Il silenzio. Un racconto dalla montagna
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La vita è bella?
Racconto lungo appartenente alla primissima produzione dello scrittore svizzero tedesco il cui nome è più immediatamente associabile all’opera “Homo Faber” o alla frase “Volevamo braccia, sono arrivati uomini” a proposito dell’emigrazione italiana in Svizzera negli anni ‘60. Cominciò a scrivere giovanissimo nel 1934 , sebbene impegnato in altre occupazioni e segnato da una prematura scomparsa del padre la quale lo costrinse ad abbandonare gli studi in germanistica. Si dedicò successivamente all’architettura e durante gli anni del secondo conflitto mondiale, mentre prestava il servizio attivo, riprese a scrivere.
Questo racconto, a detta di chi ne conosce le sue opere, anticipa i motivi ispiratori dell’intera produzione e, a mio parere, ha il pregio di incuriosire chi come me non ne ha fatto lettura diretta.
Il racconto si apre con la descrizione di una giornata ideale per camminare in montagna e subito cattura soprattutto se si apprezzano le atmosfere in quota, il contatto con la natura e quella magica sospensione spazio-temporale che si vive solo nel silenzio della montagna quando è più facile raggiungere il contatto con se stessi. La scrittura ha una forte componente evocativa. Il narratore esterno fin da subito ci presenta in ottica fredda e distaccata il “viandante”. È fine estate e Balz Leuthold, ripercorre sentieri calcati tempo prima con il fratello maggiore. Ora ha trent’anni e vive la sua crisi esistenziale, mentre cammina mette a fuoco i suoi pensieri: è insoddisfatto, è diventato anch’egli un uomo ordinario. Giunge ad una pensione e tutto è come tredici anni prima. Ci sono altri ospiti e lo notano come “strano”, intuiscono poi che ha intenzione di scalare la cresta Nord, tra di essi vi è la giovane straniera Irene. I due si studiano, si cercano, si trovano; entrambi hanno dolorose pendenze amorose nella vita reale.
Protagonisti assoluti sono i pensieri di lui e poi di lei. Il tempo non è favorevole, il contatto con gli altri ospiti obbligato e con esso una conoscenza più diretta. Irene conversa con il viandante, ne intuisce le profonde inquietudini e il sottile gioco da funambolo tra l’ordinario e lo straordinario. Il tempo si apre, Irene precede il viandante nel sentiero che porta al rifugio dal quale parte la via per la cresta Nord, lo attende, lo affianca, impone la sua presenza. Giunti al rifugio, Balz troverà il modo di proseguire in solitaria.
Le ultime pagine racconteranno la trepidazione dell’attesa e la speranza della sopravvivenza.
Riuscirà il nostro a superare l’ardua prova che si è imposto? Gli restituirà l’azione la capacità di affrontare il quotidiano, l’assurdità dell’esistenza, la sua schiacciante imposizione di quel “bisogna comunque alzarsi, intraprendere un cammino senza via, senza fede e senza meta, senza senso, senza niente, senza vocazione e solo per farsi vecchi, sempre più vecchi e sperduti”?
Al lettore curioso scoprirlo in pagine bellissime, pervase e arricchite da una profonda riflessione filosofica di natura esistenzialistica. Dedicato a chi almeno una volta si è chiesto:”Perché non seguiamo i nostri desideri? Perché quando sappiamo che sono più veri e più ricchi e più belli di tutto ciò che ci blocca, ciò che viene chiamato morale, virtù, fedeltà che non è vita, perché non ce ne liberiamo?”