Inverno
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Uno strano Natale indigesto
È la vigilia di Natale, uno dei tanti, tutto ancora da organizzare, e Sophie attende l’arrivo del figlio Arthur, collaboratore dell’ ufficio legale di una multinazionale ed autore di un blog di nature writing, in compagnia della fidanzata/compagna Charlotte. Con lui l’ improvviso ed inatteso ritorno della indesiderata e sovversiva sorella Iris, una combina guai con la quale Sophie non parla da quasi trent’anni, da quando improvvisamente una sera spari’.
Ci troviamo in Cornovaglia, nella villa di Sophie, una formidabile donna d’affari che in passato ha goduto di fama e che oggi ha deciso di trascorrere in una cittadina la sua vita da pensionata.
Ma questo è un Natale diverso, molto caldo e niente neve, e poi molte cose sono cambiate, e parecchie morte.
Innanzitutto Dio è morto, e l’amore, la poesia, il romanticismo, il romanzo, la pittura, la cultura, la decenza, il passato, la storia, la politica, il pensiero, la speranza, tutti morti.
Non proprio tutto invero, non la vita, la rivoluzione, l’ uguaglianza razziale, l’ odio e quei fantasmi che inseguono e perseguitano i nostri giorni.
E c’è anche una testa, in quella casa, staccata dal proprio corpo, lì ormai da quattro giorni, maschio o femmina non è dato saperlo, sicuramente beneducata, una testa silente a cui parlare, con una faccia e dei capelli arruffati, non spaventosa, graziosa e timida e tutt’altro che morta, pur conservando in se’ qualcosa di raccapricciante, una testa che esprime benevolenza, segue e precede Sophie, non è mai invadente, e chissà quali gusti possiede.
L’ incipit, piuttosto forte e spiazzante, apre una trama costruita su persone reali ed accadimenti del nuovo millennio.
Ecco una famiglia divisa, spaccata, singole unità pensanti, una sola estranea, Charlotte-Lux, ragazza straniera costretta a dormire nel fienile, spettatrice e vittima inconsapevole di un rito già scritto, una comparsa sul palcoscenico della vita di Sophie, tanto per cambiare, calata in un microcosmo di isterismi al quale saprà bene adattarsi e che riuscirà a sviscerare, divisa tra bugie e debolezze, uno spirito libero senza dimora ne’ un reale titolo di studio ma avvezza alla profondità, designata all’ ascolto ed alle confessioni dei singoli protagonisti.
Passato, presente, futuro, immagini che instancabili ritornano in una personale dissociazione e schizofrenica ricostruzione dei Natale pregressi, di relazioni interrotte, speranze distrutte, di una famiglia assente, destituita nelle proprie fondamenta.
Sophie continua a pensare e vorrebbe che questo giorno riacquistasse l’ importanza di un tempo, quando i significati significavano ed il Natale era una data importante. Oggi il senso delle cose è più aspro e ciascuno di noi, a suo modo e secondo i suoi tempi, tende a delegittimarsi, demoralizzarsi, demolirsi.
Lei si chiede dove si trova in questo momento e se sia possibile fermare il tempo che le scorre dentro. In questo giorno riaffiorano relazioni interrotte trasformandolo in un Natale quasi immaginario.
Ma quanto, nell’ epoca di Google, dei tweet e dei Blog collettivi, di Trump e di una fattualita’ finalistica, si può riacquistare il senso perduto?
L’ autrice fa riferimento, con pessimistica irriverenza, alle storture socio-politiche dell’oggi, probabilmente definitive, laddove ci vorrebbe un interesse vero per il significato delle parole e non qualcuno i cui interessi privano le parole di ogni significato.
Ed allora ci si domanda: dove saremmo senza la nostra capacità di vedere oltre quello che dovremmo vedere? Dove è finito lo spirito di cui ogni essere vivente è dotato e senza il quale non saremmo che pezzi di carne? E dovremmo sapere e ricordarci ( in primis i personaggi del romanzo ) che nostra madre è la nostra storia riconoscendo le proprie origini, riappropriandoci del senso del tempo, della vera bellezza e della speranza.
A questo proposito “ Cimbelino “ la citata commedia shakespeariana colma di veleni, confusione, malanimo, dove tutto alla fine si riequilibria, dove le bugie vengono smascherate e le perdite compensate, ci riconsegna ad un vecchio e rimpianto sistema relazionale, al momento irrecuperabile, se non in un privato rimosso, in tempi così duri, abulici ed inconsistenti, totalmente sottratti a desiderio ed amore, inseguendo strade e fini diversi.
Secondo capitolo ( dopo “ Ottobre “ ) di una tetralogia dedicata alle stagioni, “ Inverno “ conferma il talento poliedrico dell’ autrice, che alterna passi e scritture eterogenei, giostrando con le parole e la loro intima essenza.
Realtà e sogno, cinismo e sarcasmo, digressioni poetiche, una caos di voci in una coerenza di contenuti, citazioni di alta letteratura ( su tutte Shakespeare e Dickens ), riferimenti al presente per un testo complesso e multiforme, ad una seconda lettura cangiante, con un indiscutibile pregio: la capacità di farsi sentire e di farci riflettere scansando superficialismi ed indifferenza.