Il tè nel deserto
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Un viaggio che si trasforma in trappola
Questo romanzo assume la forma del racconto di un viaggio. Il viaggio è tipico della letteratura americana da Kerouac a Hemingway e Bowles forse senza nascondere le fragilità della cultura occidentale narra di un’avventura che, lungi dal desiderio di ispirare la conoscenza di un mondo esotico differente dalla cultura d’origine dei protagonisti, si rivela in realtà un viaggio senza esito se non addirittura una trappola. I tre personaggi, una coppia in crisi ed un amico comune, si avventurano dalle coste dell’Algeria fino alle profonde lande desertiche del Nordafrica alla ricerca di se stessi e di una dimensione coerente della loro esistenza con la realtà. L’indagine però non parte coi presupposti migliori: Kit, Port e Tunner, questi i nomi dei protagonisti ,sono legati da rapporti reciproci poco chiari, ipocrisie, superficialità , incomunicabilità. Port e Kit vivono due visioni dell’esistenza non sovrapponibili: l’uno avvinto da una spirale negativa di limiti alla sostenibilità di una vita piena e soddisfacente,l’altra non decisa a superare angosce e paure più per lasciare spazio alla personalità del coniuge che per vincere incapacità proprie. Tunner invece ragazzo immaturo e superficiale si inserisce nel rapporto tra i due coniugi non si sa per noia o per interesse flirtando a tempo perso con Kit. Nel corso della vicenda si inserisce il mistero e la magia del paesaggio ,della cultura africana e del suo popolo che non trovano alcun punto di corrispondenza con la ricerca compiuta dai tre compagni di viaggio che via via che proseguono nell’itinerario senza meta si separeranno e si disperderanno fino ad un punto di non ritorno ,stregati dall’assenza di spazio e di tempo nella percezione deformata che ne danno l’avvolgente cielo e deserto africani . Il libro scorre dal punto di vista narrativo non senza tratti spasmodici , descrizioni meticolosamente affannose di fatti e ambienti in linea col dramma vissuto dai personaggi. Nel complesso la vicenda è
triste ma non è priva di spunti di riflessione sul senso della vita e sulla ricerca della felicità… non una storia da liquidare, comunque, come fine a se stessa.
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viaggiatori vuoti
L'avevo in libreria da un po' e, non sapendo cosa aspettarmi, ne rimandavo sempre la lettura.
Non si legge facilmente, non ci si rilassa ma, in alcune pagine (poche in realtà) si resta quasi rapiti dal paesaggio, e dalla vita nell' Africa del Dopoguerra.
I protagonisti sono marito, moglie e un loro amico, si definiscono viaggiatori quindi non hanno scadenza e itinerario per il loro viaggio, ma ovunque vadano sono scontenti. Li ho trovati vuoti, apatici e come se cercassero volontariamente l'infelicità. I problemi di coppia non vengono affrontati, l'amico è il terzo incomodo che ci si porta dietro per non restare soli insieme e lui sembra non far caso a nulla.
L'ultima parte del libro, poi, è stata irreale e assolutamente deludente.
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Una fantomatica ricerca di se stessi
Lui, lei e l’altro tra le sabbie del Sahara. Port Moresby e la moglie Kit vagano per il Nordafrica accompagnati dall’amico George Tunner, in un viaggio senza meta e senza limiti di tempo che li differenzia dai comuni turisti, pronti a tornare a casa in capo a qualche settimana. Loro invece si definiscono viaggiatori, perché non appartengono a nessun luogo, non hanno fretta e non hanno obiettivi precisi. Il gruppo si muove secondo un itinerario stabilito alla giornata, tra sabbia e insetti, tra città fatiscenti e culture diametralmente opposte, trovandosi coinvolto in un intreccio di amore e tradimenti, di noia e diffidenza, di fatalismo e insoddisfazione. La coppia attraversa un momento di profonda crisi, l’indifferenza sembra aver preso il posto dell’amore, la presenza del terzo incomodo pare essere studiata apposta per dare una svolta alla situazione. Ma la svolta arriverà da un’altra parte e sarà la morte a portarla. Port sarà stroncato da un letale attacco di febbre tifoidea e questo evento scatenerà in Kit un turbine di sentimenti contrastanti che la porterà a vivere con arrendevolezza e confusione una serie di tragiche avventure. Le atmosfere magiche del Magreb, le distese sabbiose bruciate dal sole, la brillante idea, tipicamente Beat, del viaggio senza meta sono gli elementi di maggior interesse in un libro che fatica a catturare il lettore con una trama poco coinvolgente e personaggi che, crogiolandosi nella noia, nell’ozio, nella passività, non riescono a trasmettere la giusta empatia. Non aiuta di certo, in questo senso, l’atteggiamento dei tre protagonisti e degli altri occidentali che entrano nella storia, di rifiuto, avversione, totale diffidenza nei confronti della cultura del luogo, le continue lamentele riguardanti il cibo, le condizioni sanitarie, l’indole delle popolazioni indigene. Tanto che viene da chiedersi: come mai non sono rimasti a casa loro? Lo stesso autore, pur ambientando l’intero libro in terra magrebina, non approfondisce mai neanche il più banale aspetto delle tradizioni e della civiltà del mondo arabo, concentrandosi soltanto sui caratteri occidentali di protagonisti snob e viziati che sembrano viaggiare, vivere, amare soltanto per inerzia, con un’indolenza e un’apatia deplorevoli, impegnati in una fantomatica ricerca di se stessi che non li porta da nessuna parte. “«Pensavo che la vita fosse qualcosa che andasse via via acquistando slancio. Anno per anno sarebbe diventata più ricca e più profonda. Uno imparava sempre più, diveniva via via più saggio, aveva maggiori capacità di introspezione, si addentrava sempre più nella verità…». Esitò. Port rise bruscamente. «E ora sai che non è così. Vero? E’ piuttosto come fumare una sigaretta. Le prime boccate hanno un sapore meraviglioso, e non pensi nemmeno che possa mai esaurirsi. Poi cominci a darlo per scontato. D’improvviso ti rendi conto che si è consumata quasi tutta, e proprio allora ti accorgi che in fondo sa di amaro»”.