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Infanzia

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Un quartiere anonimo di una desolata provincia sudafricana. Un ragazzino che cerca una via di fuga da un padre ordinario che non riesce a rispettare, da una madre che ama di un amore viscerale ma che non gli da certezze, dagli umilianti riti di una scuola dove le regole non sono uguali per tutti, dai turbamenti di un'infanzia già "guasta", dagli angusti orizzonti nazionalistici del Sudafrica nel secondo dopoguerra. I temi di J. M. Coetzee vanno ricercati là dove convergono gli aspetti politici, spirituali, psicologici e fisici dell'esistenza: l'incubo della violenza burocratica, la nostra desolata estraniazione dalla terra, un'ansia shakespeariana per la natura strappata al suo ordine naturale e gli insistenti bisogni del corpo.



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Infanzia 2019-08-03 15:37:41 kafka62
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kafka62 Opinione inserita da kafka62    03 Agosto, 2019
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LA FATICA DI DIVENTARE ADULTI

“L’infanzia, dice la Children’s Encyclopaedia, è un periodo di gioia innocente, da trascorrere nei prati tra ranuncoli e coniglietti oppure accanto al focolare immersi in un libro di fiabe. Questa visione dell’infanzia gli è completamente estranea. Tutto ciò che fa a Worcester, a casa o a scuola, lo porta a credere che l’infanzia non sia nient’altro che un periodo in cui bisogna stringere i denti e resistere.”

“Infanzia” è un romanzo autobiografico, che racconta alcuni anni della vita dell’autore bambino, nella complessa società sudafricana degli anni ’50, fino alla soglia dell’adolescenza (ad esso sono poi seguiti altri due volumi di memorie, “Gioventù” e “Tempo d’estate”). Non è però, a rigor di logica, un classico romanzo di formazione, capace in qualche modo di spiegare i motivi reconditi che hanno portato il protagonista a scegliere da grande la professione dello scrittore (anche se le ultime parole - “Come farà a tenere tutto in testa, tutti i libri, tutte le persone, tutte le storie? E se non si cura lui di ricordare, chi lo farà?” – sembrano accennare proprio a questo). E’ piuttosto un resoconto fedele, crudo, impietoso di un periodo della vita che solo con leggerezza si usa definire “felice”. L’infanzia che leggiamo in queste pagine è piena di vergogna, di sensi di colpa, di segreti inconfessabili, di egoismo, di ingratitudine, di crudeltà repressa. Coetzee ha preso il coraggio a piene mani e ha dipinto il ritratto in chiaroscuro di un essere incompleto, imperfetto, che più volte definisce “guasto” o “anormale”, e che tanto poco somiglia al se stesso adulto che poi è diventato, in tal modo rivelando di quale materia strana, ambigua, oscura è formata ogni persona, quali stretti e difficili passaggi e prove psicologiche – il più delle volte rimosse e dimenticate con gli anni – deve percorrere un uomo prima di diventare tale. Nonostante la terza persona con cui è scritto, che rende la narrazione fredda e per nulla empatica, la sincerità del romanzo è spiazzante (soprattutto nelle pagine in cui è descritto il morboso rapporto di amore-odio con la madre adorante e iperprotettiva), in qualche caso disturbante, perché è in grado di fare a pezzi i ricordi autoconsolatori e idealizzanti con cui normalmente si ammantano i lontani anni del proprio passato, ma proprio per questo è tanto più preziosa, perché permette, al termine dell’esperienza di lettura, una immedesimazione che solo i grandi libri riescono a dare.

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"La lingua salvata" di Elias Canetti
"Le ceneri di Angela" di Frank McCourt
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