In culo al mondo
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Stupendo e impegnativo
Romanzo dalla struttura particolare, non ci sono dialoghi ma solo una serie di monologhi del protagonista che si spostano dal passato in Agola al presente a Lisbona, mentre in un bar racconta la sua esperienza da medico di guerra ad una donna appena incontrata.
La prosa dell'autore ha un lirismo di altissimo livello, fatta di similitudini e metafore a getto continuo , sembra di camminare in un giardino fiorito dove ad ogni passo cogli un colore vivido e un nuovo profumo.
Tale lirica è però il supporto ad un racconto crudo, a tratti anche cinico e spietato della guerra coloniale in Angola da parte del Portogallo del regime salazarista. L'autore non fa mancare una accesa critica al regime di Salazar e agli scopi del colonialismo mentre racconta la vita al fronte tra ferite orribili , morti e una continua sensazione di essere fuori posto, lontano dalla moglie e dalla figlia appena nata e mai conosciuta a cercare la compagnia occasionale di donne africane che gli vengono puntualmente strappate dalla crudeltà della guerra quasi a ricordargli la sua precarietà in quella terra straniera.
Usi, costumi, consuetudini del luogo ridondano nel suo racconto, affiorano in una prosa fatta di paragoni a volte ironici, altre assolutamente irriverenti ma spesso pungenti ed azzeccati.
Una volta ritornato in patria l'uomo è ancora preda dei ricordi dell'Angola, di quel senso di inutilità e di non appartenenza , ecco il concetto che ritorna spesso è il non sentirsi parte del mondo che si sta vivendo, uno straniero invasore in Angola , uno straniero disperso anche a Lisbona mentre quello che era importante nella sua vita è andato avanti senza di lui o nonostante lui.
A volte posto degli estratti particolarmente belli non è questo il caso, sono talmente tante le frasi da ricordare che ricopierei il libro intero, quello che in altri testi è un quadro che spicca su una parete qui è la parete intera , non so se mi spiego...
Non è una lettura semplice da lettori occasionali, ho impiegato un terzo del libro per capire esattamente il contesto ma la qualità letteraria è altissima , va letto con attenzione e calma o rischia di sembrare un mero esercizio di stile.
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"Non eravamo cani rabbiosi prima di..."
Romanzo potentissimo, a partire dal titolo, che racconta la guerra coloniale portoghese in Angola sotto il regime di Salazar. Ma è una definizione marginale perché racchiude dentro soprattutto la fragile esistenza dell'uomo e l'impatto forte che una guerra ha sui combattenti ma anche sui civili. Ogni guerra lascia mutilazioni non solo fisiche, quelle sono il minimo, ciò che pesa ancor di più è la mutilazione psicologica, i traumi che ogni soldato si porta dietro.
Antonio Lobo Antunes, medico di professione e inviato in Angola nella guerra, è un testimone diretto degli orrori descritti, guerra voluta e dettata dal regime salazarista che l'autore critica senza mezzi termini. In rare occasioni mi è capitato sottomano un testo di così nuda e cruda disperazione, un urlo, un grido rivolto al mondo, con la speranza che esso possa comprendere ciò che lui ha vissuto, una denuncia piena di rancore che cerca motivazioni ma non ne trova se non nell'incoscienza degli invasati che l'unica cosa che puntano e sanno puntare è il dito.
Ciò che lo rende però un grande libro e che maggiormente stupisce il lettore è lo stile! Antonio Lobo crea delle immagini innovative facendo utilizzo di metafore fuori dall'uso comune, parole che prese singolarmente non dicono nulla e non sono letterarie ma lui le mette assieme creando metafore insolite di rara bellezza e originalità. Il libro è tempestato di queste immagini alternative che esprimono con grande potenza ciò che l'autore vuole trasmettere:
"Chissà se non concluderemo la notte facendo l'amore, io e lei , furibondi come rinoceronti col mal di denti, fino a che il mattino non venga a rischiarare lividamente le lenzuola sfatte dalle nostre cornate disperate? I vicino del piano di sotto penseranno stupiti che ho portato a casa due pachidermi che si divorano a vicenda in un concerto di grida di odio e di parto, e chissà se una tale novità non sveglierà in loro umori da molto tempo assopiti, e non lì porterà ad agganciarsi come i pezzi di quei puzzle giapponesi impossibili da separare senza l'infinita pazienza di un chirurgo o il coltello sbrigativo di un castratore."
"fumavamo senza parlare, poiché ci pareva che le parole fossero inutili come una barca in città, come un acquario in mare, come una finzione di orgasmo durante l'orgasmo"
"un'altra mezza bottiglia e crederemo di essere Vermeer, capaci come lui di tradurre attraverso la semplicità domestica di un gesto, la toccante e inesprimibile amarezza della nostra condizione."
"A quell'ora, nella mia città castrata dalla polizia e dalla censura, la gente si coagulava per il freddo alle fermate degli autobus, soffiando dalla bocca il vapore in palloncini con le didascalie di un fumetto che il Governo proibiva."
.....non so voi, ma personalmente sono rimasta sbalordita da questi affreschi "verbali" e tutto il libro va avanti in questo modo, leggendolo è come visitare Roma: a ogni angolo che giri e in ogni pagina e paragrafo trovi una meraviglia e ti fermi a guardare, a rileggere e a ammirarne la bellezza.
La forma del romanzo si presenta come un lungo monologo-confessione che l'io narrante fa in un bar di Lisbona davanti a una donna sconosciuta mentre bevono un bicchierino di whisky. L'alcool sembra quasi che faccia da carburante per poter mandare avanti il discorso, per trovare magari il coraggio di dare voce al passato:
"A ogni ferito da imboscata o da mina mi occorreva la stessa afflitta domanda, a me, figlio della Gioventù Salazarista e dei giornali "Novidas" e "Debate", nipote di catechiste e intimo della Sacra Famiglia che ci faceva visita a casa sotto una campana di vetro, spinto verso quell'incredibile polveriera in uno stupore infinito: ma sono i guerriglieri o Lisbona che ci vogliono assassinare, Lisbona, gli americani, i russi, i cinesi, quel cazzo di figli di troia tutti assieme per fotterci nel nome di interessi che non afferro, ma chi mi ha ficcato in questo culo del mondo di polvere e di sabbia (...), ma chi mi spiega l'assurdità di tutto questo, le lettere che mi parlando di un mondo che la distanza ha reso straniero e irreale, i calendari che imbratto di croci nel calcolare i giorni che mi separano dal mio ritorno con davanti a me un tunnel interminabile di mesi nel quale mi precipito muggendo, il ferito che non capisce, che non capisce, che non riesce a capire e finisce col ficcare il triste muso bagnato nelle ossa di pollo con i maccheroni del rancio, allo stesso modo, capisce, che qui, in sua compagnia, mi sento un cavallo con le narici infilate nel paniere di vodka, mentre mastico il fieno aspro del limone?"
Un grande autore che parla di storia e di problemi esistenziali, che apre l'animo umano e analizza pezzo per pezzo i sentimenti contenuti, le paure, i desideri, descrive il cambiamento che inevitabilmente si presenta dentro noi stessi e nel tempo porta a cinismo, rassegnazione e insonnie. Pagine intense sull'amore, vissuto in tutte le età, amore che arriva e se ne va, che man mano nel tempo si finisce per non crederci più e diventa solo un esercizio ginnico con donne incontrate ogni tanto per caso "nell'angolo di un sofà di una serata da amici, come quando si scoprono degli spiccioli inattesi in una tasca della giacca invernale", che finisce dentro lo scarico di un bidet "dove le grandi effusioni svaniscono a forza di saponetta, rabbia e acqua tiepida."
Questo è il secondo libro che leggo di Antonio Lobo Antunes e rispetto al primo, "Lo splendore del Portogallo" l'ho trovato molto più scorrevole come stile in quando la voce narrante rimane la medesima e non cambia come nell'altro. In termini di bellezza e approfondimento sono sullo stesso piano, forse "Lo splendore del Portogallo" ha una marcia in più perché risulta essere più impegnativo per la coralità delle voci e i flussi di coscienza, per questo motivo consiglio, a chi vuole avvicinarsi a questo autore, di iniziare magari da questa lettura, fluida ma carica del suo stile inconfondibile. Uno scrittore vivente, tra i massimi scrittori portoghesi e che spero davvero tanto possa vincere il Nobel per la letteratura perché le sue pagine sono di un lirismo e di una profondità che in pochi hanno saputo creare.