Il treno
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La squallida passione di un uomo ordinario
Che storia vuole raccontarci Simenon con questo romanzo? Una storia d'amore? Di passione? Oppure, più verosimilmente, una squallida parentesi di vita di un uomo ordinario?
"Il treno" inizia con uno spaccato di felice vita familiare: l'odore del caffè che si diffonde in una casa di un villaggio di campagna, abitata da una bambina, una donna incinta e un padre che si prepara ad una giornata di lavoro nella bottega adiacente all'abitazione. Sembra una normale e soleggiata mattina di agosto a Fumay, piccola cittadina sul confine francese, quando la Guerra irrompe con tutta la sua violenza costringendo gli abitanti all'evacuazione. Tra questi c'è anche la famiglia di Marcel, che, dopo aver chiuso rapidamente i bagagli, si dirige alla stazione insieme a sciami di profughi per salire su uno dei pochi treni disponibili. Moglie e figlia da una parte, marito dall'altra: Marcel si ritrova all'interno di un carro bestiame che, a causa degli stravolgimenti della guerra, sarà addirittura separato dal resto del convoglio, finendo, infine, a La Rochelle.
Quello che succede nel vagone del treno rispecchia perfettamente la sospensione della morale in tempo di crisi raccontata dai più celebri autori della letteratura di tutti i tempi (da Tucidide con la peste di Atene, a Manzoni con gli avvenimenti di Milano). E così anche Marcel, in poche ore, dimentica i propri doveri coniugali e si abbandona alla passione insieme ad Anna, una donna ceca di origine ebrea salita a bordo dopo l'evacuazione di una prigione.
Sicuramente straniante è, dal primo momento, l'indolenza (per non dire indifferenza) del protagonista di fronte agli stravolgimenti imposti dalla guerra: non un momento di esitazione, né di avvilimento o disperazione, anzi, quasi una certa compiacenza nei confronti del destino che lo allontana dalla propria apparentemente idilliaca vita quotidiana. È un uomo banale, Marcel: cagionevole fin da bambino, privo di qualsiasi specifica qualità, fortemente miope (la sua unica preoccupazione è quella di ritrovarsi senza gli occhiali di scorta nella tasca), sembra essersi trovato per caso nella sua vita borghese, tanto da non dispiacersi affatto di doverla abbandonare. Anche nella ricerca del vagone che ospitava sua moglie e sua figlia, Marcel agisce con un certo automatismo: si reca ogni giorno a controllare gli elenchi degli sfollati senza mostrare particolare apprensione, e torna indietro serenamente quando si accorge che i nomi da lui cercati non sono nella lista.
Anna, dal canto suo, si attacca a lui con l'ostinazione di un cane fedele: lo segue ovunque, in silenzio, senza fare domande e senza spingersi oltre il limite invalicabile che è la vita fuori dalla condizione in cui si trovano. Vivono clandestinamente in un campo profughi per cittadini belgi, e quel luogo di disperazione diventa la loro oasi d'amore, in cui fanno colazione al bar, comprano vestiti e si abbandonano a lunghi picnic sulle spiagge del porto. Entrambi consapevoli della mancanza di un domani, sospesi in un limbo i di quella che Anna chiama, puerilmente, felicità.
Quei momenti sono destinati a finire e, infatti, finiranno. La storia ci viene raccontata da Marcel nella speranza di lasciare al figlio un'immagine diversa di sé stesso, dimostrandogli che, anche solo per un breve periodo, è stato in grado di provare delle passioni. Ma è davvero così?
Marcel non ha, in realtà, passione per nulla. Vive in una bolla, completamente estraniato dal mondo che lo circonda, come se la miopia gli affliggesse più il pensiero che la vista in sé. Non si preoccupa della figlia e della moglie lontane, né del figlio in arrivo in un ospedale di guerra; non si preoccupa di aver abbandonato il proprio laboratorio a dei predoni stranieri, tantomeno di lasciare gli animali della sua fattoria incustoditi e destinati alla morte. E non si preoccupa nemmeno di Anna, che abbandonerà (apparentemente) con più dispiacere rispetto al resto, salvo poi riservarle la stessa indifferente brutalità alla fine del romanzo.
È un libro che scorre lento, nonostante i continui stravolgimenti della sorte, proprio per la mancanza di trasporto del protagonista su cui sono incentrati gli avvenimenti. Sembra di assistere costantemente alla rivincita di un uomo che, nella sua vita, non ha mai potuto fare ciò che realmente voleva (per fortuna, aggiungerei). La sua libertà si manifesta nella possibilità di deresponsabilizzarsi, di vivere solo per sé potendo trascurare le conseguenze delle proprie azioni. Quando, al contrario, la quotidianità ritrova il suo ordine e ogni azione ha il peso che le spetta, non esiterà a mettere a repentaglio la vita di chi dice di amare pur di non modificare niente della sua ordinaria esistenza borghese.
Non il migliore romanzo di Simenon, nonostante meritino una menzione speciale i meravigliosi momenti di lirismo nel descrivere gli atti della passione erotica.
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Un uomo qualunque
E’ innegabile che fra le straordinarie qualità di narratore di Georges Simenon vi sia anche quella di portare alla ribalta personaggi di modesto spessore, degli uomini qualunque quindi, quasi sempre perfettamente anonimi. In genere sono membri della piccola borghesia, schiavi di abitudini al punto da rendere la vita un grigiore quotidiano, ed è questo anche il caso di Marcel, sposato con una donna prossima a partorire, padre di una bambina, proprietario di una villetta e artigiano che si occupa della riparazione di apparecchi radio, nonché della loro vendita. E’ del resto sempre il caso che porta in luce questi mediocri protagonisti e in questa circostanza gioca un ruolo determinante l’invasione del Belgio, dove l’uomo risiede, da parte dei tedeschi agli inizi della seconda guerra mondiale. Tutti fuggono, anche lui, e come tutti senza una meta ben precisa, solo che nel treno con cui si muove avrà un incontro che potrebbe determinare una svolta nella sua vita, il risveglio da un sonno letargico che da sempre l’accompagna, la rottura definitiva con un mondo in cui si crogiola senza esserne pienamente soddisfatto. Non sarà così, nemmeno un atto d’amore con una sconosciuta profuga ebrea potrà disturbare il suo stile di vita e ognuno andrà per la sua strada, soprattutto lui che ritornerà a quel mondo asfittico, ma protettivo in cui ha sempre vissuto. E se la donna proverà dolore dalla separazione, Marcel invece finirà con il considerare quell’incontro come una parentesi, rinnegando la passione che lo aveva preso, rinunciando a un cambiamento, atteggiamento tipico di un uomo senza qualità. Certo lei non aveva nulla da perdere, mentre lui qualcosa a cui attaccarsi, anche se modesto e quotidiano, l’ha sempre avuto. Si potrebbe dire che chi nasce senza il desiderio di costruirsi una vita sua, diventerà un perfetto anonimo, confuso nel grigiore di tutti i giorni, incapace non solo di autentici sentimenti, ma anche talmente egoista da non amare nemmeno se stesso. Marcel é un mediocre, un essere per cui non si prova simpatia, ma Simenon é riuscito a farne un personaggio indimenticabile, un essere di una banalità sorprendente, ma pur tuttavia portatore di un malessere rappresentato da una latente infelicità, a cui lui comunque non intende porre rimedio, nonostante l’occasione che gli si era presentata, troppo rivoluzionaria per le sue abitudini.
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Una bolla di felicità o il treno giusto
Marcel ha conosciuto la felicità, gli è capitata, all’improvviso e in un momento che ai più sarebbe parso quantomeno fuori luogo, eppure è riuscito a cavalcarla quell’onda e ne va fiero. Scrive perciò un memoriale e fissa il ricordo con l’unica preoccupazione di trasmettere, un domani, ai figli un’idea di sé diversa perché lui Marcel non è solo marito, padre, uomo cauto e accomodante, ma è anche colui che è stato capace, almeno una volta nella vita, di vivere appieno e di essere felice.
Fu quando le Ardenne vennero invase dalle truppe naziste, fu quando a dispetto della sua indole e della famiglia di sua moglie, ebbe il coraggio di lasciare la sua tranquillità borghese, la casa di proprietà, il piccolo villaggio per tentare la via della salvezza e trovare come profugo rifugio nel sud della Francia. Inizia così un viaggio in treno ed è questa l’immagine, la metafora, il simbolo su cui ruota l’intera narrazione.
È un treno mai uguale a se stesso, i suoi vagoni sono agganciati e sganciati a creare sempre nuove formazioni. Alcuni, quelli da carro bestiame su cui egli viaggia, rimangono fissi, altri vengono staccati: francesi, belgi, infermi, malati mentali, degenti di un ospizio evacuato, una moltitudine indistinta , alcune facce note del villaggio i compagni di viaggio.
L’itinerario non è lineare, non è prevedibile, non è noto, la destinazione per La Rochelle è chiara solo all’arrivo. Lunghe soste, scambi infiniti, percorsi alternativi, bombardamenti, inquadramenti rigidi, militari, libertà e anarchia, sono situazioni tutte verificatisi e/o verificabili per questi passeggeri. Costretti a una convivenza forzata in spazi angusti in una situazione al limite della realtà, reagiscono agli eventi, il più delle volte, abbandonandosi a bassi istinti sessuali.
Marcel, arroccato sul suo baule da viaggio, consapevole che il vagone sul quale viaggiavano la moglie prossima al parto e la figlioletta di quattro anni è stato sganciato e prosegue la sua corsa verso altre direzioni, assiste imperturbabile agli eventi. La sua decisione non viene mai messa in discussione, i suoi sentimenti sono congelati, paradossalmente non è preoccupato per sé e non è disperato per la perdita della famiglia.
La guerra, l’invasione, la fuga gli stanno regalando una bolla spazio-temporale e lui ci si infila dentro, la vive come mai era stato capace prima.
Una donna, sapremo gradualmente, ceca, ebrea, rilasciata da un carcere femminile per l’eccezionalità degli eventi in corso, emblematicamente vestita di nero, sale sul suo vagone. Non parla con nessuno, mostra vicinanza emotiva ed empatia a Marcel in occasione della perdita della famiglia e di seguito, in un arco temporale brevissimo, attrazione fisica e amore. I due si vivono come coppia in perfetta armonia e felicità- la bolla scoppia quando gli eventi permettono a Marcel, pur senza grossi affanni, di sapere che ne è stato della sua famiglia. Spinto dall’immediato desiderio di ritrovarla, consapevole che la sua bolla di felicità sta venendo meno, rientra nei ranghi della sua esistenza, quella ordinaria in cui gli eventi accadono e si vive e si ha parvenza di vita ma è solo scorrere del tempo.
Ancora un’esistenza metaforica ci regala il belga, ancora un’ansia di felicità scomoda e respingente quanto l’adulterio, il profondo tradimento della moglie, della figlia, di sé di cui si può essere capaci per assaporare un gusto della vita altrimenti inaccessibile e reso possibile solo da una situazione non ordinaria, non quotidiana ma surreale, paradossale e per questo colma di felicità.
Non nego che l’immagine del treno cui si accompagnano la corsa, gli incontri, le vicinanze, le scelte ha esercitato su me un fascino tale da rendere possibile la sospensione di quell’etica di cui normalmente sono convinta devota ( amore coniugale, fedeltà) e che la lettura non ha fatto scatenare alcun giudizio morale sulla condotta di Marcel. Simenon è riuscito, incredibile, a far entrare anche me in quella famosa bolla e a farmi gioire per quello che comunque rimane il suo ennesimo vinto.
Perdura altresì in me la convinzione che l’ordinario e il quotidiano siano la fonte primaria della nostra felicità a patto di avere avuto la fortuna di aver preso il treno giusto...
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Un treno di sogni
Maggio 1940, le truppe Tedesche stanno per invadere l’Olanda e ben presto entreranno anche in Belgio e in Francia dove Marcel vive in un remoto paesino, Fumay, con moglie incinta e figlia.
Marcel passa i suoi giorni a riparare radio e a dar seguito alla sua vita piatta, priva di emozioni, con accanto una moglie che poco lo aiuta a tirare fuori grinta e passione.
Date le circostanze, in paese c’è grande fermento per raccogliere quei pochi affetti che possono stare nello spazio di una valigia e salire su uno dei treni che regolarmente partono per una destinazione incognita ma che si presume essere migliore di quella attuale.
Così fa Marcel e la sua famiglia ed inizia il loro viaggio, il suo viaggio verso qualcosa di nuovo, verso una riscoperta interiore che ormai sembrava perduta, invece era solo dormiente.
Basta una separazione di Marcel dal resto della famiglia, destinati a scompartimenti diversi (il padre sarà costretto in uno scompartimento adibito in precedenza al trasporto di bestiame) ed un successivo frazionamento del treno che dividerà definitivamente le loro sorti, a dare inizio al viaggio di Marcel in una dimensione parallela, quella dell’amore e della passione come forse mai li aveva visti o quanto meno che aveva ormai dimenticato.
E’ Anna, una giovane ebrea ceca, ad accendere nel protagonista il forte desiderio inebriante.
Avvolta nel suo vestito nero come a protezione da un passato nebuloso, ben presto essa si avvicinerà a Marcel che accoglierà fiero il suo invito, sia esso di protezione, sia esso di affetto oppure di becera convenienza, poco importa, l’importante è stringerla a sé, toccare il suo giovane corpo sino a possederlo in mezzo a tutta l’altra gente dormiente tra le pareti di un vagone del treno che lo sta portando verso una rinascita dei sensi, da troppo tempo assopiti.
Il viaggio continua, si attraversano paesaggi sempre nuovi, si assapora il gusto amaro di una guerra insulsa e se da un lato sfuma il ricordo della vera famiglia (sino a non ricordare nemmeno più i volti delle sue care), dall’altro cresce l’amore verso Anna che non chiede nulla, se non stargli vicino e soddisfare il suo bisogno d’affetto.
Il treno rappresenta per Marcel un sogno che coincide freudianamente con la realizzazione di un desiderio mancato; lì si è preso una pausa dalla sua vita quotidiana per immergersi in quello che ha sempre desiderato, una vita piena di passione e amore.
Faranno da cornice agli eventi alcuni luoghi di mare, il mare che Marcel non ha mai visto e che gli si presenta davanti nel miglior momento possibile, un’aggiunta di sale che rende il racconto ancor più onirico.
Ma dopo ogni bel sogno arriva il risveglio, l’amarezza in bocca, la resa dei conti con la realtà che ti riacchiappa e ti riporta a terra mettendoti sulle spalle quel fardello di responsabilità che avevi lasciato, ma solo per un po’.
Come sempre Simenon riesce a racchiudere in poche pagine e, in questo caso, nel vagone di un treno, un insieme di dialoghi, di sensazioni, di paesaggi che rendono il racconto piacevole e unico nel suo genere.
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Con te sono stata felice
Il Treno di Georges Simeon è un’opera tanto enigmatica quanto magnetica. In sé per sé il romanzo, seppur con una partenza fin troppo rilassata, si fa divorare nell’arco di una giornata lasciando dipinti nella memoria paesaggi indimenticabili.
Marcel non conosce l’amore, nessuno glie lo ha mai insegnato. L’unico ricordo che ha della madre è quello di una donna rapata a zero e completamente nuda che a seguito di una qualche violenza lascia marito al fronte e figlio di anni 10 tra una imprecazione e l’altra a loro stessi e la memoria più vivida del padre concerne le aberrazioni vissute in guerra mixate con l’infinito dispiacere determinato dall’abbandono della consorte ed un’unica vera grande consolazione: l’alcool. Marcel è inoltre un giovane dalla salute cagionevole, tubercolotico e miope si ritrova a soli 14 anni in sanatorio e quando al compimento del diciottesimo anno di età tornerà a casa si dedicherà alla riparazione di piccoli elettrodomestici, nello specifico radio. Convinto che nessuno lo avrebbe mai sposato non indugia un solo secondo quando Jeanne si dimostra interessata a lui e con lei decide di trascorrere i giorni della sua vita.
Ma è veramente felice Marcel? Vive a Fumay con la figlia di 4 anni Sophie e sua moglie Jeanne al sesto mese della sua seconda gravidanza, ha un lavoro ben avviato e una casa di sua proprietà. Eppure qualcosa manca nella sua vita. Non è minimamente toccato dall’invasione tedesca, per lui era un qualcosa che doveva accadere da oltre un anno e quando è costretto a lasciare la sua casa, il suo lavoro, i suoi averi e perfino i familiari da parte della moglie (padre e sorelle) non se ne dispiace minimamente anzi, si sente sollevato!! L’idea in particolare di non avere più a che fare con il capofamiglia autoritario della coniuge che per loro aveva sempre tutto deciso o con le continue fughe di Jeanne dalle sorelle e dai genitori perché incapace di prendere anche la più piccola decisione senza la guida familiare, per lui non sono altro che boccate d’aria fresca. Una liberazione allo stato puro!
Si sente stranito dalle sue sensazioni anche successivamente quando prende consapevolezza del fatto che durante il viaggio è stato separato dalla moglie e dalla figlia. Si stupisce eppure si rende conto di non dipendere da loro e di poter fare a meno anche di queste. E’ calmo il nostro Marcel, non è assalito dalla preoccupazione o dall’agitazione perché mosso dalla consapevolezza intrinseca che quella che dovrebbe essere la sua famiglia sta bene. Lui lo sa.
Ed eccola. Silenziosa e agile prende posto sul treno. I suoi lunghi capelli neri e il suo abito scuro dovrebbero renderla mimetizzabile in un affollato vagone merci eppure tra tutti e tra tutte proprio lei spicca agli occhi di Marcel. Ed è sempre con lei che per la prima volta il protagonista di questo racconto prende consapevolezza di sé e si sente vivo:
“Non gridai. Ma fui li per farlo. Fui lì li per pronunciare parole senza senso, per esprimere la mia gratitudine, la mia felicità, o anche per lamentarmi, poiché era una felicità che mi faceva soffrire. Soffrivo di non poter raggiungere l’impossibile.
Avrei voluto esprimere tutta la mia tenerezza per quella donna che il giorno prima non conoscevo, ma che era un essere umano, che diventava ai miei occhi l’essere umano”.
E per la prima volta può dire di essere appagato dalla vita. Ma non quella soddisfazione determinata dall’agio e dall’aver tutto, il suo corpo vibra, la sua anima è un turbinio di emozioni, non è lo stesso Marcel di pochi giorni prima. E’ consapevole di non essere l’unico ad esser libero e a sentirsi preda degli avvenimenti, anche gli altri membri del treno sembrano incantati dalle circostanze. Fatica a riconoscersi.
“Non ho vergogna di dirlo, ero felice, di una felicità che stava alla felicità di ogni giorno come il suono che viene fuori passando l’archetto dal lato sbagliato del ponticello sta al suono normale di un violino. Un suono acuto, squisito, che faceva deliziosamente male”.
I due si fondono in un solo corpo e in una sola anima, le loro carni sembrano voler divenire una cosa sola, uno sguardo è sufficiente per intendersi, perfino un silenzio è reso magico se riguarda Anna e Marcel.
Ma la verità è ben diversa da quella che l’uomo ha davanti, non può negare di avere una moglie, una figlia e un pargolo in arrivo. Sa che tra lui e Anna non c’è futuro ma si ostina a non volerlo ammettere. Al tempo stesso sa che così stan le cose e nulla fa per cambiarle. Sotto certi aspetti illude la donna di un qualcosa che mai ha veramente avuto intenzione di darle. Infine la separazione. Inevitabile quanto fastidiosa. Da una cosa sola la sente un’estranea, un elemento di disturbo, non la vuole con sé.
Magistralmente scritto, Simeon ci dona non un’opera canonica ricca di avventure e fatti susseguenti bensì di psicoanalisi. Marcel sa farsi odiare (e ci riesce molto bene) ma sa anche farsi amare con la sua crudele umanità. Anna e i suoi silenzi, Anna e i suoi sguardi, Anna e i suoi dolori celati sono il motore del romanzo e tutti leggendo le parole dell’autore ci sentiamo tanto lei quanto il Marcel che desidera essere un altro, il Marcel che brama di lasciare ciò che ha ma non ne ha il coraggio, il Marcel che dinanzi alla sua debolezza sembra quasi voler rinnegare quel che ha fatto e quanto vissuto, e istintivamente disdegniamo il Marcel capace di distruggere la persona che gli ha donato la vita, che lo ha fatto rinascere.
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Perduto come un uomo nella notte
Questa è una storia di non amore, che inizia di fatto con l'immagine di una donna rapata a zero e denudata che urla insulti e oscenità contro alcuni ragazzi che la circondano. Una donna probabilmente punita per la sua condotta riprovevole nel periodo del primo conflitto mondiale, mentre il marito era al fronte.
Marcel, io narrante del romanzo, porterà dentro di sé i segni di questa scena della sua infanzia, e la figura umiliata della madre, il suo insolito turpiloquio, ne distruggeranno per sempre la capacità di amare.
Simenon, con stile semplice e scorrevole, non rinuncia in quest'opera a seminare indizi ed interrogativi, ma di natura psicoanalitica.
“...ero diventato un uomo felice, mettetevelo bene in testa, amavo mia moglie e amavo mia figlia”.
La necessità di ribadirlo – forse più a se stesso che a chi legge – nasce da una contraddizione di fondo, perché Marcel accoglie con gioia lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale e aspetta con ansia che la Francia sia invasa dai tedeschi: “Quella guerra, scoppiata all'improvviso dopo un anno di calma apparente, era una faccenda personale tra me e il destino”.
Nella sua vita deve succedere qualcosa che nessuno ha il potere di controllare (neppure il suocero che ha deciso tutto per lui), c'è un appuntamento a cui non può e non vuole mancare.
Decide di fuggire con la famiglia prima dell'arrivo dei tedeschi, malgrado la gravidanza avanzata della moglie, acquista provviste per il viaggio, tra cui - emblematica distrazione - un salame all'aglio che moglie e figlia detestano.
Sono profughi ormai, e attendono la partenza del treno che li porterà a sud, verso destinazione ignota: “Non sentivo dolore, e non pensavo a niente”.
A parte una piccola fitta di nostalgia per il gallo e le galline lasciate ad un vicino, Marcel lascia senza rimpianti la sua casa e il suo laboratorio di elettrotecnico, considera anzi “intollerabile” la sola idea di tornare indietro.
Unica costante preoccupazione, quella di avere sempre a portata di mano gli occhiali di riserva, senza i quali, miope com'è, si sente “perduto come un uomo nella notte”.
Cosa cerca Marcel? Cerca una felicità incondizionata, senza passato né futuro, destinata a non durare per la sua stessa intensità: “Un suono acuto, squisito, che faceva deliziosamente male”.
La trova su un carro bestiame, in una donna straniera che gli si concede subito, con l'urgenza e la spensieratezza di chi vive disperatamente il presente: “Torturavamo le nostre carni nel vano tentativo di fonderle in una sola”.
Lei carpisce al volo i suoi pensieri e lo seguirà ovunque fino a quando sarà possibile, mentre in quello stato di ebbrezza lui ritrova odori e sapori di un'infanzia irrisolta.
Vieni con me, le dice, ti amo, le dice...
“Ma poi era lei che amavo, o la vita?”
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Il vagone sbagliato
Nello scenario della seconda guerra mondiale, durante l'avanzata dell'occupazione delle truppe tedesche nel Nord della Francia, nelle Ardenne, a Fumay vive, assieme alla moglie in dolce attesa e alla figlia, Marcel. È buon padre, ma personaggio alquanto mediocre, che si vede catapultato su un treno per nuovi lidi. Non sa neanche lui se sia profugo o rifugiato, né ha il tempo di capire che una volta salito sul treno viene diviso dai suoi cari. Durante il viaggio, costellato da raffiche di mitragliatrici d'aereo tedesche, conosce la cecoslovacca Anna, fuggita da una prigione, la quale riaccende il fuoco di una passione travolgente in Marcel in una notte su un carro merci. Due illustri sconosciuti che il destino fa incontrare ed unire, incuranti del futuro, della guerra e delle persone che stanno vicino. Tristezza e intimità sono le caratteristiche peculiari del breve testo che Simenon dipana disinteressandosi alla descrizione della guerra e puntando piuttosto all'accidentalità, all'imprevisto, alla facoltà attribuita all’uomo di autodeterminarsi con la sola volontà, senza essere necessitato da sollecitazioni esteriori di qualsiasi genere o da inclinazioni interne, alla possibilità propria dell'uomo di fare o non fare liberamente qualcosa e al dolore che deriva dalla felicità e dalla consapevolezza della sua breve durata, tema, quest'ultimo, visto come possibile riscatto, ma destinato comunque a essere veicolo di sofferenza e frustrazione. È un libro speciale, davvero troppo impudente e sfacciato con la capacità di comprendere e spiegare i sentimenti, gli stati d’animo, le reazioni e i comportamenti degli altri per non riguardare altri tradimenti che quello di una moglie incinta dimenticata sul vagone sbagliato.
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Lumbricus terrestris
Avrei una gran voglia di fare un super-spoiler di questo libro, perché è solo alla fine, nelle ultimissime pagine, che viene fuori il vero carattere del protagonista, Marcel.
Quest'uomo che per quasi per tutto il tempo è riuscito a suscitarmi perlopiù indifferenza e disinteresse personale - nonché una certa gran voglia di scansarlo, come quando ci si imbatte in un lombrico della terra dopo che ha piovuto. Ecco: non vorresti fargli male, pestarlo, poverino, ma d´altra parte ti suscita quel certo ribrezzo e non sai perché. In fondo non ti ha fatto niente, se ne sta lì, e non dà fastidio a nessuno. Eppure…
Grande Simenon che ha ritratto così originalmente le prime settimane dell'invasione nazista in Francia e ha girato e rigirato intorno alla figura di questo personaggio, ce lo ha descritto attraverso le sue non-emozioni nei confronti del mondo, della sua famiglia (moglie, più una figlia e 8/9), del lavoro e della sua vita “di prima”; e ce lo descrive abilmente anche tramite le emozioni, forti, che Marcel prova durante quelle settimane, emozioni che forse non si ripeteranno mai più.
Una specie di uomo in prestito, che incontra (finalmente!) la grande occasione della sua vita: una situazione drammatica per tutti gli altri, per i milioni di persone che perdono casa, famiglia, ogni certezza, la vita magari, e per l´Europa stessa che viene sconquassata dall´invasione nazista all'inizio della seconda guerra mondiale.
Saranno due i personaggi ad avere un approccio utilitaristico in tutto questo: lui e la donna della bettola (la quale troverà anche il tempo di fare shopping…).
Un momento di caos totale che invece per Marcel rappresenta il tanto agognato attimo da cogliere, che gli permette di sganciarsi temporaneamente dal mondo che si è costruito attorno con tanta fatica e cura in tanti anni, e dalle convenzioni sociali che, si sa, in simili circostanze crollano miseramente.
Fa bene, fa male? Non giudichiamo, giudicare è impossibile in certi frangenti: in fondo sono giorni in cui il futuro risulta un´incognita, nessuno sa se domani si sopravviverà o meno, se lo stesso mondo “normale” sopravviverà, se la propria famiglia esisterà ancora, dopo.
E lui, in quel momento, sceglie e viene scelto da una donna e vive con lei quei giorni di tempesta bellica, si bea di questa momentanea libertà, sensualità e felicità, si libera di tutto, diventa, forse, il vero se stesso. E´ chiaro fin dall'inizio a tutti, al lettore, a lui, come pure ad Anna, che la loro storia durerà il tempo di una falena, ma il bello è, forse, anche questo, per loro.
Dunque tutto “bene”. Ma…. sorpresa: il romanzo si chiude in maniera inaspettata e sorprendente, e quest'uomo dimostrerà finalmente a tutti quello che veramente è, senza nemmeno rendersene conto.
Un romanzo che scorre liscio e senza fronzoli, veloce come un treno, che non tralascia nulla, con un Simenon che dice quanto c'era da dire, sulla storia e sull'animo umano.
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In Carrozzaaaa !!!
Un bellissimo racconto molto coinvolgente, appasionato ed elegante.
Un romanzo/racconto che con intensità ti trasporta e ti fa pensare... L'apocalisse è alle porte, e un uomo qualunque, di una famiglia qualunque, con una vita qualunque, decide di affrontare un viaggio che sembra, e risulterà per varie ragioni essere, il viaggio della sua vita.
Un viaggio attraverso la Francia, che inizia per una causa piu che nobile. Un viaggio che non ha una meta, ma uno scopo! Lo scopo di fugire dalle atrocità, che presto l'europa e il mondo saranno costretti a subire. La destinazione ? Ignota ! L'importante è fugire il piu lontano possibile dal canto dei cannoni e dal ritmo della mitraglia.
Per questa ragione Marcel e famiglia (moglie gravida e figlia piccola)partono, un po profughi e un po fuggiaschi. Dando il via al tutto: Marcel è un personaggio perfetto , vero... un padre di famiglia esmplare oserei dire, un marito "devoto", un essere umano completo, con pregi e difetti che lo caratterizzano a dovere.
Anche perche secondo il mio modesto parere, sono proprio i difetti che rendono i personaggi unici e realistici.
In questo metaforico treno (metaforico perche cio che avviene potrebbe tranquillamente essere stato descrito quasi in ogni contesto), dove lui perderà ogni contatto con la sua famiglia, Marcel scoprirà di non essere ciò che lui ha sempre creduto. Attraverserà la foresta dei sui sentimenti e la burrasca delle sue emozioni, mentre la guerra, che lo rincorre, sarà la colonna sonora d'una passione sfrenata, dolce, elegante, priva di pudicizia e volgarità. Una passione che lo farà entrare intimamente in contatto con i suoi sentimenti che, fino a quel giorno, erano fermamente dettati da una logica di vita stereotipata, contestuale al periodo storico ( sposati, metti su famiglia, vai in chiesa, mantieni la tua parola ecc...)
Un lungo racconto scritto come le momerie di un anziano reduce che per semplicità di scrittura e classe risulta gradevole,appagante e realistico.
L'ho letto d'un fiato, e devo dire che ti scivola nella mente: come un serpente sul pelo dell'acqua. Un libro pieno di significati, che sfiora il romanticismo, ma ti ancora alla cruda realtà.
Giunto alla fine mi ha però lasciato una domanda che credo sia un po' il filo conduttore del raconto : "conosci realmente te stesso ???"
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In viaggio con Marcel
Come definire “Il treno”?
Sicuramente un racconto forte e controverso che si presta ad una ridda di interpretazioni.
La storia del signor Marcel Feron ti incolla alle pagine, ti scuote, ti destabilizza, ti costringe a pensare se tutto ciò che Simenon ti sta raccontando sia possibile.
Marcel, giocoforza si attira il ripudio del lettore in quanto la sua condotta non è esattamente un esempio di onestà e rispetto verso la propria famiglia; un uomo che nel giro di poche ore riesce a fare tabula rasa della propria vita, scrollandosi di dosso tutte le responsabilità e cancellando gli affetti che dovrebbe avere più cari.
Simenon con una naturalezza fuori dal comune propone al lettore una situazione al limite della realtà; ma è possibile che un profugo in tempo di guerra anziché salvare la pelle propria e dei familiari riesca a farsi sopraffare da cotanta passione travolgente e accecante?
Sta al lettore trovare una risposta e capire chi sia veramente quest'uomo: è un essere meschino e arido o si cela altro sotto le vesti di questo personaggio?
Marcel non puoi amarlo, ma puoi provare a comprenderlo; sta tutto qua lo sforzo che Simenon chiede al lettore. Uno sforzo complicato che richiede pazienza e nessuna fretta di giungere a conclusioni e giudizi, bensì un cammino lento insieme al personaggio per provare a coglierne l'essenza dalla sua lunga confessione.
Indovinata e vincente la scelta di fare parlare Marcel in prima persona; questo è un uomo che parola dopo parola si mette a nudo, schietto, verace, senza cercare giustificazioni del proprio agire.
Siamo al cospetto di un uomo consapevole delle proprie azioni e del giudizio maturato dalla gente nei suoi confronti; ebbene, Marcel non ci sta ad essere tacciato solo per scialbo, inetto e metodico, da tutti coloro che lo conoscono. Marcel almeno una volta nella vita vuole dimostrare di avere ardore, di essere capace di provare passione, di tenere le redini del gioco.
Non chiede altro: non chiede scusa, non chiede comprensione.
Marcel ha voluto rompere il guscio che lo avvolgeva da sempre.
E' una lettura dal ritmo incalzante, capace di provocare sensazioni contrastanti, dubbi, disorientamento, riprovazione, stupore, incredulità.
La penna di Simenon è paragonabile ad un pennello; vola leggera sulle pagine e dipinge una tela meravigliosa, cogliendo gli ambienti in modo mirabile nei loro colori e profumi, ritraendo l'uomo con tocchi incisivi tanto da materializzarlo. Una scrittura che fotografa, che immortala l'essenza di luoghi e persone regalando un affresco stupendo e vivido al pubblico.
Questo è l'uomo rappresentato da Simenon, un essere in cui convivono sentimenti opposti, un essere con più volti, un essere imprevedibile, un essere capace di fare un tuffo nell'immoralità senza provare rimorsi.
Senza dubbio un piccolo gioiello letterario.