazione leggendo “L’angioletto” è quindi di profondo stupore di fronte a un personaggio che incarna, al contrario, l’essenza di un’umanità buona, positiva, felice.
Il romanzo narra la storia del pittore Louis Cuchas, ripercorrendo gli oggetti e gli eventi rimasti impressi nella sua memoria. La carretta su cui la madre ogni giorno vende frutta e verdura per racimolare qualche soldo. La stufa in cucina, su cui spesso non c’è proprio nulla da cuocere. I pagliericci accostati su cui dormono i sei fratelli, separati con un lenzuolo bucato dall’unico letto in cui la madre porta ogni sera un uomo diverso.
Povertà e promiscuità, è questo che caratterizza la misera infanzia di Louis in rue Mouffetard. Eppure, leggendo queste pagine, non proviamo amarezza e sofferenza perché, sebbene raccontata da una voce esterna onnisciente, la storia è filtrata attraverso la placida serenità di un bambino dal sorriso dolce e lo sguardo limpido. Un bambino la cui positività non sembra poter essere scalfita da nulla, né dalle risate di scherno dei coetanei, né dalla malvagità degli uomini, neppure dal dolore della morte.
“Louis era felice. Guardava. Passava di scoperta in scoperta, ma non si sforzava di capire. Era appagato anche solo contemplando una mosca sul muro di gesso o le gocce di pioggia che scivolavano sul vetro.”
Il tempo passa e la famiglia si evolve, con la partenza, via via, da rue Mouffetard dei suoi componenti. E mentre tutti si affannano all’inseguimento di ricchezza e affetti, andando incontro a un destino di morte, rassegnazione o criminalità, è solo Louis, l’unico che nulla cerca, a trovare successo nel compimento della propria passione artistica. Spinto da un unico desiderio, quello di riuscire a rappresentare la purezza dei colori che fanno vibrare il mondo.
È sempre straordinario constatare come Simenon riesca con estrema naturalezza a presentarci situazioni e personalità al limite della realtà. Questa volta l’autore belga sembra smussare la sua penna tagliente, lasciando che una brezza di lievità e di poesia permei le pagine, per dipingere il germe migliore dell’umanità, la bontà. La vita sa essere squallida e feroce, ma è colui che riesce a non esasperare la propria rabbia, ad accontentarsi di quel poco che ha, a vedere la luce e il colore oltre il grigiore della propria esistenza, che potrà dirsi felice. Utopistico, forse. Ma profondamente e balsamicamente benefico.
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La grandezza delle piccole cose
Toccante e intensa questa storia di una famiglia povera e difficoltosa, una madre e sei figli e una figura di padre che non esiste, diversi uomini si avvicendano in casa a condividere anche solo per una notte un giaciglio umile con una donna sola ma onesta. Fratelli di padri diversi, fratelli e sorelle che creano dinamiche complesse in una casa molto povera e piccola, in un quartiere povero di Parigi a cavallo tra fine ‘800 e inizio ‘900. In questo mondo difficile spicca la figura eccezionale di Louis, un bambino che cresce in questa miseria con la superiorità d’animo delle grandi persone. I fratelli sbandano seguendo uno scontato destino, Louise subisce, ma non si lascia andare, con umiltà vive il suo destino. Grandioso il senso di felicità e di realizzazione di questo personaggio, Simenon scrive in maniera sublime, la malinconica atmosfera decadente e umile contrasta con il senso di gioia, che nonostante tutto alberga in Louise. Un cammino difficile che lo porta all’età adulta con una filosofia di vita vincente, forse la luce che vive in lui e lo porta a realizzare i suoi sogni, una passione inseguita per tutta la vita, una vita costruita giorno per giorno con continui sacrifici e dolori che potrebbero farlo deragliare. L’amore per la madre è qualcosa di eccezionale, il senso della famiglia nonostante tutte le condizioni avverse. In questo bellissimo romanzo Simenon ci dimostra ancora una volta cosa significhi essere grandi scrittori, ci insegna che non è necessario usare parole complesse e trucchi da illusionisti per stupire e colpire il lettore.
Le sue storie rimangono dentro di noi per sempre, i suoi personaggi sono talmente vivi e forti da non rimanere chiusi nelle pagine di un libro, possono essere uno spunto per affrontare le nostre vite in maniera più profonda, Louis è uno di questi personaggi e forse anche mamma Gabrielle lo è, con le sue debolezze e le sue difficoltà.
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L'eterno ragazzino
Ammiro Simenon per il suo stile narrativo e per la sua non comune capacità nell’accurata descrizione di vari personaggi e di molteplici ambientazioni; riesce, inoltre, a dimostrare la sua poliedricità nei contenuti delle trame dei suoi romanzi.
La vicenda ha luogo a Parigi nel cuore della Belle Epoque di fine ottocento, cui fa da contrasto la miseria e la sopravvivenza da parte della stragrande maggioranza della popolazione che vive nelle strade e vie colme di rifiuti e di povertà, e termina nei più recenti anni ’60. In questa contraddittoria cornice inizia la storia di Louis Cuchas che vive insieme alla madre e ai suoi cinque fratelli e sorelle, tutti generati da padri diversi, in uno spoglio stanzone separato in due promiscui ambienti da un lercio lenzuolo che dovrebbe nascondere le spregiudicate abitudini della madre, venditrice ambulante di frutta e verdura presso i mercati generali Halles di Parigi, indirizzate a cambiare frequentemente gli uomini nel suo letto. In tale contesto abitativo e di qualità della vita, il piccolo Louis assiste a sconcertanti episodi, sicuramente non adatti agli occhi innocenti di un bambino, che potrebbero compromettere la sua stabilità di carattere anche nel futuro; ma Louis prende atto delle varie situazioni in maniera quasi indifferente, continuando a vivere in maniera tranquilla nonostante le avversità che incontrerà lungo il suo cammino da ragazzino, adolescente e giovane adulto.
Le angherie non lo turbano, così come la fatica del lavoro e i continui sacrifici; è per questo motivo, per il suo peculiare carattere che è soprannominato “l’angioletto”. A differenza dei suoi fratelli che avranno destini costellati da morte, malattia e illegalità, Louis riesce a coltivare la sua unica passione: diventare un artista, dipingere quadri. Le avversità e le difficoltà non lo scoraggiano mai; il suo atteggiamento verso le vicissitudini dei tempi sono accettate in maniera candida con la visione di un bambino anche quando, ormai affermato pittore, riesce a vivere in maniera agiata. Il denaro non ha importanza, vuole vivere di sogni e fantasie ed esprimere sulle sue tele ciò che la sua mente percepisce del mondo che lo attornia. Continua il suo cammino vitale senza mai eccedere, avendo sempre una pacatezza che lo aiuta ad apprezzare le piccole cose dalle quali riceve forti insegnamenti.
Simenon fa conoscere un personaggio positivo le cui risultanze inducono a riflettere su come si possa raggiungere un proprio obiettivo semplicemente accettando e adattandosi a tutto ciò che la vita e il destino ci offrono, cercando di trarre massimo beneficio da tutte le sfaccettature visibili e immaginabili.
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Lo stupore di vivere
Devo ammettere che per la prima volta mi trovo in difficoltà nello scrivere una recensione e la circostanza mi stupisce ancora di più perché il romanzo di cui dovrei dissertare mi è piaciuto immensamente, forse anche troppo. Sarà per quel suo sapore di favola con la sua bella morale (la bontà intrinseca di un individuo alla lunga riesce a far superare tutte le difficoltà che si incontrano in una vita), sarà perché l’autore usa una prosa altamente raffinata che in più di un’occasione raggiunge vertici poetici, resta comunque il fatto che non mi riesce facile definire il protagonista, Louis Cuchas, che all’inizio vediamo bambino in un povero appartamento, ove dorme su un pagliericcio, accostato a quello dei suoi fratelli, tutti figli di padri diversi, di amici occasionali di una madre che fa l’amore con l’uomo di turno nell’unico vero letto, isolato dal resto della famiglia da un rozzo telo, in cui, un buco, permette a Vladimir, il più grande, di vedere tutto. Si inserisce qui una delle più belle pagine che mi sia capitato di leggere, con il “guardone” che si fa fare dalla sorella Alice una fellatio, così come entrambi hanno appena visto. Il bello è che nella narrazione di Simenon non c’è nulla di sconcio, né di morboso, e appare come un fatto del tutto naturale, data l’età dei protagonisti e l’ambiente povero e degradato in cui vivono. Ma torniamo a Louis, un bimbo che si sazia ogni momento di quanto può dare la vita, come una goccia d’acqua che scorre in un giorno di pioggia sul vetro della finestra, oppure osservando il negoziante di scarpe della bottega di fronte. Mai scontento, anzi beato, lui si accontenta del poco che ha a disposizione e, soprattutto, come lo sarà sempre, è in pace con se stesso. Piccolo di statura, certamente non robusto, a scuola si lascerà picchiare dagli altri, sempre con quel suo sorriso enigmatico e senza mai denunciare gli aggressori all’insegnante, ed per questo che è soprannominato l’angioletto. Vuole molto bene ai suoi familiari, ma ciò non toglie che le disgrazie non lascino in lui alcun segno, come quando muore la sorellina più piccola, oppure quando cade in combattimento, nel corso della prima guerra mondiale, un fratello. Louis è un artista, un amante della pittura, vista più che come fonte di guadagno (al denaro non da importanza) come realizzazione del mondo interiore in cui vive. Passeranno gli anni, diventerà uno dei più grandi pittori del secolo, ma lui non cambierà. Non ci saranno lutti o guerre che possano scalfire quella corazza che si è costruito e che racchiude ogni suo stupore. E a chi, ormai vecchio, gli porrà la domanda: “ Maestro, posso chiederle qual è l’immagine che ha di se stesso?”, risponderà, senza che sia necessario che rifletta a lungo. “Quella di un ragazzino.”.
Ecco, in questa risposta sta tutto lo spirito di quest’uomo, a metà fra un santo e un genio; la vita è talmente bella e può dare tanto, basta saperlo cogliere. E Louis, da quando ha aperto gli occhi nella culla, ha raccolto a piene mani, cose anche che possono sembrarci di poco conto, ma che nella sua mente sono diventate un’inesauribile fonte di conoscenza, una serie di scoperte accolte con stupore e piacere, che hanno fatto di lui un essere del tutto sereno, quella serenità che mi ha pervaso, pagina dopo pagina, e che arrivato all’ultima mi ha fatto quasi gridare:”Questo romanzo è un grande capolavoro!!. Perché lo é, però? Perché ci serve su un piatto d’argento, ma che dico, di platino, il ritratto di un essere che non può esistere, ma che tutti ci illudiamo prima o poi di incontrare.
Da leggere, senza il minimo dubbio..