Il settimo giorno
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Recensione della Redazione QLibri
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Laggiù nel mondo
Questo romanzo è un quadro iperreale, crudele, fantastico. Narra i primi sette giorni nell’al di là di un uomo onesto e generoso privo di sepoltura, che nel suo viaggio verso un poetico paradiso di reietti raccoglie i ricordi della sua vita e di altre vite, fino a comporre l’esperienza corale di una comunità pittoresca: i non sopravvissuti al disastro antropologico della Cina contemporanea.
La terra di chi non ha avuto sepoltura non offre la pace eterna ma un punto di vista ampio e cristallino del mondo laggiù, un mondo dove la corruzione non lascia scampo a nessuno. Non c’è scampo per chi gode dei privilegi del potere, che non sfugge alle insidie della morte e delle nuove tecnologie. Non c’è scampo per chi usa bellezza e intelligenza per migliorare la sua sorte, perché l’avidità trasforma la vita in fango. Non c’è scampo per chi si accontenterebbe di una vita semplice e virtuosa, perché la virtù spalanca le porte alla sventura e alla miseria.
Nemmeno l’amore più autentico riesce a sfidare le brutture della ricchissima Cina. Laggiù, i politici fanno sempre più fatica a insabbiare disastri, incendi, catastrofi, miseria. La penna dell’autore non esita a descrivere senza veli e senza fronzoli uno scenario degno di un film catastrofico o di un girone dantesco, dove i ricchissimi mangiano alle spalle dei poveri e la disuguaglianza produce mostri e disperazione.
Il viaggio del protagonista inizia con un ritmo serrato tra neve e pioggia, ma si stempera in un movimento più dolce e in un linguaggio quasi poetico per descrivere il paradiso dei senza sepoltura, l’unico angolo rimasto, almeno nell’immaginario, dove non esistono ossa più uguali delle altre e dove gli scheletri riescono ad accudire con amore, a cantare tra alberi e fiori, a piangere, a ricordare e a irridere l’odio che li aveva divisi nel mondo laggiù, luogo dove la civiltà ha perso ogni traccia di innocenza e anche la bellezza della natura tende a scomparire.
Vale la pena di seguire il protagonista fino alla fine delle brutture scoperchiate senza pudore dal romanzo, ne vale la pena per la qualità della scrittura e per aprire gli occhi su una realtà che si può e si deve conoscere e narrare, sempre.
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La terra di chi non ha sepoltura
Meno bello di altri libri dello stesso autore come Vivere e Cronache di un venditore di sangue, questo romanzo parla della vita nell'aldiqua e nell'aldilà di Yang Fei, uomo dalle due famiglie. Yang Fei viene partorito dalla madre nel gabinetto di un treno in corsa e finisce sui binari. Raccolto da un ferroviere viene cresciuto da lui e da una coppia di suoi amici, per cui si ritrova, per puro caso, un padre e una madre dolcissimi. La storia del rapporto padre-figlio è molto tenera come anche bella è l'immagine della madre adottiva e della sua morte tra una nuvola di neonati. I racconti dalla sala d'attesa dell'aldilà mi sono piaciuti meno e alcuni personaggi non mi sono piaciuti per niente, ad esempio Topina. Tra l'altro trovo slegata questa parte del romanzo con la precedente. A me è sembrato che il pirotecnico Hua fosse a corto di idee in questo libro. Si è sforzato di trovare un po' di giustizia sociale nell'aldilà, nella terra di chi non ha sepoltura. Non molta, dato che c'è pur sempre chi va nella tomba di famiglia.
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L'aldilà, le verità e le ricerche
L'altro mondo in che senso? La terra di chi non ha sepoltura, la terra rigogliosa di alberi dalle fronde che vibrano come battiti immersi in praterie, foreste di bambù ed un fiume limpido a farne da cornice.
Un mondo in cui si percepiscono sorrisi, lacrime che non esistono ma che toccano le anime in un contesto nel quale non ci sono differenze sociali, non ci sono odi, rancori e disumanità, non può che essere il regno dei defunti. Eppure tutto ciò appartiene alla terra di chi non ha sepoltura perché non non possiede una tomba nell'aldiqua.
Yang Fei ha poco più di 40 anni quando a causa di un'esplosione nella locanda in cui si trova, lascia questo mondo, dice addio alla Cina dei vivi. Nei 7 giorni successivi ci guida tra scheletri, ricordi, rancori, gioie e soprattutto sofferenze della vita che ha da poco abbandonato. Molte le vite che si intrecciano e si ritrovano nella terra di chi non possiede la tomba per riposare "in pace". Riposare in pace o vivere in eterno in questa landa rigogliosa è anche il dubbio che sorge tra gli scheletri.
Yang Fei vaga per 7 giorni alla ricerca di un uomo vestito con la divisa da ferroviere, nuova di zecca, zelante nel lavoro e dotato di un profondo senso di amore perché il legame padre/figlio non ha abbandonato le anime che restano dopo la vita. Un sentimento che merita essere scoperto fino al fondo del racconto.
La scrittura lineare, calorosa e molto evocativa di Yu Hua avvolge e accompagna il lettore ma la penna dell'autore non ci vuole parlare solo dell'aldila, bensì della Cina di oggi, delle incongruenze, scandali, mezze verità e del decadimento di principi e sentimenti. Il mondo dei vivi che ha perso l'umanità, che ha distrutto paesaggi e cuori e persone. I racconti infatti si intrecciano con molta sapienza ed in modo chirurgico toccano la cronaca, l'attualità e la denuncia. Un mondo di vivi che ha smarrito il senso di umanità, dell'aiuto reciproco. Persone sempre di corsa che non si ascoltano in cui tuttavia germogliano vite, piccole esperienze che lasciano le dovute speranze.
"niente parole, niente gesti, solo uno scambio di sorrisi muti. Sediamo in silenzio senza altro scopo se non avvertire che non siamo soli. Siamo insieme"
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La Cina dell'aldilà
Il quarantunenne Yang Fei esce di casa, nel suo primo giorno da morto, e trova una fitta nebbia che gli impedisce di vedere chiaramente la strada per arrivare alla camera ardente dove sarà cremato. E' morto, ma ad aspettarlo non c'è nessun funerale né tomba in cui riposare in pace. Non ha sepoltura. Da questa prima scottante consapevolezza parte il suo viaggio "nell'aldilà", che ripercorre la sua vita "nell'aldiqua".
Nei sette giorni descritti da Yu Hua il protagonista ripercorre la sua vita, incrociando lungo il suo errare le persone a lui care come a dare l'ultimo e definitivo addio: la moglie, il padre, i vicini di casa; ma anche sconosciuti incrociati solo di passaggio, come la giovane coppia che ha vissuto accanto a lui per un breve periodo, i genitori di una scolara che l'avevano assunto per dare ripetizioni. Se il primo capitolo è dedicato alla presa di coscienza di Yang Fei circa il suo stato di morto, gli altri sono dedicati alle storie di questi personaggi che ne incrociano la vita.
Subito incontriamo la moglie e Fei ci racconta di come si sono conosciuti, di come si sono innamorati, della felicità di quei brevi anni di matrimonio, poi del divorzio e della solitudine vissuta da allora.
Uno dei miei capitoli preferiti è dedicato al padre, Yang Jinbiao: solo ventunenne trova un neonato piangente tra le rotaie e da quel giorno se ne fa carico, amandolo visceralmente, mettendolo prima di tutto e tutti.
Poi ancora i vicini di casa, che l'hanno cresciuto come un secondo figlio. Yang Fei ritrova tutti loro nell'aldilà, morti anche loro nel lasso di tempo subito precedente alla sua dipartita, e ha modo di confrontarsi con tutti loro su ciò che è stato fatto in vita. Viene a conoscenza anche delle storie di chi in vita non ha mai avvicinato, come una giovane coppia senza soldi che ha vissuto per un breve periodo accanto al suo appartamento, e che per l'anno successivo si era dovuta trasferire sottoterra, a vivere come topi.
Tantissime storie che si incrociano e come fili al vento si perdono nella "terra di chi non ha sepoltura" (condizione molto comune in Cina, a quanto pare). Pecca: il finale un po' bruciato e poco incisivo.
Forse soprattutto tramite questa coppia, ma a suo mondo attraverso tutti i personaggi e lo sguardo del protagonista, Yu Hua descrive la Cina contemporanea senza filtri: ne fa un ritratto dissacrante ed estremamente crudo, che a tratti fa sorridere di un sorriso amaro per l'ironia della realtà - a tratti fa rabbrividire. Una Cina povera, attaccata ai beni materiali più che a tutto il resto, con gente che vende reni per due soldi in più, con i pregiudizi della società, con i parenti lontani e la vita impossible da vivere. Una Cina in cui persino i nuovi morti, in attesa della cremazione, si vantano dell'esosità della sepoltura e del corredo funebre.
Lo stile è scarno e semplice, un po' freddo. Forse per consapevole scelta dell'autore manca un approfondimento sui sentimenti dei personaggi: ne vengono descritte le storie e i sentimenti più ovvi (tristezza, amarezza, malinconia) ma tutto mi è sembrato molto "semplificato", a beneficio di un'analisi antropologica molto puntuale.
Forse è solo che a me personalmente non piace molto la letteratura cinese, anche se leggere questo sguardo critico sulla Cina attuale è stato molto interessante, quasi surreale tanto è lontano dalla nostra realtà.
Consiglio comunque la lettura, sia per la bellezza di alcune delle storie (e il difficile passo dell'addio, della fine), sia per lo sguardo inedito sulla Cina vissuta dal basso.
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Dolcezza e profondità post mortem
“ Vai, le foglie ti chiamano, i sassi ti sorridono e l’ acqua del fiume ti saluta. Non ci sono ricchi ne’ poveri, non esiste sofferenza ne’ dolore. Niente vendetta, niente odio… I morti sono tutti uguali. Che posto è ? La terra di chi non ha sepoltura. “
Tutto ciò che ormai è morto si ravviva nel ricordo e nella speranza di un ricongiungimento con i propri cari. Yang Fei e’ in coda, in attesa della propria cremazione senza sapere quando, come e quale è stato il momento dell’ avvenuto trapasso.
Vagherà per sette giorni …” in una città fantasma, che appare e scompare, coperta da una spessa coltre a rendere indistinguibile ed imperscrutabile il giorno e la notte, la sera e la mattina “…. Anche la neve e la poggia scendono silenziose, quasi fossero morte anche loro. Quale il confine tra sogno e realtà?
Vagabondando in una linea sottile tra vita e morte, in attesa di una tomba e di una sepoltura, senza nessuno che si dia pena per lui, portando al braccio il segno del proprio lutto, riaccoglierà sprazzi di memoria ripercorrendo momenti di vita vissuta.
Ecco l’ istante della sua nascita, abbandonato per semplice casualità su … “ quei binari che paiono raggi di luce, mentre la neve brilla “…., ricercando se stesso ed il proprio amato padre, suo salvatore, con il quale condividere una vita così lunga eppure così veloce nel ricordo.
Ed allora continua a perdersi inseguendo le proprie tracce ed una sorte indirizzata ad interminabili sofferenze ( il ricongiungimento tardivo con la madre biologica, un matrimonio perfetto sfumato inseguendo il proprio egoismo ).
I pensieri galoppano verso il caos del mondo, quella realtà così orribilmente cruda, una vita coperta di detriti di cemento, di demolizioni forzate ed espropri violenti mentre funzionari corrotti, ladri, spreconi imperversano ed i media scatenano cinismo ed amoralità.
Rivede in TV il proprio imbarazzo e quel sorriso forzato, cercando di uscire dall’ intrico dei ricordi come da una foresta fittissima mentre le sue gambe continuano a camminare nel nulla e nel totale silenzio, vagabondando senza pace, senza urna e senza sepoltura.
Ecco volti più o meno conosciuti, alcuni ignoti, che riaccendono i ricordi e quello che è stato, ma ormai conta riavvolgere i propri sentimenti per ricostruire altre storie, ricongiungere affetti smarriti e ritrovare quelli a se’ cari.
La vita ha abbandonato Yang Fei, e gli incontri avvenuti nel supermercato della attesa crematoria non servono che a riannodarne i fili, auspicare un perdono, evidenziarne e comprenderne i lati oscuri, donare ai suoi cari ed ai semplici conoscenti una degna sepoltura.
Il dramma vissuto nella generale indifferenza, nella spietata logica consumista e nella corruzione della Cina della modernità ha coinvolto, senza lasciare scampo, innocenti, ignari, conoscenti, gli affetti più cari, se stessi, accompagnandoci in un viaggio negli inferi danteschi con un ribaltamento conclamato, laddove la nefandezza del reale finisce per riacquisire senso ed umana ragionevolezza, oltre che accorato sentimento, solo nell' aldilà.
Questo nostro mondo, il reale, è il solo vestito di vera “ morte “, e continua a coprirsi di solitudine disperante, mentre anche da defunti vengono recapitate urne con le ceneri di qualcun altro. La vita, con oniriche eccezioni, sovente precipita nell’ ansia, dimenticati, ignorati, quando non colpevolmente assassinati da indifferenza ed ignoranza, oltre che da una criminalità imperante e statalizzata, e solo da morti ci si ricongiunge con i propri cari, per sempre.
Ma ormai è tardi e così il proprio padre versa …”le lacrime dell’ uomo canuto per chi non ha ancora i capelli bianchi “… e si rimpiange un passato in cui sarebbe bastato poco, una parola, uno sguardo, un cenno del capo, a scongiurare altro.
Yu Hua ci consegna un viaggio della morte estremamente vivo, in cui i sentimenti, spogliati di un mondo di relazioni avariate, fallimentari ed estinte, riacquistano un senso ed una semplice verità, la profondità di relazioni umane autentiche.
Quello che sembra essere solo un incubo ed un percorso senza speranza si colora di poetica bellezza, soave naturalezza, curiosità ed autenticità, cruda verità a denuncia di un reale deviato e perverso.
Tra sottile ironia, situazioni paradossali, cruda e nauseabonda verità, riemerge una senso primario, la ricerca di una origine ed identità che recuperi relazioni ed affetti ma anche oggettività ed accadimenti reali in un viaggio della conoscenza che attraversa sogno e memoria, paradossalmente dando un senso e un valore alla vita proprio quando essa è venuta meno e riconsegnandola ad una verità originaria.