L'America sottosopra
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Scrittura uniforme
Non c’è dubbio che con i tipici romanzi americani io non ho un grande feeling ed anche con questa opera, che ha ottime recensioni da parte del pubblico, io ho veramente fatto una grande fatica ad entrare in sintonia. Il quadro è quello di un’America rurale, un quadro sociale tipico della classe povera americana. Sono presenti tanti elementi tipici di questa popolazione ed anche i personaggi sono assolutamente riconducibili a questo popolo, anche nei particolari descrittivi e familiari che sicuramente non mancano. Io però sento sempre questa scrittura distante, monocorde, piatta e questo influisce indubbiamente sul mio interesse anche nel seguire l’evolversi delle vicende raccontate.
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Un manifesto ecologista?
La Pennsylvania è uno Stato che, nella sua pluricentenaria storia, ha goduto di alterne fortune. Ai lunghi periodi di povertà si sono alternate stagioni di relativo benessere economico. Queste occasioni di prosperità sono state ottenute sempre a discapito del suo suolo e sottosuolo. Inizialmente furono sfruttate le grandi foreste che la coprivano e che avevano contribuito a darle il nome. Esse furono brutalmente disboscate. Poi venne lo sfruttamento del carbone. Le miniere portarono lavoro, ma anche malattie a carico dell’apparato respiratorio di coloro che gravitavano attorno. Ora negli ultimi due decenni, il nuovo boom economico è legato alle rivoluzionarie tecniche di estrazione e sfruttamento dei giacimenti di scisti bituminosi di cui il Paese parrebbe ricco. Purtroppo il fracking delle rocce potrebbe porre a rischio le falde acquifere e la salute stessa della popolazione residente.
In questo romanzo ci viene mostrata la vita degli abitanti della Pennsylvania, in particolare di quelli dell’immaginaria Bakerton, cittadina mineraria nata attorno alle miniere di carbone. Ora, chiuse le ultime cave a cielo aperto, i pochi abitanti rimasti vivono in uno stato di dolorosa stagnazione.
Una nuova speranza di risollevare le loro condizioni di vita viene offerta dalla Dark Elephant, industria facente capo ad una potente holding che si occupa di ogni genere di estrazioni minerarie. La società, specializzata nel fracking degli strati scistosi, comincia ad acquistare freneticamente i diritti di estrazione del gas naturale dai vari piccoli proprietari. Nella comunità si aprono aspri dissidi tra chi rifiuta ogni accordo e chi, invece, preme perché si firmi e le trivellazioni inizino al più presto in modo da poter godere delle percentuali promesse su quanto verrà pompato dalle viscere della terra.
Appena gli scavi cominciano la vita degli abitanti muterà radicalmente: i campi e i boschi verranno distrutti, il frastuono di macchinari sarà continuo, le strade sempre intasate, ci sarà puzza, forse inquinamento del suolo e delle acque. Si cominceranno a temere danni alla salute in persone particolarmente vulnerabili come bambini e donne incinte. Insomma la qualità di vita subirà un drastico degrado. Le azioni di protesta e di opposizione a ciò che prima quasi tutti auspicavano si infittiranno.
La Haigh nel suo romanzo dipinge un affresco corale della vita in questa comunità rurale schiacciata tra le necessità economiche e il desiderio di conservare i ritmi blandi e salubri della vita agreste. Lo fa sciorinando davanti agli occhi del lettore un diluvio di “istantanee” che ci mostrano gli abitanti negli scampoli della loro vita quotidiana. È una miriade di brevi flash presi sul luogo di lavoro, in famiglia, nella quotidiana lotta per districarsi tra piccoli e grandi drammi. Vediamo così questi uomini e queste donne dibattersi in problemi di alcolismo e tossicodipendenza; terrorizzati per la salute dei figli, ma pure dalle proprie paranoie; preoccupati per il futuro economico, ma pure per quello dei figli a volte implicati in episodi di delinquenza minorile. Siamo spettatori dei loro dissidi familiari, dei tradimenti tra coniugi, degli imbarazzi nelle coppie omosessuali. Partecipiamo alle lotte degli attivisti ecologisti e ascoltiamo le teorie di scienziati che sostengono l’industria. Ci viene mostrata la dura vita nei cantieri, nelle carceri giudiziarie e la non meno faticosa esistenza dei residenti “colonizzati” dall'industria mineraria. Assistiamo anche alle psicosi e alla frenesia parossistica degli industriali che, in una corsa continua contro il tempo e contro i concorrenti, cercano di approfittare dell’attimo favorevole per tenere in piedi il castello di carte che hanno costruito tra prestiti e speranze di guadagni futuri.
Alla fine si viene travolti da una vera valanga di storie fittamente incastrate caoticamente le une nelle altre senza una sequenza cronologica, ma, anzi, intessute di flash back e salti temporali.
Queste innumerevoli “polaroid” ci soffocano, stordiscono e confondono. Persi in questo intricato labirinto di vicende, ognuna delle quali, da sola, sarebbe sufficiente a giustificare un romanzo a sé stante, perdiamo il filo e il senso del libro nel suo complesso. Si fatica a sentirsi coinvolti nella storia di Mack e della sua compagna Rena; nelle paranoie di Shelby per sua figlia Olivia; nei rimorsi del pastore Jess e nella sua storia clandestina con Herc; nei conflitti di Rich col padre, col fratello Darren, con la moglie Shelby, con la Dark Elephant e coi detenuti del carcere di cui è l’agente di custodia. Davvero troppe storie e tutte troppo smozzicate.
In aggiunta a ciò l’A. vorrebbe anche proporre un romanzo a tema sullo scellerato sfruttamento del suolo da parte della grande industria. Ma questo filone narrativo procede a ritmi da bradisismo e si perde nei mille rivoli delle varie storie personali.
Di conseguenza è abbastanza faticoso avanzare nella lettura nonostante lo stile utilizzato sia molto elegante e scorrevole e si desidererebbe approfondire ogni singola vicenda. Alla fine inevitabilmente si saltano paragrafi e si cerca ansiosamente di giungere alla conclusione.
L’intento dell’A. di porre interrogativi sullo sfruttamento delle risorse, poi, risulta abbastanza subdolo. È somministrato al lettore in dosi omeopatiche, ma con ammirevole costanza. La Haigh, in realtà, non prende posizioni. Ci consente di ascoltare entrambe le campane. Ci fa vedere come certi attivisti mischino il vero col falso (o solo con lo speculato) pur di ottenere ciò che vogliono (Bloccate tutto! Sempre! A prescindere). Tuttavia ci sottopone a un costante stillicidio di suggerimenti tendenziosi. Accosta con astuta abilità la storia della fuga radioattiva di Three Miles Island alle trivellazioni di Baketon. Ci narra della leucemia che uccise il Pastore Jess (radiazioni?) e, immediatamente dopo, dei malanni che oggi affliggono la piccola Olivia (vittima della sindrome di Munchausen della mamma o degli affioramenti di metano?). Mescola dati tecnici reali comprovati a supposizioni ed esagerazioni dei media. Alterna notizie di cronaca a “fake news” e leggende metropolitane. Alla fine riesce a intorbidare e confonde le idee. Ottima tecnica se il libro dovesse essere solo un manifesto per estremisti ecologisti. Purtroppo diviene indigesto se, invece, vuol porsi come un romanzo che descrive e analizza i sentimenti e i comportamenti dei personaggi di un'America rurale.
Insomma, alla fine, si ottiene una strana mescolanza che stempera di molto la piacevolezza della lettura e lascia parecchi dubbi quando si giunge alla sospirata parola fine che, in realtà, neppure fine è: nessun filo narrativo sarà annodato; le vicende avranno tutte una loro evoluzione a noi, però, celata.