Il seno
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Desiderio o follia?
In questo racconto, di kafkiana memoria, Roth, attraverso una scrittura particolarmente ironica e grottesca, riesce a comunicare anche una profonda drammaticità.
Il professore di letteratura David Kepesh si trasforma in un enorme, gigantesco "seno" di 70 chili...incapace di vedere e muoversi, può comunicare solo attraverso la parola e le percezioni tattili.
Come sempre Roth, maestro della scrittura, riesce a passare magistralmente da un registro ironico, in cui il nostro protagonista cerca di vivere esperienze sessuali (di tipo maschile) anche in seguito alla grande metamorfosi, ad un registro più psicologico, introspettivo e drammatico, in cui Kepesh cerca di dare un senso, una spiegazione a quanto gli è accaduto...e in cui si percepisce una profonda angoscia e coscienza di sé.
Incarnazione di un desiderio sessuale?
Follia, psicosi, malattia mentale? Lui vuole convincersi di questo...
Eccessiva immedesimazione con la letteratura di Kafka e Gogol?
Geniale il pensiero di essere riuscito a diventare la "sua opera d'arte"...c'è chi ha scritto di metamorfosi e chi ha trasformato la parola in carne...
Grande Roth...ed ora passiamo a "Il professore di desiderio"...
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Metamorfosi per capire
E' un racconto difficile da pentrare, il cui significato si cela sotto le coltri della pulsione, del desiderio, della follia, della cecità. E' un testo in cui la metamorfosi non è quella astratta della fantasia, ma quella inquietante, quasi metafisica, che pare a volte condensarsi nel lettore e coivolgerlo in spirali sublimi e tremende allo stesso tempo. E' il racocnto in cui paradosso e realtà si fondono fino a essere indistinguibili, anzi, il tesot in cui l'incubo sembra diventare relatà.
David kapesh, professore di lettere e uomo perverso, si trasforma in un seno, da 70 kg. Squilibrio ormonale, per i medici. Incoscienza per lui.
Perchè è diventato cieco? Perchè la sua voce arriva flebile all'esterno e il suo udito è minimo, mentre soltanto il tatto risveglia in lui desideri e pulsioni? Cos'è diventato?
Sono queste le domande che lo assillano, finchè la risposta arriva inquietante, sconcertante: una mammella.
E se all'inizio la mente rifiuta la condizione, concentrandosi sullo sfrenato desiderio sessuale che sembra ridurre in ombra tutto il resto, la piena coscienza dall'avvenimento non è subitanea, ma lunga e dolorosa. Una metamorfosi spietata, che non lascia adito all'indifferenza. Nè alla ragione.
COme si può accettare di non essere più? Come si può accettare di essere divenuto più Kafkiano di Kafka?
La mente rifugge. E' un sogno, anzi, un incubo. I dottori negano.
Tutti si sono alelati contro di lui, lo vogliono utilizzare per mostrarlo alle televisioni mondiali.
Tutti gli mentono.
Lui, professore di lettere, si è immedesimato troppo in Gogol e Kafka.
Ma qual è la verità in questo turbinio costante che sembra taloro condensarsi in un melmoso pantano da cui non ci si può salvare? Tra i fumi del delirio, sospeso nel metafisico mondo dell'irrelatà, Kapesh è alla ricerca di una giustificazione a ciò che gli è accaduto. Non accetta la sua condizione. E' una disarmonia con se stesso che annichilisce la razionalità, resta il delirio imperante che sembra sciogliersi, per poi ritornare impenetrabile.
Ne Il seno la metamorfosi è indspensabile al personaggio per recuperare se stesso, per esemplicare attraverso il paradosso, un'altra contraddizione: quella dell'uomo che seppur costretto in una determinata condizione, non l'accetta sforzandosi di rinnegare la relatà e rifuggire dal razionale rifugiandosi nell'inevitabile alienazione dal vero
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La metamorfosi Rothiana
David Kepesh in una notte si trasforma da uomo in seno.
Sì, un seno femminile, delle esatte misure del suo corpo di uomo: 70 kg per un metro e ottanta di altezza. Lo decora un bellissimo e sensibilissimo capezzolo attraverso il quale David può parlare e può sentire. Però è privo di tutti gli altri sensi, tranne il tatto o meglio la sensazione di venir toccato, considerato che toccare lui non può, privo di mani com'è.
Professore di letteratura, collega naturalmente la sua situazione ai bellissimi racconti – La metamorfosi e Il naso - di Kafka e Gogol che per anni ha spiegato ai suoi studenti; si chiede persino se quelle fantastiche invenzioni letterarie (tanto a lungo frequentate) non abbiano potuto influenzare la sua vita portandolo alla condizione attuale. Ma sotto il profilo emotivo non si sa dare pace, rimane a lungo, fino alla fine, incredulo che quel che vive sia davvero la realtà e fa un tentativo di rifugiarsi nella pazzia, preferendola a quanto sta vivendo.
Intorno a lui si muovono pochi personaggi: il suo medico, che studia questa incredibile metamorfosi con scientifico distacco; il padre che con tenerezza lo visita una volta alla settimana, parlandogli come se nel letto ci fosse suo figlio come lo conosceva e non una enorme mammella nuda; la sua compagna, la giovane Claire, che giorno dopo giorno non gli fa mancare il suo affetto e lo accarezza con tenerezza nelle sue parti più sensibili, fornendogli il piacere fisico che lui brama.
Il personaggio più incredibile è proprio Claire che appare quasi bovina, nella sua accettazione di una situazione inverosimile, mentre fornisce carezze e baci lascivi alla mammella in cui il suo uomo si è trasformato. David si chiede a un certo punto se, a ruoli invertiti, sarebbe stato in grado, lui, di accarezzare e baciare la sua Claire trasformata un grosso pene di cinquanta kg.
Il racconto è gradevole e divertente per la capacità di Roth di mantenere viva l'attenzione del lettore e per la leggerezza ironica e a tratti cinica con cui l'argomento è trattato.
Il finale consolatorio, con il richiamo ad una poesia di Rilke, dedicata al frammento di una statua di Apollo esposto al Louvre, fa tornare David a rivestire ancora una volta i suoi panni di professore e allude forse alla possibilità che nella parte si possa rintracciare il valore del tutto.
[…]
Vedete, non è questione di fare quello che è giusto o appropriato; non è il galateo della perfetta mammella a preoccuparmi, ve lo posso assicurare. È piuttosto fare ciò che devo per continuare a essere io. Perché se non io, chi? O che cosa? O continuo a essere me stesso, o impazzisco – e poi muoio. E sembra proprio che non abbia voglia di morire; sorprende anche me, però continua a essere così.
[…]
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Tutta colpa della letteratura?
Lettura particolare, e questo va detto; sono partita con qualche pregiudizio, ed anche questo va detto.
Influenzata dalla sconfitta letteraria con Kafka e le sue “Metamorfosi”, pensavo che “Il Seno” sarebbe stato un fallito tentativo, o se non fallito direi banale, di imitare un qualcosa che ormai ha fatto storia.
L’idea stramba della trasformazione in una tetta, sì proprio lei, non mi è piaciuta chissà quanto, anche perché ho percepito un fastidio dal punto di vista, come dire… femminile (ovviamente i nostri attributi sono sempre così tenuti in considerazione!)
Il modo con il quale ha steso la storia, delineando così un bel personaggio/oggetto letterario, mi ha entusiasmata molto. Roth si è focalizzato molto su due fattori: oltre al filone erotico, il quale, a tratti, ha suscitato in me una certa forma di stizza e di pudicizia, c’è quello psicologico, davvero apprezzabile. Il motivo per il quale è avvenuta questa trasformazione, la voglia, anzi il bisogno di dimostrare di essere (e non) pazzi pur di comprendere quanto è avvenuto.. la disperazione di un uomo, ma allo stesso tempo la cinica ironia, che hanno delineato perfettamente i tratti culminanti di questa nuova figura letteraria.
Ammiro l’idea di aver mischiato insieme “metamorfosi” e “letteratura”.
E’ possibile che un uomo si sia immedesimato talmente tanto nei suoi studi letterari, da diventare soggetto/oggetto di quanto ha appreso attraverso i libri? E’ possibile una trasformazione “propria”, ovvero secondo i propri canoni, in qualcosa di anomalo e di bizzarro? Kafka e Gogol hanno tracciato e modificato l’esistenza del professore universitario di letteratura Kepesh?
“Io sono più kafkiano di Kafka”.
Questa sì che è un bel punto di vista!
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Il naso di Gogol
Il karma la sa lunga...
Nel 1972 Philip Roth, uno dei più grandi scrittori americani viventi di origine ebraica, pubblicò quello che sarebbe diventato il suo racconto lungo più famoso (non posso sbilanciarmi anche sull’etichetta ‘migliore’ perché non ho letto altri suoi racconti, ma se tanto mi da tanto…).
La storia è di quelle che sbalordiscono per la loro semplicità disarmante capace di portare il lettore ad un alto grado di elucubrazione filosofica.
Il professore di letteratura comparata David Kepesh per un paio di giorni avverte un prurito nelle zone intime che una sera si evolve in uno ‘sfogo cutaneo’. La mattina dopo l’uomo si sveglierà in un’altra condizione fisica: quella che la sera prima era una semplice macchiolina rosa si è trasformata, anzi l’ha trasformato in un grosso seno di ben settanta chili. Incapace di vedere o muoversi, gli unici sensi a rimanere integri saranno la voce (che esce da una linguetta nella parte alta della massa grassa – anche il volto è ormai sparito), l’udito e, dopo le prime ore post-anestesia, il tatto.
Divertente in alcuni passi – soprattutto quelli legati alla componente erotica – e contemporaneamente amaro, il racconto è permeato da un surrealismo di tipo kafkiano e gogoliano, autori dei celebri racconti “La metamorfosi” e “Il naso” spiegati per anni dallo stesso professor Kepesh. Il senso di inquietudine del protagonista deriva dalla condizione fisica in cui egli versa, ma soprattutto dal fatto che probabilmente è sotto osservazione continuamente, e dei medici e della spietata società: ciò lo porta alla riflessione e soprattutto alla rivalutazione del rapporto con gli altri (ad esempio, il padre e la fidanzata che ogni giorno vanno a trovarlo in ospedale lo amano veramente o il loro è solo puro senso di pietà?).
Sta al lettore capire se si tratta della realtà o di un sogno-incubo, oppure ancora di una realtà parallela o di una metafora utilizzata dallo stesso Kepesh. O addirittura del risultato di uno stato di pazzia del protagonista, che più volte nel corso della storia, soprattutto alle battute finali, è portato a credere come l’opzione migliore.
Ciò che emerge di particolarmente interessante è la concezione del karma: il professore accetterà la nuova condizione in cui sta vivendo, proprio perché meritata dopo il tradimento fatto alla moglie che ha portato al divorzio. Era quasi come se dovesse aspettarselo. Ed è così che si delinea un percorso che porta alla presa di coscienza di sé, di quello che si è e di quello che si vorrebbe essere e forse è meglio non diventare.
Infine, Roth ‘chiude’ con una delicatissima poesia di Rilke, “Torso arcaico di Apollo”, in cui il poeta invita non alla conoscenza di sé stessi, quella probabilmente non arriverà mai, nemmeno nei più saggi; aspira invece al cambiamento per una piena maturità. Come il torso mutilato infatti, il nostro essere non raggiunge la perfezione nella sua integrità, ma nel gioco di equilibrio derivante dalle parti (leggasi: qualità) mancanti e da quelle che possediamo. Accettarci per come siamo e mirare alla maturazione, e non alla perfezione, è ciò che vuole suggerirci Roth attraverso la poesia di Rilke. Accettare la straordinarietà della normalità.
“Cominciò stranamente. Ma poteva forse esserci un altro inizio? Si dice che le cose sotto il sole cominciano “stranamente” e finiscono “stranamente” e sono strane; una rosa perfetta è “strana”, proprio come una rosa imperfetta, e come la rosa di normalissimo colore e gradevolezza che cresce nel giardino del vicino”.