Il sospetto
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Un giallo filosofico
Friedrich Dürrenmatt è uno di quegli autori che il mondo sta riscoprendo. In Italia, in particolare, Adelphi sta pubblicando molti dei suoi lavori e ogni lettura dell’autore che mi ritrovo a fare si rivela ricca di sorprese. C’è da dire che l’autore svizzero ha tutte le peculiarità del narratore che incontra i miei gusti e anche “Il sospetto” si è rivelato per me una lettura interessante e piacevole. Questo romanzo può essere tranquillamente considerato un giallo, ma come dico spesso l’appartenenza a un genere non deve essere motivo per affibbiare un’etichetta o per partire prevenuti. “Il sospetto” è un romanzo molto interessante nel quale, con la scusa dell’indagine, si scava profondamente nell’animo umano e nel male di cui quest’ultimo può essere capace; si indagano i motivi che spingono un uomo a riporre fede in qualcosa; si riscoprono orrori che hanno fatto parte della nostra Storia e non andrebbero mai dimenticati. Messaggi e tematiche importanti, dunque, che vengono veicolati nel modo che dovrebbe essere quello più usato nel nostro secolo per creare della letteratura efficace: utilizzando una trama intrigante e coinvolgente.
“Il sospetto” racconta di un’indagine svolta in maniera atipica: il nostro protagonista è Bärlach, un commissario di polizia alle soglie della pensione che svolgerà la sua indagine da un letto di ospedale, gravemente ammalato e probabilmente destinato a morire nel giro di pochi mesi. La sua anima di poliziotto, tuttavia, è più viva che mai e nota subito la reazione sgomenta del suo medico nel vedere un’agghiacciante fotografia apparsa su una rivista, nella quale un altro medico è alle prese con un’operazione chirurgica attuata senza alcuna anestesia a un prigioniero di un campo di sterminio. Al dottore sembrerà di riconoscere una sua vecchia conoscenza e nella sua mente nascerà un sospetto che, come una malattia contagiosa, verrà trasmesso anche al commissario il quale non potrà fare a meno di seguire la sua indole di segugio, sebbene costretto forzatamente a letto e senza l’aiuto del corpo di polizia. La sua ricerca, infatti, è una vera e propria lotta personale contro un male subdolo, che abilmente è riuscito a sopravvivere in una società che ne ignora l’esistenza, anzi, che ne celebra inconsciamente i rappresentanti. Quella di Bärlach è un’indagine che verrà condotta in maniera statica (per ovvi motivi) ma che riesce comunque ad essere coinvolgente e che per mezzo dei dialoghi tra i personaggi acquisirà una dimensione profonda, filosofica, soprattutto quando il nostro commissario si troverà faccia a faccia col male che sta cercando di stanare, di fronte a personalità agghiaccianti che potrebbero apparire così crudeli da risultare inverosimili ma che proprio da questa incredulità traggono il proprio vantaggio e prosperano, come la Storia ci ha insegnato.
Il confronto tra bene e male è al centro di questo racconto che, seppur impegnato nei contenuti, si legge con piacere e non fa altro che confermare in Dürrenmatt le peculiarità del grande autore, poliedrico e capace di coniugare alta letteratura con racconti affascinanti, che possono piacere a tutti.
“Come singoli non possiamo salvare il mondo, sarebbe un'impresa disperata come quella del povero Sisifo. Il mondo non è nelle nostre mani, nemmeno nelle mani di un potente o di un popolo o in quelle del diavolo, che pure è potentissimo, bensì nelle mani di Dio, che prende da solo le sue decisioni. Noi possiamo essere d'aiuto soltanto in singoli casi, non in generale, è il limite del povero ebreo Gulliver, è il limite di tutti gli uomini. Dunque non dobbiamo cercare di salvare il mondo, ma di resistere, l'unica vera avventura che ancora ci resti in quest'epoca tarda.”
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Giallo Noir raffinato e crudele
Con poco più di 120 pagine Durrenmatt ci fa appassionare ai suoi personaggi ed entrare nel
mezzo di una storia a dir poco inquietante.
ll protagonista è il Commissario di Polizia Barlach, operante a Berna, ormai prossimo alla
pensione e gravemente malato, al quale i medici hanno dato poco tempo da vivere.
Basterà una foto per alimentare un sospetto e far sì che Barlach si metta sulle tracce di un
medico, che operava nel campo di concentramento di Stuffoff vicino Danzica, senza
anestesia, per sperimentare tutto il proprio sadismo.
Il fatto che un uomo, sotto falso nome, abbia potuto svolgere in un campo di sterminio la sua
sanguinaria attività, è terribile...ma che finita la guerra egli possa addirittura dirigere una
clinica nell'opulenta e civile Svizzera, è un segno che ormai siamo proprio sull'orlo del
baratro.
Alla fine il dialogo tra il Commissario e il Medico rappresenta lo scontro tra il Bene e il Male;
gli spunti di riflessione sono notevoli: l'Uomo, la Vita, la Giustizia.... e Durrenmatt usando il
modulo narrativo del giallo intriso di noir, conclude che una giustizia perfetta è impossibile
e che alla bisogna un pizzico di surreale può essere d'aiuto.
Il libro esce nel 1953, gli echi della Guerra ancora si fanno sentire...anche se l'Uomo
dimentica, forse per sua natura...ma i fantasmi rimangono e non a caso D. parte da una
tragedia ancora tutta da ricucire per l'Europa e l'intero mondo: quella dei campi di
concentramento, quando ancora la caccia ai criminali nazisti doveva cominciare e ciò dimostra
quanto la questione fosse cara a D. molto prima dei vari Wiesenthal.
Ben scritto, comprensibile a tutti, lo stile è privo di orpelli stilistici inutili e farriginosi;
la trama è essenziale,come piace a noi e non si dilunga su cose inutili.
Il libro è interessante e merita davvero di essere letto.
Ne uscirebbe fuori un bel film....anche se a suo tempo, trattasi del 1972, Daniele D'Anza lo
propose in due puntate trasmesse dalla Rai con ovviamente il bravissimo Adolfo Celi nel
ruolo del sadico Dottor Emmenberger!
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Don Chisciotte nella tana del lupo
Fine giallo psicologico tra l’onirico e il surreale, degna continuazione delle vicende del commissario Bärlach reduce dall’estenuante duello celebrato ne “Il giudice e il suo boia”. È tempo per il nostro, dunque, di dedicarsi a se stesso e di affrontare le cure che gli prolungheranno l’esistenza di un anno. Non più indagini, né elucubrazioni sulla giustizia, né tediosi raffronti con la moderna criminologia, colpevole di spianare la via alla risoluzione dei casi laddove basterebbe un innato fiuto per le indagini. Un sospetto è decisamente meglio perché in un lasso di tempo impercettibile pone in connessione eventi, persone, situazioni, determina sviluppi inenarrabili e tendenti alla conferma , la più bella , quella siglata dall’ennesimo “caso chiuso”.
Bärlach è ospite del suo medico Samuel Hungertobel da novembre e, a ridosso degli ultimi giorni di quel 1948 , dopo aver rischiato di morire per ben due volte, nella clinica dove lo hanno operato gli capita tra le mani la rivista “Life”,annata 1945. È pubblicata una fotografia unica nel suo genere, quella del Dottor Nehle che nel campo di concentramento di Stutthof opera un paziente senza narcosi. Il fatto in sé, di un sadismo tremendo, passerebbe solo commentato se lo stesso dottor Hungertobel non ravvedesse una certa somiglianza con il dottor Emmenberger, chirurgo in una prestigiosa casa di cura di Zurigo.
Si insinua così il sospetto e il commissario destinato al pensionamento si butta nel suo ultimo caso.
Chi ha scattato la fotografia? Ma davvero il sadico chirurgo è morto suicida? Che cosa cela la somiglianza intravista dall’amico medico? Si fa trasferire a Zurigo per essere ricoverato nella clinica sospetta. Che cosa avviene là dentro? Come è esercitata la professione medica? E soprattutto, è ora di sentire l’eminente dottor Emmenberger: si prepara per lui un interrogatorio infernale.
A questo punto le parti si invertono e Bärlach, paladino imperterrito della giustizia, vivrà dei brutti momenti scanditi dal ticchettio dell’orologio che segna le sue ultime ore di vita.
Ad accompagnare l’insolita indagine una serie di teatranti di tutto rispetto: un gigante ebreo avvolto nel suo caffetano sprona e consiglia a forza di vodka, uno scrittore fallito aiuta l’impresa, un’ ambigua dottoressa tradita dal comunismo rinnega la validità di qualsivoglia legge e si arrende alla perfidia umana, perfino un nano dà il suo funzionale contributo. Bärlach è ormai trasfigurato in cavaliere, “tutti dobbiamo essere dei Don Chisciotte, se appena abbiamo un briciolo di cuore e un po’di cervello nella zucca. Ma non dobbiamo combattere contro i mulini a vento … È questo il nostro compito, quello di combattere la disumanità sotto tutte le forme e in tutte le circostanze.” Infine, confinato nella camera del Reparto 3, dal quale nessuno esce vivo, in compagnia dell’incisione di Dürer “Il Cavaliere, la Morte e il Diavolo”affronta il suo ultimo duello …
Bipartito in maniera perfetta, la seconda parte offre in particolare un condensato di notevoli spunti di riflessione riguardanti i temi più cari allo scrittore elvetico: l’uomo, la vita, la giustizia, in un crescendo di tensione da lasciare senza fiato. Ancora una volta giocando sul modulo narrativo del giallo, questa volta gustosamente tinto di noir, Dürrenmatt celebra l’impossibilità di una giustizia perfetta che al bisogno può essere coadiuvata anche da un pizzico di surreale.
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Simenon