Il sole dei morenti
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L'inverno dentro
Titì è morto. In un gelido giorno d'inverno, su una banchina della stazione, a Parigi. Il freddo che aveva dentro era stato più pungente degli 8 gradi sotto zero che c'erano per strada. Il suo unico vero amico, Rico, decide che non può più rimanere a Parigi, non dopo la morte di Titì. Pensa così di intraprendere un ultimo viaggio, fino al sud, fino a Marsiglia, per rivedere il mare e rivivere un ricordo bello della sua gioventù. Ormai la vita di Rico è andata completamente alla deriva, lui è del tutto estraneo alla società, è un clochard, un senzatetto. Alcolizzato. Senza speranza.
É da qualche giorno che ho concluso la lettura di questo toccante romanzo e ancora non mi ha del tutto abbandonata quel profondo senso di malinconia, inquietudine e tristezza che sprigiona da queste pagine. Ciò che più colpisce è la totale e profonda mancanza di speranza per Rico e per gli altri personaggi che popolano questa storia: un'umanità del tutto sconfitta, che non chiede più nulla, sa di essere definitivamente approdata dalla parte degli ultimi, dei disperati, dei perdenti, ed è un viaggio dal quale non si torna più indietro. Sono possibili ancora gesti di solidarietà, di amicizia, d'amore fra queste persone ma non è più possibile credere, neanche come lontana chimera, nel miraggio della felicità. La vita li ha violentati, abbrutiti e distrutti. Non è possibile opporre più nessuna reazione, eccetto l'accettazione di questa condizione di esclusi. Le uniche emozioni che possono provare sono ormai il dolore, la sofferenza, la nostalgia.
Un romanzo toccante, duro, che riesce a farci immergere pienamente in questa disperazione e dal quale riemergiamo più umani e consapevoli della crudeltà che ci circonda.
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«Perché quello che oggi è vero può non esserlo dom
«L’inverno Titì se lo portava dentro. In quell’istante gli sembrò perfino che il freddo fosse più pungente nel suo corpo che fuori, per strada. Forse per questo non batteva più i denti, aveva pensato. Ormai non era che un unico blocco di ghiaccio, come l’acqua nei canaletti lungo i marciapiedi. […] Si alzò a fatica, trascinandosi fino alla fine del binario. Sgusciò dietro la fila di sedili di plastica, si sdraiò su un fianco, il verso il muro, poi si tirò il bavero del cappotto sulla testa e chiuse gli occhi. L’inverno che aveva dentro se lo portò via.» p. 11-12
La morte di Titì per Rico è il punto di non ritorno, la fine. Titì rappresentava il suo ultimo vero amico, l’ultimo appiglio che lo teneva legato a quella vita senza senso e senza un perché che aveva avuto inizio già prima della sua ultima esistenza, quella in strada. Perché allora restare a Parigi? Se proprio deve morire, si dice Rico, tanto vale farlo al caldo in quel luogo, Marsiglia, che rappresenta i suoi sogni giovanili, i ricordi di un amore che è un episodio del passato che ancora può scaldargli il cuore.
Perché a Rico restano soltanto i ricordi. I ricordi di quel matrimonio con Sophie, la moglie, finito male, di quel figlio con lei avuto, Julien, che stenta a guardarlo e ancora meno a riconoscerlo come padre, i ricordi dei salti mortali al lavoro perché la sua compagna meritava il meglio. Eppure, non è bastato. Da qui l’uomo torna a Léa, alla sua giovinezza, da qui decide di mettersi in viaggio incontrando tante anime come lui. Perché Rico è soltanto alla ricerca di un po’ d’amore. Un amore che dia senso ai suoi giorni. E in questo girovagare incontra Malika, Julie, Mirjana e ancora Dedè e Abdou. Piccoli sprazzi di luce che riescono ad illuminare la sua via prima il buio sopraggiunga, prima che il freddo prenda possesso di lui. Di lui che non è altro che un barbone, etichettato come ubriacone e violento, etichettato come feccia. Di fatto, dimenticato. Perché nessuno si è mai chiesto perché il bere sia così importante quando dalla mattina devi arrivare alla sera. Perché nessuno si accorge di quelle ombre che giacciono agli angoli. Loro sono il sole, un sole freddo. Il sole dei morenti.
«Quando si beccano un sacco di botte non si è più come prima. Non si sentono più le cose nello stesso modo. Non si reagisce più come gli altri. […] Il male è irreale. È come l’inferno: finché non sei sulla graticola non puoi immaginarlo.» p. 190
Questo e molto molto altro ancora è “Il sole dei morenti” di Jean-Claude Izzo. Un libro duro, forte, pungente, introspettivo, profondo. Un romanzo che descrive la società, che descrive la condizione umana e sociale, un romanzo che semplicemente narra di una circostanza in cui chiunque, per svariate e molteplici ragioni, può trovarsi. E allora nulla è più come prima, alcunché ha ancora i medesimi sapori, odori. Si perde lo scopo dell’alzarsi al sorgere del sole, dell’andare al lavoro, dell’essere. Ci si scorda chi si è semplicemente perché non siamo più quel che eravamo, siamo altro. E c’è chi come Titì si rifugia nelle parole scritte, facendo proprie le storie che legge e chi invece come Rico fa proprio il ricordo. Ma a prescindere, il risultato non cambia.
Izzo è venuto a mancare troppo presto, ma ci ha fatto tanti regali con le sue opere. “Il sole dei morenti” è sicuramente il più bel lascito che poteva lasciarci, il distacco dalla sua penna non poteva che avvenire con questo. L’ho rimandato e rimandato ancora proprio perché sapevo che sarebbe stato il punto a un lungo percorso. Poi, è arrivato il momento. Ed è stato dolore. Ed è stato un amore indimenticabile.
“Il sole dei morenti” è un testo articolato, attuale, ricco di spunti di riflessione, che tocca le corde più intime e che ti rimane dentro. Accarezza la tua anima e ne affresca nuove tonalità. Imperdibile.
«Io l’avevo guardato. Il mio fratello maggiore di Marsiglia. Non eravamo mai sulla stessa lunghezza d’onda. Eravamo come in due campi diversi, non nemici ma… stranieri, eppure parlavamo la stessa lingua. Perché?» p. 206
«Si crede sempre che i sogni siano più belli della realtà» p. 227
«Adesso il sole era alto nel cielo.
Un sole bianco. Freddo.
Il sole dei morenti, ho pensato.
Il sole dei morenti.
Ho fatto scivolare la mia mano in quella di Rico. Intrecciando le mie dita alle sue. E ho aspettato.
Ho aspettato, sapete.
Perché, mi sono detto, questa vita non può continuare così.
Non può» p. 232
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la forza dell'amore
Rico ha perduto tutto: la famiglia, la casa, il lavoro. Tutto. Unica alternativa: la strada. Ed eccolo che si trascina da Parigi a Marsiglia, ultima sua meta, condividendo l’inferno con altri disgraziati e avendo come unica compagnia la bottiglia e le sigarette. A Rico restano i ricordi soprattutto il ricordo di Sophie, la moglie, il suo grande amore, che l’ha abbandonato portando con sé Julien, il figlio. Sophie amata, adorata, per lei si era indebitato oltremodo, ma Sophie meritava il meglio. Amore, amore, amore. Un po’ d’amore ricerca Rico nella sua lenta discesa agli inferi, è la sua unica ragione di vita, ciò che dà senso alla vita.
Da quando ha cominciato la sua vita di strada ha incontrato alcune donne, Malika, Julie, Mirjana, che gli hanno regalato uno sprazzo di luce, gli hanno fatto credere che ancora non tutto è perso. La tenerezza di una carezza, la sensualità di un corpo che ti si offre, la dolcezza di uno sguardo, sono linfa vitale per Rico, lo fanno andare avanti.
Con alcuni dei suoi compagni di strada stabilisce rapporti di amicizia e di affetto, come con Titì che gli insegna alcune regole indispensabili per vivere per strada, per non perdere, nonostante tutto, la propria dignità: tenersi puliti e non chiedere l’elemosina, ad esempio. Quando Titì muore, di freddo in una stazione della metropolitana, Rico decide che è ora di andarsene e di partire verso il sud. Marsiglia, dove ha vissuto momenti indimenticabili con Lea, in una lontana gioventù. Il viaggio verso il sole è irto di difficoltà che minano il corpo e la mente di Rico riducendolo ormai a un morto vivente, per fortuna assistito da Abdou, un ragazzo algerino migrante.
Il libro è struggente e ricco di umanità e ritrae un uomo che pur martoriato dalla vita e ridotto a un corpo che cammina, non ha perso per un attimo di cercare l’amore e di provare sentimenti, anche solo l’estasiarsi a guardare il mare, a Marsiglia, in silenzio, per lunghe ore, con il suo amico Abdou.
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Morti viventi
“Sarebbe falso affermare che questo romanzo è pura immaginazione. Non ho fatto altro che esasperare le logiche del reale e dare nomi e inventare storie per degli esseri che possiamo incrociare ogni giorno per strada. Esseri di cui perfino lo sguardo ci è insopportabile. Voglio dire che leggendo queste pagine chiunque può riconoscersi. I vivi e i morenti”. Nota dell’autore.
“Il sole dei morenti” è l’ultimo romanzo scritto da Izzo prima della sua prematura scomparsa. Ormai dopo vari libri letti, lo stile dell’autore mi è familiare. Sono abituata alla sua malinconia, al peggio che la società può offrire, ma pur essendo pronta, questo libro mi ha comunque colpito profondamente.
L’autore solitamente mostra la bruttura della società, dove le persone possono solo sperare di migliorare la loro condizione, di risollevarsi e di credere in un futuro migliore. Storie dure, tristi, spesso senza lieto fine. Questo romanzo invece fa doppiamente male, perché Izzo ci porta in quel mondo popolato dai “morti viventi”, persone che hanno avuto la loro possibilità di felicità e che se la sono sprecata. Chi per un motivo, chi per un altro, da una vita “normale” si sono ritrovati per strada, diventando dei senzatetto. Oltre al dolore e alla sofferenza, la loro vita è popolata dai ricordi, di quello che poteva essere e poi non è stato. Il rimpianto li accompagna a ogni loro passo traballante, dove spesso l’alcol è l’unica risorsa per affogare quel mare di ricordi.
Rico è il nostro protagonista, un uomo che ha perso molto, anzi tutto e che lungo il suo cammino ha incontrato altri come lui. Da una Parigi fredda e desolante arriviamo a una Marsiglia baciata dal sole e dal mare. Una vita intera da raccontare e da seguire in cui piccoli errori possono rovinare un’esistenza. Cattiveria e solidarietà, Izzo come suo solito non ci risparmia niente.
Izzo mostra quelle anime perdute raccontando la loro storia, ricordandoci quanto la miseria fa paura. Impossibile non riflettere sulla propria vita e su come altri l’hanno perduta.
Malinconico, spietato e ancora più duro degli altri libri dell’autore. Non posso fare a meno di consigliarlo con la consapevolezza che l’autore presenta il peggio della società, quello che spesso cerchiamo di evitare spostando lo sguardo, Izzo ce lo sbatte in faccia.
Buona lettura!
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Rico...nel cuore.
Straordinariamente nelle mie corde.
Un romanzo bellissimo, struggente e malinconico, a tratti crudo e cinico, che porta in superficie un mondo sommerso, di cui, a volte, neanche percepiamo l'esistenza...intriso di troppa solitudine, di sentimenti che si sono cristallizzati al freddo delle notti sui cartoni, di una dignità che ha perso la sua battaglia con il dolore.
Il mondo dei senzatetto, dei barboni, dei rifiuti della società...che misurano le giornate in litri di vino, perché 24 ore sono troppe per chi si ritrova a dover vivere da morto, mero involucro condannato a respirare...e allora quel vino funge da ponte effimero fra loro e il resto del mondo.
Rico...e tutti i disperati che lui incontra sul suo cammino (Titì, Dedè, Felix, Mirjana...) sono uomini che "hanno l'inverno addosso", che sono passati dal castello alla fogna senza neanche rendersene conto e senza accorgersene hanno smesso di esistere, per la società prima, e per se stessi dopo...o forse no, forse loro sono morti il giorno stesso in cui l'amore ha voltato loro le spalle andandosene via, e portandosi dietro i sogni, le speranze, il rispetto di se stessi...
Tante porte che si chiudono, una dopo l'altra, fino all'ultima. L'ultima prima dell'Inferno.
Izzo riesce a trasformare la miseria in poesia, riesce a dare voce a chi, in fondo, ha smesso di parlare da tempo, riesce a farti provare, leggendo questo romanzo, un dolore così intenso e profondo...da risultare dolce.
Rico sono io, sei tu, chiunque abbia messo la propria felicità nelle mani di un sogno...tradito, e non sia riuscito a rimanere a galla.
Perché quando non riesci a vedere più nessuna luce, nessun barlume di affetto, di futuro, negli occhi di tuo figlio, allora forse il tempo di combattere è finito...e non ti rimane che cercare, dopo tanto freddo sopportato (fuori e dentro), un po' di sole, un po' di calore, per poter ridare vita ad un ricordo e poi...andare a morire.
Ma non tutti gli emarginati sono "Rico", incapace di mendicare, di rubare, di fare del male (se non a se stesso), a volte, c'è chi è ancora più miserabile della miseria, chi è più marcio dei luridi rifiuti in cui fruga per mangiare.
Perché la cattiveria non conosce ricchezza, né povertà...
Un libro che mi ha smosso mille sentimenti, che ha completamente messo in discussione il mio punto di vista, che mi ha fatto sentire una privilegiata senza, però, darmi alcuna rassicurazione.
Uno dei rarissimi casi in cui, chiuso il libro, ho avuto una fortissima voglia di ricominciarlo.
Può sembrare strano, ma, per me, questo è un romanzo d'amore.
Sì, proprio d'amore.
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Il sole non muore
Non gli manca nulla del necessario : sicurezza economica, amore, salute.
Avvertire i primi brividi di decadenza, quando i soldi diventano debiti, quando tua moglie diventa un'estranea.
E poi il baratro, la rovina, il buio.
Lei se ne va sprezzante, un figlio che lo ignora, l'indigenza, sopravvivere di stenti. Succede in maniera violenta, ignobile, immane, quello che osservavi e schifavi altrove, mantenendoti lontano, ora e' casa tua. La dimora di chi non ha nulla e vive ricoperto di stracci lisi, senza un tetto, allontanato e deriso, con l'unico insano palliativo alcolico su cui convergono inesorabilmente i pochi spiccioli raccattati. Miseria, degrado e umiliazione.
Esiste forse un confine tra morenti e morti, nel mondo di chi non ha domani e boccheggia nei rimpianti ?
Avvicina al petto quel vecchio orsacchiotto rinato dall'immondizia, un pupazzo che diventa un figlio perduto, un pupazzo che si trasforma nell'unico amico che non rivedra' mai piu' .
Pedala fino al mare il cui spettacolo e' ancora diritto dei poveri, pedala e abbraccia l'orso, intreccia le dita di una vecchia mano e si chiede se e' mai possibile che il sole continui a tramontare e sorgere così bello, nonostante tutto.
Leggi e pensi a tutto quello che hai e che fino a un attimo fa pareva niente. Lo stringi forte e chiudi il libro, ti ripeti grazie, grazie di avermelo ricordato. Non tocca ancora a me, non ancora, non oggi.
Buona lettura.
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Si può odiare continuando ad amare..
Non è facile, vi garantisco che mai sinora come con tale romanzo ho avuto grande difficoltà nello scrivere un commento che possa trasmettervi quanto ho amato questo libro, tanto da rileggerne più di una volta interi capitoli.
Perchè non appena tento di iniziare una frase, di comporla e darle un senso compiuto, essa stessa va alla deriva... si trascina all'infinito, perdendosi nel vuoto, insieme ai pensieri che la alimentano ...
Perchè questo libro è il racconto di uno dei miei incubi peggiori, di quelli che ti rimangono impressi per ore dopo il risveglio, perchè ti sembrano quasi degli 'avvertimenti' provvidenziali... insomma, un segno inviato da qualcuno per dirti 'attento a quello che fai, pensaci bene perchè questo è quello che rischi..'
Quindi il mio giudizio non sarà forse obiettivo, probabilmente la forza e l'intensità di alcune sue pagine non saranno percepite come tali da tutti ma in me hanno trovato terreno fertile.
E m'ha fatto bene leggerlo perchè nonostante i dubbi, le paure, i timori che genera, porta anche un sollievo, lo stesso che segue pure il peggiore degli incubi quando pensi 'Era solo un incubo', la consolazione appunto di rendersi conto che non è ancora divenuto realtà e sei in tempo per evitare che lo diventi.
La storia è quella di un uomo, Rico, uno qualunque, con un lavoro qualunque ed una vita qualunque, che un giorno senza forse neanche rendersene conto, perde tutto, prima la moglie e la famiglia, poi il lavoro, poi la dignità ed infine la forza di vivere:
"Capire: aveva bisogno di capire come avevano fatto, lui e Sophie, ad arrivare a quel punto. Un'ossessione. Ma, naturalmente, non c'era niente da capire. Era la vita.
Qualcosa fra due persone che un bel giorno fa cilecca. Come un appuntamento mancato. La vita.
L'amore che, senza alcuna ragione, sragiona.
La felicità che improvvisamente si trasforma in dramma."
E quando Rico è lì, solo, seduto sulla scogliera solcata dal mare di Marsiglia, lui ed il mare... beh, avrei voluto essergli vicino... senza parlare, senza dirgli niente, solo abbracciarlo, da buon amico...
"Sai, guardando il mare capisco tutta la vita che ho dentro di me. Sulla terra non c'è niente. E' brutta la terra. Sulla terra non cambia niente. Tutto è come morto. Anche la gente..."
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toccante!
Pur essendo un'amante del noir mediterraneo, non ho apprezzato la trilogia di Jean-Claude Izzo, nè come contenuto, nè come stile di scrittura.
Non so spiegarne il motivo, ma non sono proprio riuscita a "farmela piacere"!
Questo è il motivo per cui ho indugiato ad avvicinarmi al romanzo Il sole dei morenti.
L'ho iniziato, e sono stata ...fulminata sulla via di Damasco: una rivelazione!
E' certo uno dei romanzi migliori da me letti nel 2007, che ogni tanto vado a riguardarmi qua e là, per rileggere alcune frasi particolari.
E' una storia così dura e straziante, che lascia un segno profondo.
La storia di una discesa..agli Inferi; l'autodistruzione di un uomo a cui la vita aveva regalato tutto: benessere, affetti, serenità.
Eppure, per una serie di perversi meccanismi, tutto ciò viene a mancargli, ed il declino è rapido e senza ritorno.
Il romanzo è la storia, innanzitutto, di un grande amore, un amore finito male, ma che continua ad aleggiare come una presenza dolcissima , fino alla fine...
E poi è la storia di Rico e della desolata umanità che gli ruota intorno: i clochard, di ogni tipo e genere..
E' una storia toccante, tratteggiata con toni asciutti ma efficaci e sinceri.
Il mondo che l'autore narra è reale, molto reale: io lo conosco bene, frequentandolo per ragioni di volontariato.
Quanti barboni incontriamo , sudici, abbrutiti, talvolta stravaganti.... : dietro di loro si celano storie di ordinaria povertà, o "nuova " povertà, rovesci di fortuna, di malattia, d'amore...
Come il nostro Rico.
Un breve passo,struggente.
"...nella sua mente ( di Rico) fu un cielo azzurro. Un cielo da mistral. Pensò all'amore. A quello che era stato l'amore. Al piacere di amare. Alla tenerezza dei giorni. Alla delicatezza degli attimi. A tutto quello che voleva dire la felicità condivisa. a quella leggerezza sempre necessaria, indispensabile, delle parole, dei gesti, dei pensieri...".
Un romanzo che fa riflettere, che commuove, che resta dentro!
Consigliato.