L'amore fatale
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Avevo paura della mia paura.
L'incipit di questo romanzo vale 280 pagine.
La sensazione, è quella di essere catapultati nel verdissimo parco di Londra, in attesa di sapere che epilogo avrà l'enorme mongolfiera sfuggita al controllo a causa del forte vento, e come evolveranno e si intrecceranno le storie delle quattro persone, che si trovano loro malgrado coinvolte in una disperata corsa alla fune per evitare il peggio.
E' qui che Jed Parry conosce Joe Rose.
"Fu a quel punto che notai Jed Parry intento ad osservarmi. ...
Nel paio di secondi durante i quali gli occhi grigio azzurri di quello sconosciuto incrociarono i miei, mi sembrò di poter includere anche lui nel compiaciuto senso di benessere che provavo nell'essere vivo."
Colpisce, ma chi conosce l'autore non ne è sorpreso, la sua capacità nel raccontare con grazia ed eleganza gli avvenimenti, arricchirli di sfumature e dettagli infiniti come se si trattasse di un set cinematografico piuttosto che pagine di un libro.
Gli accadimenti precipitano ma non il tono, che rimane flemmatico, minuzioso, nonostante l’allarme sia ormai conclamato, resiste al vortice che invece inizia ad avvolgere tutto e tutti. Ci tiene sulle spine. Ci regala piccoli spunti di riflessione che torneranno utili durante la lettura e lo svolgersi dei fatti. Procede lentissimamente e grande maestria a stuzzicare la nostra curiosità.
"Chi era la persona appena uscita? Perché andarsene così all’improvviso? Mi alzai. Era apprensione dunque. Ero in quello stato da tutto il giorno. Chiaro, si trattava di una forma di paura. Paura delle conseguenze. Avevo paura della mia paura."
Gli eventi ci fanno riflettere sulla dicotomia se sia giusto anteporre noi al resto del mondo, se i principi di solidarietà sociale possono avere un freno quando in pericolo è la nostra stessa vita.
Qual è il punto di incontro tra queste due realtà spesso divergenti?
McEwan ci conduce alla scoperta delle nostre paure e delle nostre ossessioni, che possono trasformarsi in un incubo per gli altri, come succede a Parry che soffrendo della sindrome di De Clérambault è indotto a pensare di amare ed essere amato dal soggetto prescelto. E’ un amore ossessivo non corrisposto. Una sorta di follia amorosa. Joe ne è la vittima e la sua vita, anche amorosa, subirà un tracollo.
Il dubbio, che l’autore è così bravo ad instillare, ci accompagnerà fino alla fine facendoci perdere certezze per questo racconto a metà tra giallo e romanzo psicologico.
E se nessuno fosse disposto a crederci? Se in questa follia restassimo soli?
Solo sul finire il ritmo narrativo allenta la morsa.
Mi sorprendo a notare che ho trattenuto il fiato e sviluppato grande empatia e solidarietà con questo protagonista e voce narrante, Joe, alla soglia dei cinquant’anni, laurea in fisica e una tesi di dottorato sull’elettrodinamica quantistica che di mestiere fa il divulgatore scientifico.
Buone prossime letture.
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AMORE MALATO
Attenzione: la recensione contiene spoiler!
“L’amore fatale” è costruito secondo la tipica struttura dei romanzi di McEwan: la prima parte, una sorta di prologo, espone l’episodio il quale mette in moto il meccanismo che, nel prosieguo, darà vita alla storia vera e propria, e che con l’episodio originario ha poca o nulla attinenza. Se si prende “Sabato” come termine di confronto si possono così notare straordinarie somiglianze drammaturgiche: qui l’incidente della mongolfiera, là l’aeroplano in fiamme che attraversa il cielo notturno di Londra; qui lo stalking di uno psicopatico nei confronti di Joe, là l’analoga irruzione di un teppista nella tranquilla e ben organizzata vita familiare del protagonista; in entrambi i casi la vicenda trova lo sfogo naturale in una conclusione violenta, in cui l’uomo borghese deve tirare fuori il suo primordiale istinto di combattente per sopravvivere e garantirsi il diritto di poter continuare a godere del suo privilegiato status sociale. Detto questo, rimarcata cioè l’impronta inconfondibilmente alla McEwan de “L’amore fatale”, non posso non sottacere un piccolo senso di delusione per come la trama è stata sviluppata. Il fatto che la storia sia narrata in prima persona dal protagonista, e che le reazioni degli altri personaggi non collimino sempre con le sue, induce ad un certo punto il lettore a una sospensione del giudizio gravida di interessantissimi sviluppi. La persecuzione subita da Joe ad opera di Jed Parry sembra cioè frutto delle proiezioni paranoiche di una mente stressata e alla disperata ricerca di un aiuto. Clarissa, la compagna di Joe, sembra quasi sospettare che le lettere d’amore che egli riceve ogni giorno siano frutto della sua immaginazione, così come gli appostamenti di Jed sotto la sua abitazione. Perfino per il fallito attentato al ristorante c’è una spiegazione che contrasta con le deduzioni del protagonista, dal momento che l’uomo ferito al posto suo è un politico già vittima in passato di un episodio simile. Sembra di essere dalle parti del “Giro di vite” di Henry James, dove una apparentemente plausibile storia di fantasmi (plausibile perché narrata da un personaggio maturo e razionale come la governante) viene pian piano smontata dalle evidenze per rivelarsi una allucinazione psicotica di una personalità disturbata. Purtroppo McEwan non osa tanto, e chiude il romanzo con un finale abbastanza scontato, in cui tutte le paure del protagonista si rivelano fondate e a lui, che invano aveva cercato la protezione della polizia, tocca l’ingrato compito di sbrogliare la matassa (non dissimilmente da ciò a cui è chiamato anche il protagonista di “Sabato”). L’armonia borghese della upper class londinese è salva, e l’intrusione del pericolo esterno è, sia pure a caro prezzo (vedi il ricorso a un’arma da fuoco, il cui acquisto presso una comunità di ex figli dei fiori è forse l’episodio più debole del libro), respinta. L’happy end, pur con condivisibili motivazioni sociologiche e perfino didattiche (il romanzo si chiude con la minuziosa descrizione clinica della sindrome di de Clerambault, della quale Jed Parry si scopre essere affetto), è garantito, ma è troppo facile, per non dire banale, e non ci soddisfa.
Quella che invece è come sempre straordinaria è la maestria della scrittura di Ian McEwan. Si consideri ancora l’incipit: qui l’approccio profondamente razionalista dell’autore sviscera in tutti i suoi minimi aspetti l’episodio di partenza, operando una sorta di “ralenti” narrativo, alla ricerca meticolosa e quasi pedante di quegli invisibili snodi del destino capaci da soli di cambiare per sempre, in un beffardo quanto ineluttabile meccanismo di causa e effetto, le esistenze dei protagonisti. La scrittura di McEwan è un microscopio in cui i comportamenti e le motivazioni dei personaggi vengono analizzati entomologicamente, con estrema precisione psicologica, col risultato di far risaltare la distanza che separa la natura dell’animale uomo da tutte le sovrastrutture morali, culturali e sociali con cui egli ammanta e giustifica le proprie azioni. Anche se il risultato non raggiunge forse la perfezione di “Espiazione”, lo stile è talmente profondo e ricco di considerazioni acute e originali (soprattutto nella descrizione delle oscillazioni nel rapporto tra Joe e Clarissa) da garantire un autentico piacere estetico e da far perdonare volentieri una trama un po’ diseguale e squilibrata, in cui non si riesce purtroppo ad allontanare del tutto la fastidiosa impressione che il romanzo nel suo insieme sia inferiore alle singole parti che lo compongono.
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“Viviamo avvolti dentro una nebbia percettiva in parte condivisa ma inaffidabile, e i nostri dati sensoriali ci arrivano distorti dal prisma di desideri e convinzioni che alterano persino i ricordi.”
È in un’atmosfera di incertezza, prossima alla confusione che ha luogo la vicenda narrata nel bel romanzo di Ian McEwan, “L’amore fatale”. Una trama semplice che si arricchisce di descrizioni di stati d’animo e di considerazioni interessanti sul rapporto tra letteratura e scienza, argomento di interesse fondamentale per il protagonista Joe Rose, giornalista scientifico.
È tuttavia la passione ossessiva di Jed Parry per Joe Rose, scatenatasi all’improvviso, durante il tentativo fallito di riportare a terra un pallone aerostatico fuori controllo e salvare una vita, che è il nucleo centrale del romanzo.
Il lettore si trova di fronte a una realtà spesso mutevole che insinua sospetti e crea suspense, nella migliore tradizione del thriller britannico.
McEwan sembra voler suggerire come la sfera irrazionale dell’uomo possa talvolta seriamente minacciare la sua comprovata razionalità. Non è un caso che Joe e Clarissa vedano diversamente la realtà che minaccia Joe, essi si dibattono tra certezze e incertezze e la trama del romanzo diviene in definitiva un viaggio esplorativo nella loro mente. Obiettività e verità sono mete difficili da raggiungere.
In questo clima di dubbio è l’amore a essere penalizzato, l’amore tra Clarissa e Joe, l’amore di Jean Logan per il marito defunto, l’amore malato di Jed per Joe, al punto che sorge spontaneo chiedersi: in questo caos che ci circonda, in questo mondo disgregato e fuori controllo, in cui la vittima può trasformarsi in carnefice, come suggerisce l’episodio dell'acquisto di una pistola da parte di Joe, in questo mondo, dunque, come può esistere e resistere l’amore? Come si possono realizzare bellezza e verità, come suggerisce l’ode di Keats, “ Beauty is truth and truth is beauty”, così frequentemente citata nel romanzo?
Questo forse è il tema che più interessa a McEwan, e che diviene centrale in molte altre sue opere.
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Amore e follia
Enduring love, tradotto in “L'amore fatale” è un romanzo in cui McEwan esplora in maniera superba non solo i risultati di una mente segnata da una patologia psichiatrica, ma anche l'incontro-scontro tra razionale e spirituale.
Lo spunto narrativo è sottile come un filo di seta, esile, a tratti inconsistente e al limite del credibile, eppure le pagine costruite dall'autore inglese calamitano l'attenzione e l'interesse del lettore fino all'epilogo, caricandosi di pathos, di tinte oscure e di zone nebulose.
Un pic-nic finito male dà la stura ad un intreccio di volti e di storie, ad una galleria di umanità che sotto la patina di una placida normalità cela problematiche irrisolte, insoddisfazioni e stati d'animo contrastanti.
La costruzione psicologica ricamata dall'autore sui suoi protagonisti, calza come un vestito su misura, mescolando psichiatria, psicologia, spiritualità e scienza; un mix dosato con maestria assoluta, con sapienza e perspicacia, per sfociare in una storia che ingloba tante storie.
Il volto della malattia si interfaccia con quello del raziocinio, gli schemi della logica deragliano contro quelli della religione o dell'immaginazione.
McEwan ha la capacità di forgiare trame narrative talmente dense da condurre chi legge all'interno di vortici emotivi, psicologici, razionali ed irrazionali.
Questo romanzo si tinge di tante sfumature, si compone un po' con lo schema delle scatole cinesi in quanto il contenuto assume vesti multiformi.
Ottima lettura, da affrontare lentamente perchè ciò che conta è il viaggio proposto dalla penna dell'inglese e non semplicemente la meta.
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l'amore fatale
Se la trama di questo particolare romanzo è riassumibile in poche parole non lo è di sicuro lo stile e l'atmosfera che McEwan riesce a creare, trascinando il lettore in un delirio fatto di ossessione e fanatismo religioso.
Il piano narrativo è rappresentato da un caso clinico di natura psichiatrica, che conosciamo in modo approfondito nell'appendice I, che deve aver colpito la curiosità di McEwan per la morbosità del suo contenuto.
Quello che colpisce e che rende il libro molto interessante è la caratterizzazione dei personaggi, delineata con pochi elementi, ma sufficienti a immedesimarci con ognuno di loro.
Il protagonista Joe Rose ci viene presentato come un uomo razionale che ha fatto della logica la religione della propria vita, nonchè lo scudo con cui proteggersi dalle avversità che la vita pone sulla sua strada.
La razionalità è l'unico legame che può tenerlo legato ai suoi sogni giovanili che alimentano la sua sete di scoperta e di successo nel campo della fisica teorica che non è riuscito a invadere e conquistare come voleva, ma solo a sfruttare diventando un semplice giornalista divulgativo, di successo è vero, ma semplice traduttore di scoperte altrui.
Dunque un uomo frustrato da un punto di vista professionale, ma appagato nella vita sentimentale, dolce e attento, pieno di premure per la sua Clarissa.
Clarissa è una donna sicura di sè e del suo successo, che trova la frustrazione viva nella sua sterilità che annienta il suo essere donna completa.
Il personaggio di Clarissa è finemente odioso ed è in qualche modo la reale causa del disagio di Joe, disagio che nasce da un uomo che è la sua antitesi; se egli è la razionalità Jed Perry è l'emotività, se è la logica l'altro è il delirio.
Jed Perry non fa breccia nel cuore del lettore in alcun momento del romanzo, neppure quando lo vediamo piangere disperato, implorare, elemosinare un briciolo di attenzione, in ogni istante l'abile penna di McEwan riesce a inserire una piccola inflessione del tono che ci svela la sua odiosa pazzia, che ci fa odiare la sua assurda persecuzione, in un crescendo di violenza e di delirio che solo la malattia mentale conosce.
Clarissa, dicevo poc'anzi, ci appare noiosa e priva di quella forza che una donna dovrebbe avere per sostenere il proprio uomo, una sorta di donna post-emancipazione femminile che appare gelosa della sua intimità e della sua privacy forse perchè il niente che nasconde le fa provare vergogna, che non riesce a capire la semplice complessità del proprio compagno e la rifiuta, preferisce credere alla di lui pazzia piuttosto che ammettere di non essere stata in grado di proteggerlo.
Sul piano sociale il romanzo descrive in modo davvero perfetto il mondo in cui viviamo, soprattutto nel rapporto con le forze dell'ordine, nell'impossibilità di essere protetti, nell'impossibilità di prevenire eventi che non possono essere prevenuti, ma solo puniti.
Questo romanzo non può e non deve fermarsi al piano narrativo, deve essere letto con molta attenzione senza lasciarsi scappare la poesia che pervade ogni riga.