Isola
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Recensione della Redazione QLibri
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Questa non è Europa. Queste sono le Faroe.
"Ogni uomo è un'isola", scriveva Josè Saramago nel suo bellissimo e struggente 'Il racconto dell'isola sconosciuta'.
E aggiungeva: "bisogna allontanarsi dall'isola per vedere l'isola.."
Niente di più vero, non ci vediamo se non ci allontaniamo da noi stessi: sarà sempre una conoscenza limitata quella che ciascuno di noi potrà avere di se stesso, forse rassicurante come l'orizzonte immobile al confine tra mare e cielo ma non certo soddisfacente, perchè c'è sempre qualcosa da scoprire oltre quell'orizzonte e bisogna avere il coraggio di salpare, di staccare gli ormeggi dal molo protetto e riparato della propria isola per iniziarne la ricerca.
Isola, il primo romanzo della scrittrice danese Siri Ranva Hjelm Jacobsen, è proprio questo: il racconto di un viaggio, l'odissea personale di chi trova la forza di raccogliere le proprie radici, arrotolarsele su per la gamba e partire, soffrendo il disagio e le difficoltà di adattamento in una nuova città, una nuova casa e un nuovo lavoro.
Una partenza necessaria, inevitabile, per non morire schiacciati sotto il peso di un destino imposto e non costruito e plasmato secondo la propria indole.
Un viaggio per ritrovare se stessi, scoprire le proprie potenzialità e limiti, realizzare un sogno se possibile ma anche solo una casa, una famiglia.
Portando sempre nel cuore il desiderio di tornare in patria, amata Itaca, che diventa così il motivo per cui partire e allo stesso tempo il luogo a cui tornare.
Fritz e Marita sono due esuli, due isole galleggianti, isole che non possono rimanere ferme altrimenti verrebbero sommerse dall'oceano, devono muoversi, vagare, scoprire nuovi mondi.
E sono isole, vere stavolta, terraferma, quelle su cui sono nati, le isole Faroe, un arcipelago di 18 isolotti al centro di un triangolo di oceano Atlantico tra Islanda, Norvegia e Scozia.
Provate a cercarle su una mappa: sono lì, pochi chilometri di terra circondata dall'azzurro del mare.
Provate ad immaginare Marita:
'Marita si cuce i vestiti da sè. Prende i modelli e immagina maniche, corpetti, ampiezza della gonna, che misura ad occhio. Da tempo si veste come una destinata a qualcosa di più, qualcosa di meglio dello stabilimento al porto, una vita in mezzo al pesce. Il tanfo di calzerotti sudati nella sala da ballo. In paese alcuni pensano che Marita si dia troppe arie. Pensano anche, sempre quelli, che non ne abbia motivo. Lei lo sa. E' persino arrivata a voler loro un pò di bene, come se ne vuole a chi si sta per lasciare.'
E Fritz: vorrebbe tanto studiare, diventare ingegnere e trovare un impiego presso la centrale elettrica nella vicina isola di Botni ma per farlo deve allontanarsi, l'università è in Danimarca, non ha alternative e restare a casa significherebbe continuare ad imbarcarsi con i fratelli all'inizio dell'estate polare in direzione delle isole Svalbard nel Mar Glaciale Artico per la pesca del merluzzo. Fritz non può farcela, uno come lui è fuori luogo su quella barca, non sopporta niente, odia i marinai, 'i loro ceffi barbuti, il puzzo acre di lana e sudore stantio', odia dormire sottocoperta 'dove l'aria è pesante e bagnata di merluzzi morti'. E più di tutto odia la pesca.
Come biasimarlo? Sarà Fritz che partirà per primo, destinazione Copenaghen; Marita lo raggiungerà un anno dopo, con un segreto nel grembo, troppo ingombrante anche per lei, lo abbandonerà in mare dove rimarrà sepolto per sempre.
Isole galleggianti, si muovono, cercano una propria collocazione, un'identità non solo territoriale, geografica ma anche personale che coinvolge molteplici aspetti, culturale, ideologico e politico, soprattutto in quel periodo a ridosso della seconda guerra mondiale in cui gli stessi abitanti delle isole Faroe erano divisi in opposti schieramenti a favore o meno dell'indipendenza dalla Danimarca.
Era felice Fritz, pur non avendo realizzato il suo sogno: aveva ormai abbandonato l'idea della centrale elettrica di Botni, la 'dignità di'ingegnere' che lascia il posto a quella forse meno solenne di insegnante. Ma non aveva importanza, sembrava felice, 'non come un uomo i cui sogni per il futuro giacevano in fondo al mare o annegavano nel rum in una bettola del porto.'
Una serenità adombrata solo dalla nostalgia di casa, la sua Itaca, la sua destinazione finale, punto di partenza e di arrivo: nessuna distanza, nessun oceano potrà mai debellare il ricordo del suo villaggio natale, le vallate e i fiordi, gli amici, la famiglia e le tradizioni.
Una nostalgia che affiora prepotentemente ogni volta che Fritz abbraccia Marita:
'A breve sentirà la vita nei polmoni di lei, sotto la stoffa del vestito. Quel pò d'aria di montagna che ha tenuto da parte per lui nelle ramificazioni sottili del tessuto polmonare. I capelli profumeranno di muschio e pietre lisciate dal vento, di quell'aria che gli manca tanto, fresca e limpida come una doccia.'
Passato e presente della loro vita si intrecciano nei ricordi della protagonista del romanzo, una giovane ragazza danese di madre faroese che torna sulle isole in occasione della morte della nonna: era Marita sua nonna, 'omma', e Fritz il suo 'abbi', nonno.
La narrazione è melodica, frasi brevi, ridotte ai minini termini, che rendono la prosa estremamente poetica, intensa e particolarmente toccante quando esteriorizza la nostalgia che alberga nell'animo di ogni espatriato e che si manifesta nel ricordo di quei luoghi, le isole Faroe, terre di una bellezza selvaggia e romantica allo stesso tempo, tra vallate verdi al profumo di muschio e le imponenti scogliere dei fiordi a picco sul mare.
Un paesaggio quasi fiabesco, sospeso nel tempo, la cui descrizione ricca di associazioni sinestetiche tra colori, suoni e profumi ne amplifica la sensazione onirica, perchè è nel sogno che l'esule placa la nostalgia della patria lontana.