Il vento conosce il mio nome
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"Non bisogna avere paura"
Indubbiamente Isabel Allende sa raccontare storie che restano nel cuore, con uno stile tutto suo, facile da leggere, realista, tanto da essere considerata punta di diamante di un nuovo tipo di far letteratura e di un nuovo movimento letterario (la cosiddetta “novisima literatura”). Apparentemente opaco e monocorde, il suo stile sa coinvolgere il lettore, lo avvinghia in una morsa commovente, merito principale delle storie che si dipanano pagina dopo pagina, e che narrano di vite perse, di violenze, di riscatti e di nuove speranze nascenti. Sono vicende lontane tra loro nel tempo e nei luoghi: vicende di sofferenza umana, di ricerca di una nuova umanità, di speranze mai spente, tenaci, profonde che possono avere, ma non sempre, soluzioni appaganti.
I protagonisti non si dimenticano facilmente. Il primo è Samuel Adler, un mite ebreo viennese, che, da bambino, mentre i genitori agli albori della seconda guerra mondiale venivano deportati nei campi di concentramento, riesce ad evitare la persecuzione nazista fuggendo in Inghilterra: qui inizierà per lui un percorso difficile, passando da una famiglia all’altra fino a trovare chi saprà veramente volergli bene. Suona il violino, si salva con la musica, la sua ancora di salvezza, che lo porterà poi lontano, in America, dove troverà in un nuovo modo di fare musica, il jazz, la ragione per riconciliarsi con il prossimo.
Non meno tormentata la storia di Leticia, una bimba di El Salvador: il suo villaggio viene assalito da battaglioni addestrati da militari statunitensi, gli abitanti, colpevoli di aver aiutato gruppi di guerriglieri comunisti, vengono massacrati in modo orrendo (il tristemente noto massacro di El Mozote), tutto il paese è messo a ferro e fuoco. Leticia fugge, inizia un suo percorso tormentato che la porterà anni e anni dopo ad accudire un vecchio signore benestante: è Samuel, che, dopo tre matrimoni, vive nel ricordo di Nadine, l’ultima moglie, morta dopo una lunga malattia.
Il caso più commovente è quello di Anita, una bambina ipovedente: tenta di emigrare dal Messico negli Stati Uniti, alla frontiera viene separata dalla madre Marisol, finisce in un centro di accoglienza e poi in varie case famiglia, il ricongiungimento le viene sempre negato. La piccola soffre in silenzio, comunica con una sua personale “angela”, sa reagire saggiamente alle avversità della vita, con la speranza di rivedere un giorno la mamma. Il suo sogno non si avvererà, nonostante l’aiuto di Selena, una giovane messicana che si batte per i diritti dei migranti, aiutata da un coraggioso avvocato: la madre finirà brutalmente uccisa, ma il destino riserverà ad Anita una sorpresa: si scoprirà che Leticia è cugina del padre di Anita, Leticia e Anita si ritroveranno. Così, ecco un finale consolante: nella casa di Leticia e Simon, la bimba troverà finalmente affetto, calore umano e un avvenire sereno.
Non è facile seguire le vicende narrate, anche perché si svolgono in piani temporali diversi, dalla seconda guerra mondiale ai tempi nostri: i collegamenti a volte sfuggono, ma i protagonisti non si dimenticano facilmente, ognuno con le sue peculiarità, un’indomabile voglia di vivere e di superare un cammino irto di difficoltà. Isabel Allende pone in primo piano il mondo di chi vuole sopravvivere, cercando con ogni mezzo una “terra promessa”, che sembra opporre sempre ostacoli d’ogni genere. Il prezzo da pagare è sempre altissimo: per Simon il distacco forzato dalla famiglia, finita nei campi di sterminio, per Anita la tragica morte della mamma ed il calvario da una famiglia d’adozione ad un’altra. Lo stile narrativo non è forse all’altezza delle opere migliori, configurandosi più come una cronistoria di eventi, senza introspezioni psicologiche o momenti di riflessione. Fanno eccezione i lunghi soliloqui della piccola Anita, la tenerezza dei suoi ricordi, la sua commovente speranza di ricongiungersi con la mamma lontana, l’incrollabile fiducia nella sua “angela” personale: qui la Allende tocca corde di sentimenti profondi, resi veri e credibili da un racconto ingenuo e sincero.
Resta, forte e indimenticabile, il messaggio: violenze e persecuzioni, povertà e sfruttamento sono ancora piaghe che distruggono vite e che non è facile raccontare, insabbiate spesso perché non se ne abbia memoria. Ma Anita, Simon, Leticia sono ancora lì, tra le righe, a raccontare, perché, come sussurra Anita, “… il vento conosce il mio nome … tutti sanno dove siamo … io sono qui con te, so dove sei tu e tu sai dove sono io … Lo vedi? Non bisogna avere paura”.
Indicazioni utili
Samuel & Anita
«Le umiliazioni continuano ad aumentare: cos’altro possono portarci via? La vita, non ci resta altro.»
Torna in libreria Isabel Allende con “Il vento conosce il mio nome”, opera che oscilla tra presente e passato sino a ricomporre un puzzle fatto di anime, storie e vite. Eh sì, perché l’Allende non teme di porre la sua attenzione su un tema ad oggi scottante: l’immigrazione e in particolare quella del Sud America verso gli Stati Uniti. Ma proseguiamo con ordine.
È il 1938, Vienna non è più la città di un tempo. L’annessione con la Germania ha portato a una diffusione della cultura antisemita, gli ebrei hanno sempre più paura. Qualcuno è riuscito a scappare, la maggioranza non è ancora davvero consapevole del cosa stia accadendo e non è ancora scappata. Tra questi vi è Samuel Adler, un bambino ebreo di quasi sei anni che è fortemente legato alla musica. I suoi genitori cercano di proteggerlo, il padre intesta tutti i beni all’amico di famiglia viennese per tutelarli ma resta vittima delle sovversioni della Notte dei Cristalli, è gravemente ferito e ben presto trova la morte nel campo di concentramento in cui viene deportato. La madre, dal suo canto, perde ogni notizia del marito, cerca di guadagnarsi un visto per il Cile ma senza successo. Non c’è scelta se non quella di separarsi dal figlio mettendolo su un treno destinato all’Inghilterra in modo che possa salvarsi. Anche per lei, le sorti non saranno liete. Samuel parte con la morte nel cuore, una medaglia datagli dal vicino ex colonnello nella Grande Guerra affinché abbia sempre coraggio e il suo inseparabile violino. In Inghilterra la vita non è semplice, ancor meno per chi come lui ha un’indole riservata e un carattere chiuso. Non sarà semplice trovare la giusta famiglia adottiva, crescere e studiare.
«Le immagini più persistenti del suo passato, che sarebbero rimaste intatte nella memoria di Samuel Adler fino alla vecchiaia, sarebbero state quell’ultimo abbraccio disperato e sua madre in un bagno di lacrime, sorretta dal braccio fermo del vecchio colonnello Volker, che sventolava un fazzoletto alla stazione, mentre il treno si allontanava. Quel giorno la sua infanzia finì.»
La narrazione si sposta a Berkeley, siamo tra il 1981 e il 2000 quando conosciamo Leticia Cordero con cittadinanza e passaporto statunitensi e la pelle color dulce de leche. È arrivata nella nuova terra dopo che la sua famiglia è stata massacrata. Si è salvata insieme al padre solo perché nel momento in cui il suo villaggio è stato distrutto si trovava in città per essere operata di una brutta ulcera. Ha attraversato il Rio Grande con Edgar Cordero, il padre, pronto a ogni sacrificio per lei. È ribelle Leticia, ama la vita, ama il padre, ama gli uomini e ama la passione. Scappa giovanissima e non poche saranno le avventure che dovrà vivere.
È il 2019, ci spostiamo a Nogales dove conosciamo Selena Duran, membro attivo del progetto Magnolia nonché assistente sociale. È pronta a recarsi allo studio legale Larson, Montaigne & Lambert per illustrare le sue richieste. Ha bisogno di supporto per aiutare tutti quei bambini che, varcato il confine, a causa della politica di tolleranza zero, vengono separati dalla madre e dal padre. Lo studio è noto per non essere particolarmente onesto e per difendere anche personalità corrotte anche a costo di pagare somme di denaro. Frank Angileri è il pupillo e prediletto della società, resta affascinato da questa donna così lontana dai suoi standard e che non si pone problemi né sul vestire né sul mangiare liberamente. Selena lo incarica di occuparsi di Anita Diaz, di anni sette, separata dalla madre Marisol e cieca. Incontrata la bambina, conosciuto il sistema applicato sui migranti, Frank prenderà a cuore la causa e comincerà a vedere le cose in modo molto diverso.
Isabel Allende con “Il vento conosce il mio nome” dà vita a un romanzo corale narrato su più assi temporali che ricompone il volto di una realtà non facile. Non teme di porre l’accento sul carattere della denuncia, perché se sei un criminale hai diritto a un avvocato, se sei uno straniero no. Non teme di evidenziare le incongruenze di un sistema fallace e contradditorio. Ed ancora, non teme di mostrare il volto di una società basata su una assenza profonda di valori. Ma non si ferma qua. Con “Il vento conosce il mio nome” ci insegna che la Storia fa il suo corso ma che non sempre l’uomo impara dai suoi errori.
Una lettura forte e coinvolgente, che conduce per mano con un ritmo narrativo rapido e fluente, quasi fiabesco in alcuni passaggi, ma mai scontato o staccato dalla realtà. Da leggere.