Il rosso vivo del rabarbaro
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"Il mondo vive negli occhi di chi lo guarda"
«Saper cogliere il momento giusto per volgere in proprio favore le circostanze della vita: ecco l’importante» p. 4
Augustina, figlia di una girovaga madre ornitologa e di un padre appassionato di balene che probabilmente ignora la sua stessa esistenza, cresce con Nina in un villaggio della piccola Islanda, un villaggio sul mare, al nord del mondo, un villaggio dove lunghi periodi di buio si intervallano ad altrettanti di ininterrotta luce. La sessantaduenne Nina, ha scelto il suo nome rivolgendo la mente all’Imperatore Augusto e si è assunta il compito di proteggerla, crescerla e curarla aprendole gli occhi e l’intelletto, invitandola alla curiosità, alle domande, alla ricerca. E la giovane ragazza, non esita a farlo. Non importa se le sue gambe sono un po’ matte, ella non vi si sottrae. Quel tempo che con il buio sembra cristallizzarsi restando immobile nel suo impercettibile scorrere non ha la forza di fermare il suo acume. Un piccolo genio della matematica contestato per le sue stranezze, la ragazza è una donna discreta e introversa che appartiene alla natura, che si perde nei suoi campi di rabarbaro, che coltiva il sogno di scalare quella montagna, di vincere quell’altezza di appena ottocentoquaranta metri che rappresenta per la medesima un ostacolo insormontabile.
Ancora, non si sottrae ai rapporti umani, a quegli interludi di parole e baci scambiati con Salòmon, il figlio della maestra del coro, così come non si sottrae alle parole della letteratura, a quelle ad esempio donatele da “L’idiota” di Dostoevskij, a quelle destinatale da Vermundur, a quelle ricevute dalle missive della madre e ancora a quelle che a sua volta ha rivolto a suo padre in messaggi in bottiglia trasportati dalle onde del mare.
Il conoscere è all’essenza dell’opera della Olafsdottir, il sapere, l’arricchirsi dentro è il fulcro della storia di Augustina. Al tutto si somma un verbo poetico, uno stile affascinante dai toni quasi fiabeschi che trasporta in una realtà parallela semplicemente irresistibile.
«Alle spalle di una montagna ce n’è sempre un’altra. E una volta vinta La Montagna, passerà ovviamente alla conquista delle altre, sparse per il mondo. Nina ha ragione: la cosa più importante è avere buone scarpe: che ci si trovi alle falde del Kilimangiaro, con i piedi poggiati sulla pancia della Terra, o al centro di un ponte sospeso sull’Himalaya, quel che ci vuole sono le scarpe adatte.» p. 24
«Ecco perché sei rimasta con le gambe così. Lo so che vorresti poter correre e andare in bicicletta e fare tante altre cose, ma, guarda, c’è pieno così di gente che corre tutta la vita e non arriva mai da nessuna parte. Io non lo so, sì, forse sei stata un po’ sfortunata. Ma nella vita non si può mai dire davvero, chi è fortunato e chi non lo è» p. 51
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Con le gambe fragili
Questa è la storia di una ragazzina dalle gambe fragili che cerca di superare i propri limiti, sfidando una montagna e sfidando un po’ anche se stessa. Perché dall’alto della montagna puoi avere una visione d’insieme che ti aiuta a vedere sempre più piccole tante cose che alla fine sono davvero poco importanti. Perché l’unico vero viaggio, il più bello che ognuno di noi può fare, consiste nel superare i propri ostacoli, nello scalare la cima della propria montagna personale. Questa ragazzina dà emozioni, così come anche il racconto della sua stessa nascita. E in questo libro c’è tanto rosso, che è il colore che non a caso ne dà il titolo. La lettura scorre via e ti lascia una striscia di colore dentro. Senti che le tue fragilità non sono solo tue, ma senti anche che ci può essere dentro di te la forza di andare oltre.
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Le gambe matte di Ágústína
E’ un romanzo poetico, creato dalla immaginazione brillante e leale di Auður Ava Ólafsdóttir. I luoghi sono i veri protagonisti delle sue storie: stavolta, un villaggio e una piccola e indaffarata comunità in Islanda, sul mare, a nord del mondo. La vicinanza al circolo polare artico consente che in giugno e parte di luglio e maggio non ci sia la notte e che d'inverno, invece, il sole si alzi poco sopra la linea dell'orizzonte per non più di 4 ore al giorno.
Mi appassiono all’adolescenza complessa e tenera di Ágústína, figlia di una madre ornitologa girovaga e di un padre esperto di balene che, probabilmente, ignora la sua esistenza.
Ágústína è il nome scelto da Nína, la donna che la protegge e la cura, alla quale è stata affidata: come Augusto imperatore che ha potuto vivere al di qua e al di là dell’anno zero ed è così diventato sia un uomo del più sia un uomo del meno. Ed è sempre Nína che la invita ad assecondare la sua curiosità, giacché “spesso ci si dimentica di guardare ciò che sta fra le cose, quando in realtà è proprio quello che c’è in mezzo a tenerle assieme …e conta tanto anche lo spazio vuoto, o lo spazio intermedio.” p.35.
Senza il buio, il tempo appare immobile. L’accecante sole e il vento pungente del nord educano il corpo e l’intelletto della giovane che si trascina con le sue stampelle come una foca fra i faraglioni. Ágústína lentamente, affinando l’intuizione e il pensiero, diviene una sirena che seduce e incanta. Discreta e introversa, dotata di intelligenza feconda, è creatura che appartiene alla natura, alla bassa marea della spiaggia e alla vetta della Montagna che desidera scalare con la complicità degli scarponcini da trekking ricevuti per il suo compleanno.
Ágústína e le sue gambe matte diventano grandi grazie alle relazioni, anche in assenza, e alle parole: quelle scambiate con Salómon, figlio adolescente della maestra del coro e quelle lette ne L’idiota di Dostoevskij, le parole ricevute per posta da sua madre e le parole scritte e spedite in bottiglia per suo padre.
La necessità di conoscenza, di comprensione, di riflessione, di dialogo rappresentano il fil rouge della vicenda umana e della storia narrata. E’ importante riconoscere il copione che libera e trattiene, che identifica e limita, ritrovato in un baule, su un foglio che sua madre ha scritto tanto tempo prima:
“…tante altre cose accomunano donne e uccelli: adattabilità, mobilità, inquietudine fisica dipendente dall’accorciarsi oppure dall’allungarsi dell’orbita solare, desiderio di spostamenti frequenti. Ci potrebbe essere dovuto al fatto che la percezione del tempo negli uccelli è simile alla percezione del tempo nella donna…” p.108
“Tua madre era persa in cielo coi suoi uccelli, tuo padre immerso nelle profondità delle sue ricerche sottomarine. Io credo che si siano incontrati a metà strada, cioè su, al campo di rabarbaro.”p.92