Il Regno
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Recensione della Redazione QLibri
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ANNOIARSI CON CARRERE
"Carrere sulla religione, che delusione"
(IL SOLE 24 ORE)
Il romanziere (non mi sento di chiamarlo scrittore) colloca le vicende di questo libro nel I secolo d.C. (anche se numerose sono le incursioni nel presente e nella biografia dell'Io narrante stesso), tempo in cui inizia a diffondersi il Cristianesimo e nascono le prime comunità di fedeli che cercano di vivere con coerenza il messaggio partito dai luoghi della Terra Santa.
Fra i protagonisti, Luca (l'evangelista Luca) e Paolo (l'apostolo Paolo). L'argomento è di per sé affascinante e molto interessante. Però anche gli argomenti sommi possono essere trattati in modo superficiale, col rischio della banalizzazione. E' proprio ciò che accade in questo romanzo, fose complice un'infelice traduzione. Tant'è.
Pensiamo a quando il lettore, a proposito di Luca, s'imbatte in espressioni come: "A vederlo non gli si danno due lire"; "man mano che si scalda parla sempre più in fretta". A pronunciare tali amenità non è un 'catechista per caso' , bensì un autore i cui libri vengono collocati in vetrina.
Anche su Paolo la creatività letteraria cade a picco: "Quando si è alzato, Paolo non ci vedeva più". Viene narrato inoltre che "Paolo si spazientisce e in quattro e quattr'otto esorcizza la posseduta" ; però "la guarigione della schiava posseduta non va giù ai suoi padroni".
Ci viene anche ricordato che, durante le riunioni dei primi Cristiani, "nessuno va a letto con nessuno".
Pure i riferimenti alla mitologia classica ricordano l'atteggiamento di certi insegnanti che, ingenui e incauti, puerilmente pensano di 'essere moderni' e di sapersi rapportare agli studenti con espedienti di cui non riconoscono la portata involutiva. Leggiamo, infatti, che Dio, per gli ebrei, "non è un donnaiolo come Zeus. Non s'interessa alle ragazze, soltanto del suo popolo". L'autore sembra quasi pungolarci: "Trasponiamo, sceneggiamo, non dobbiamo aver paura di darci dentro. Calipso è (...) quella che ogni uomo vorrebbe farsi".
Abbiamo parlato di linguaggio. In un'opera letteraria in particolare, ma ovviamente non soltanto, 'la forma è il messaggio' : l'aspetto contenutistico ci perviene attraverso la forma, che ne veicola, modificandoli, connotazioni ed effetti.
"Come la circoncisione, anche i pasti erano un punto delicato" : diciamo in modo netto che, per chi ama la letteratura, leggere frasi di questo livello è perlomeno deprimente. Basta così.
A questo punto, mi pare superfluo dire che si tratta di una narrazione esteticamente brutta, artisticamente carente perfino nella parvenza, con una scrittura che colloca questo libro non in un ambito letterario, bensì semplicemente fra la merce che si vende e si compra.
Per correttezza, devo dire che nell'ultima parte si avverte un miglioramento, quando il ricorso alle fonti si fa più consistente. Però il volume ha 428 pagine e, citando Leopardi e non solo, ' tutto il resto è noia ' .
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Un viaggio nel Nuovo Testamento
Ne "Il Regno", opera a metà tra saggio critico, romanzo storico e racconto autobiografico, Emmanuel Carrère presenta al lettore il risultato dei propri studi sul Nuovo Testamento. L’introduzione è costituita da un’ampia sezione autobiografica, in cui l’autore chiarisce i motivi alla base della genesi del libro. Egli, infatti, è stato un fervente cristiano per due anni del suo periodo giovanile, e si propone ora di ritornare sulle tematiche di fede dal punto di vista di un agnostico. La parte centrale, il vero e proprio cuore dell’opera, rappresenta invece un viaggio tra le pagine degli Atti degli apostoli e del Vangelo. A partire dalle vicissitudini dell’evangelista Luca, il libro si apre a mille digressioni: personaggi, luoghi, fatti storici, questioni filologiche ed esegetiche, riflessioni personali e molto altro.
Nonostante le oltre quattrocento pagine, ho trovato "Il Regno" una lettura assai piacevole. Il più grande merito dell’opera, a mio avviso, sta nell’illustrare in modo semplice, accessibile anche a chi non possiede conoscenze pregresse, argomenti altrimenti riservati agli specialisti. Essa, inoltre, si sforza di adottare un punto di vista neutrale – né religioso, né ateo: agnostico – permettendo al lettore di giudicare autonomamente le informazioni offerte, nel quadro di una riflessione sulla propria fede.
Un altro pregio da non sottovalutare è la capacità di Carrère di riportare alla vita, con uno stile vivace e a tratti romanzesco, personaggi ormai sepolti e quasi mitizzati da secoli e secoli di tradizione ecclesiastica. Questo, insieme ai continui riferimenti al presente e alla formidabile ironia dell’autore, rendono il libro ben più coinvolgente di un comune saggio sul tema.
Questi aspetti positivi, tuttavia, non mi hanno impedito di provare un lieve senso di disorientamento, sia durante la lettura, sia al suo termine. Se si eccettua il file rouge del viaggio di Luca, l’impressione è che manchi una vera e propria struttura; ci sono troppi excursus, troppi salti temporali. Lo stesso vale per la conclusione della parte centrale, aperta ai confini dell’enigmatico. Insomma, siamo ben lontani da quegli schemi argomentativi che tanto ci rassicurano.
Un’ultima critica, infine, va alla tendenza di Carrère a parlare molto di sé stesso, la quale, se in alcuni punti contribuisce ad arricchire la trama dell’opera, in altri risulta, almeno secondo me, superflua.
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Recensione
Che libro ha scritto Emmanuel Carrère?
Un libro di storia?
No.
Le royaume/Il Regno non è un libro di storia perché Carrère, l’autore, è uno sceneggiatore, bravo nel suo mestiere, abile ad attirare il pubblico, a coinvolgerlo con leggerezza (troppa) in un gioco di superficiali ricostruzioni del contesto delle ecclesiai e in un tentativo di dare vita, mediante la quotidianità, alle figure del primo cristianesimo.
L’autore, così operando, può mostrare solo uno spaccato della vita sociale del I secolo d.C.e fare spettacolo,
Carrère è del tutto fuori dalla cultura romano-ellenistica: la sua pagina è aneddoto, è curiosità, pseudo ricerca di notizie che fanno scalpore .
il Regno è opera di uno che si sente ed è “uomo intelligente, ricco e con una posizione“, e “sottende” bello, atletico, praticante arti marziali, non digiuno di yoga e di altre tecniche, alla moda, conscio che a lui è precluso il Regno dei Cieli, ma consapevole che è padrone su questa terra.
La ricerca è un lavoro duro, impossibile da pagare: qualsiasi risultanza, anche se povera cosa, non ha prezzo.
La lettura del messaggio del Christos- neanche esaminato nel suo stretto periodo operativo messianico- è, invece, per il francese un’operazione da farsi secondo l’angolazione di Paolo e di Luca ( di Giovanni e di Matteo, evidenziati solo nell’ultima parte ), sulla cui attività almeno si fa indagine.
Lo scrittore non legge il fenomeno cristiano come è stato tramandato, ma per come lo vuole leggere lui, personalmente: Gesù è un revenant, un risorto che ritorna e Paolo è uno che predica la parousia del Christos trionfante e il giudizio universale.
La cultura di Carrère non ha spessore, perché l’autore è un brillante saggista che vola sui problemi e cerca di piacere e di piacersi e, piacendosi, si fa guida, puerile, nella quotidianità della vita romano-ellenistica delle province dell’impero romano e nel cuore di Roma stessa, in modo libresco.
Carrère vuole dimostrare che secondo Paolo, convinto del ritorno imminente del Signore, sia necessario vivere di conseguenza per i credenti in Christos, ebrei o pagani, indifferentemente, congiunti in amore (agape), dimentichi dei propri beni, uniti in una continua preghiera.
L’autore è confuso, stordito da questa ipotesi, paolina: un ‘intuizione , certo! che deve essere suffragata da ricerche in varie direzioni, esaminata in ogni elemento costitutivo : la serie televisiva dei Revenants sono una cosa; la resurrezione di Christos un’altra!
Carrère, invece, cita autori, a supporto, ma non convince; si pone come exemplum di vita, mostra una sua crisi,(fa sedute psichiatriche) superata grazie all’incontro con Christos , la cui influenza dura solo tre anni, e poi torna ad essere scettico ed agnostico.
L’idea della scrittura di Il Regno stesso dovrebbe essere di un letterato, in otium, depresso : la suddivisione, in Prologo. Parigi 2011 ed Epilogo Roma 90- Parigi 2014, non racchiude, come può apparire , un triennio compreso tra il 2011 e il 2014, ma sottende anche la chiusura della vicenda cristiana evidenziata in 4 capitoli, storici, il cui svolgimento va dal 90 a Roma con notizie su Domiziano .e gli eredi della famiglia di Cristo ( poveri contadini, possessori di un ettaro di terreno, diviso in due)-, poi con altre su Traiano e su Costantino fino al 2014, parigino, anno della pubblicazione del Libro.
Insomma, Carrère sottende una doppia operazione per narrare un suo iter individuale, privato, e per fare contemporaneamente un’altra storia, pubblica e cristiana, collegata in qualche modo a quella personale e familiare, che è specificamente espressa in Una crisi Parigi 1990-1993, mentre gli altri tre capitoli centrali (II Paolo Grecia 50-58; III L’inchiesta Giudea 58-60; IV Luca,Roma 60-90 ) sono centrati sulla diffusione dei Vangeli.
Perciò nella pars centrale di Il regno c’ è una mescolanza di temi, di profano e di sacro, in cui si confondono la vicenda umana dello scrittore e la storia cristiana, come se la vicenda individuale abbia una qualche attinenza con la storia, indefinita del Christos come se ci fosse stato un reale incontro di un vivo con un risorto.
Anche la scelta di campo lascia perplessi: non vuole scrivere da romanziere né da storico, ma vuole essere investigatore (non parla di ricercatore), un investigatore sui generis così da poter compilare ad assemblare testi di varia natura, e da fare qualche svista, imprevista, spettacolare.
Se si legge Il Regno (trad, Italiana di Francesco Bergamasco, Gli Adelphi, 2016 ) si ha qualche dubbio sulla attendibilità storica, e sulla indagine dell’ autore, specie prima del 50 d. C , e sulla conoscenza reale del periodo del principato di Gaio Cesare Germanico Caligola (37-41) e del Regnum/Basileia di Giulio Erode Agrippa I, tetrarca di Iturea, Gaulanitide, Traconitide, Batanea,( ex tetrarchia di Filippo) dal 37 al 39, quando Caligola aggiunge Galilea e Perea , tolte ad Erode Antipa, ed infine re anche di Iudaea – Giudea, Samaria, Idumea -dal 41 ad opera di Giulio Cesare Claudio, (divenuto imperatore grazie al suo aiuto tempestivo).
Infatti, a pagina 300 , Carrère, trattando di Porcio Festo, governatore di Iudaea (61-62),- impelagato nelle questioni religiose dei giudei, a causa di Paolo, un civis romano cristiano- mostra la visita di due principi giudaici, fratelli, Agrippa e Berenice.
Così l’autore scrive su Agrippa: pronipote di Erode, – l’apposizione il re crudele ed amante del lusso è di Renan- Agrippa è un playboy ebreo completamente ellenizzato, romanizzato, come i maragià che al tempo della dominazione britannica studiavano a Cambridge. Da giovane ha fatto la bella vita a Capri con l’imperatore Caligola, Poi è tornato in patria dove si annoia un pò. Berenice è bella, intelligente, vive con suo fratello e si dice che i due vadano a letto insieme.
Resto sorpreso dalle notizie grossolane, vaghe, inesatte.
Poi a pagina 337 si legge questo enunciato complesso: Dal canto suo il playboy Agrippa, il re della dolce vita romana ai tempi di Caligola, fa del suo meglio per convincere i connazionali che una ribellione non porterà niente di buono.
Carrère fa questa affermazione, dopo avere tratteggiato la sorella del re, Berenice, in abiti da penitente- ex moglie di Marco Alessandrino e di Erode di Calcide, che, vedova a venti anni, era diventata moglie di Polemone II di Cilicia- al fine di contestualizzare la guerra giudaica, seguendo alla meglio Giuseppe Flavio (Guerra Giudaica, 16, 333-404), al suo inizio nel 66, sintetizzando la narrazione dei fatti e il lungo discorso del Re Giulio Erode Agrippa II – che arringa il popolo e lo invita a desistere dall’insurrezione contro i romani, considerata la netta inferiorità militare -.
Sorpreso di nuovo dal playboy , dato ad Agrippa, dal sintagma il re della dolce vita romana ed ancora di più dalla precisazione temporale ai tempi di Caligola, mi pongo due domande (Ho scritto Caligola il Sublime; Giudaismo romano I e II, ho tradotto Legatio ad Gaium di Filone e il XVIII e XIX libro di Antichità giudaiche di Giuseppe Flavio):
1. Possibile che Carrère non conosca la morte di Erode Giulio Agrippa I, nell’agosto del 44 e non sappia che Caligola, nel periodo di Capri, non era imperatore?
2. Possibile che confonda il figlio col padre (non mi sembra che ci sia un errore di traduzione!) ?.
Agrippa II nel 44 ha 17 anni e l’imperatore non gli riconferma il regno paterno, data l’età; alla morte violenta di Caligola nel 41 ha solo 14 anni, essendo nato nel 27 .
Il playboy potrebbe essere adattato, con molta benevolenza -dato il suo scetticismo e considerata la vicinanza pericolosa con amatori di femmine come Caligola e Claudio – ad Agrippa I, non ad uno, imberbe, non ancora adolescente: Carrère conosce la carriera di viveur di Agrippa II, accusato tra l’altro, di essere amante della sorella dal popolo aramaico, dai farisei e dagli esseni (che ritenevano incesto – colpa degna di lapidazione- la Philadelphia ellenistica), poi divenuta amante di Tito Flavio, che la tenne come concubina per anni, a Roma, con la promessa di sposarla, finché non dovette obbedire alla ragione di stato e fu costretto a cacciarla da corte ( Svetonio, Tito, 7: Berenicem statim ab urbe dimisit, invitus, invitam / cacciò da Roma subito,-preso il potere- malvolentieri, Berenice che se ne andò malvolentieri ).
Carrère si riferisce certamente ad Agrippa II, ma lo ritiene precocemente playboy, in epoca caligoliana, all”età di 10-14.
Al di là della sua lacunosa conoscenza storica col suo modo di scrivere, inglobante notizie, senza valutarle, ha tante strane sviste, esempio pp. 114-15: Filone, a suo dire, morto vecchissimo , 15 anni dopo la fine di Christos (36 d. C. e, quindi, nel 51), grande rabbino, che fa esegesi allegorica.
Filone alessandrino dovrebbe essere nato tra il 30 e 25 a. C. e morto dopo il 41 e prima del 44 (non conosce l’impresa della conquista della Britannia di Giulio Cesare Claudio 43-44 e non parla della morte di Giulio Erode Agrippa I).
Forse ha meriti, specie sul piano letterario secondo schemi artistici e giudizi critici, tipici di un regista e sceneggiatore – non ne ha alcuno nella sua inchiesta sui Vangeli, incapace di diversificare i tempi di scrittura da quelli di semantizzazione-!
Carrère segue sempre qualcuno; ad esempio il sistema classificatorio per la datazione dei Vangeli è quello di Adolf von Harnack, con la successiva teoria delle due fonti e non entra in merito: per lui Marco è il primo evangelista, seguono poi Matteo e Luca; da una parte i sinottici e da un’altra Giovanni e il suo discorso escatologico ed apocalittico, di epoca gnostica.
Carrère come modello letterario ha Le Memorie di Adriano di Margherita Yourcenar – un vero capolavoro, da lui non completamente letto- e ne vorrebbe seguire le orme, specie nella sapienza di ricostruzione storica degli episodi e delle situazioni, della geografia stessa e dell‘ animus del personaggio principale, perfino nel collage, a tempi diversi, dell’intera opera.
Di questa ammirazione, letteraria, molti sono i segni che si possono riassumere nella lunga citazione, da lui fatta, tratta da Taccuini che- gli piacciono molto!- : le regole del gioco imparare tutto, leggere tutto, informarsi di tutto e al tempo stesso applicare al proprio fine gli esercizi di Ignazio di Loyola e il metodo dell’asceta indù che si estenua anni ed anni per mettere a fuoco con maggiore precisione possibile l’immagine che ha creato sotto le palpebre chiuse…
…anche loro, ( vissero la loro quotidianità)…come noi, gioirono, invecchiarono e morirono pp. 263-264.
Carrère, insomma, una volta prefissato il tema, prende dove trova lo spunto per entrare in situazione e poi aggiunge una sua personale lettura come conclusione, critica, come fa, ad esempio, per la valutazione di Paolo di Tarso.
Il francese ha davanti il testo di Mythmaker di Hyam Maccoby (Harper, New York,1986), lo segue pari passo nella lettura dell’opera dell’apostolo delle genti, combaciando con la dissacrazione (Non è fariseo, non è rabbino ecc.), da cui poi diverge nella parte finale, evidenziando il proprio punto di vista.
Il regno è, dunque, un libro che non aggiunge nulla di nuovo e non aiuta nella conoscenza dei Vangeli, anzi confonde e turba la coscienza individuale, nonostante l’onesta ( ma è così!) conclusione con non lo so e con la confessione di aver scritto in buona fede.
La buona fede, specie se cristiana, di solito cela guadagno, come la carità, a breve o a lungo!
Carrère, comunque, non sa se abbia tradito se stesso, giovane credente per un triennio, o se il libro tradisca il Signore, a cui ha creduto, o se gli sia rimasto, a modo suo, fedele.
Un libro che ti cattura
La tentazione più insidiosa che mi coglie, avviando la recensione de Il Regno di Emannuèle Carrère (Adelphi 2015), è quella di mutuarne lo stile, apparentemente svagato e digressivo, ma resisto, anche perché non ne sono capace. È un libro che non è un romanzo, ma ha la leggibilità di un romanzo, nato per essere bevuto tutto d'un fiato (e sì che conta 425 pagine!) in attesa di un finale che dovrebbe sciogliere i nodi accumulati fin lì.
L'autore è un francese di successo (let- teratura, cinema, tv) che racconta un episodio centrale della sua vita: la conversione al cattolicesimo, dopo decenni di ateismo sfrontato. Ma la nuova esperienza termina dopo tre anni. La fede si spegne nella stanchezza grigia della routine, come un matrimonio andato a male. Anni dopo, lo scrittore ritrova le tante pagine riempite commentando il vangelo negli anni del fervore religioso, e, convinto che quel passato non sia del tutto sfiorito, si avventura in una "inchiesta" sulle origini del cristianesimo: gli Atti, Paolo, Giacomo, Pietro, Luca, Marco, Timoteo, Lidia ecc. E di tanto in tanto, Gesù, che a tutta quella complicata, misteriosa, fantastica avventura di venti secoli fa, dà senso e vigore. Legge, studia, commenta, ricostruisce, interpreta, ipotizza; ma soprattutto sceneggia e racconta, andandosene spesso per la tangente e intervallando il "saggio" con l'autobiografia, sincera, impietosa, cruda fino a parlarci di cose quasi inconfessabili.
La fede non c'è più, ma la folgorazione di quell'incontro con quella Parola resta come una malìa incancellabile (“Qual è la realtà? Che Cristo non è risorto? Io ti abbandono, Signore. Tu non abbandonarmi”). Emergono, durante l'inchiesta, le contraddizioni, le incongruenze, le 'favole' dei testi religiosi esaminati, ma Carrère sta in guardia contro l'albagia dell'intellettuale che spregia il volgo credulo e ignorante. Ad ogni svolta di questo cammino tortuoso e forse infinito ritorna però la questione centrale: cosa era, cosa è, quel Regno che Gesù proclamava ormai vicino? Ed è in quei momenti che si accende una luce e viene illuminata quella segreta piega.
Fino alle pagine conclusive. Il libro si chiude col racconto degli ultimi momenti della sua composizione, quando l'autore, sempre non credente (ma non convinto del tutto di non esserlo), rievoca un'esperienza forte presso l'Arca, la comunità di accoglienza di Jean Vanier, che ospita i reietti dell'umanità, i rifiutati da tutti: seduti in circolo un gruppo di uomini e donne si lavano reciprocamente i piedi. Sarà quella la vera eucaristica che solo Giovanni tramanda? Sarà questo "darsi" senza se e senza ma al povero, al malato, al dimenticato il vero Regno annunciato, vicino, ma mai compiutamente realizzato?
L'autore "non lo sa". Però sa dirci questo: “Quando istituisce l’Eucaristia Gesù si rivolge a tutti e dodici i discepoli insieme. Ma quando si inginocchia e lava i piedi, lo fa a ciascun discepolo individualmente, chiamandolo per nome ...”. Proprio come i volontari dell’Arca fanno con i poveri “scarti” umani loro affidati. Ma il contatto è ugualmente importante per chi tocca e per chi è toccato: “è questo il grande segreto dell’Arca, come del Vangelo: all’inizio si vuole fare del bene ai poveri, e a poco a poco si scopre che sono loro che fanno del bene a noi ... e allora si ricomincia a diventare più umani”. Carrère sa che se cominci a darti ai poveri essi piano piano ti aiutano a trovare la tua verità, a diventare quello che puoi essere, proprio come la Chiesa, che, lui dice, (forse) ha tradito la sua origine ma sempre al suo Maestro amico dei diseredati ritorna se e quando vuole sfuggire alla palude del potere e riallacciare il dialogo col futuro.
Carrère è stato il "caso" dell'annata letteraria in Francia l'anno scorso. E il giudizio di Enzo Bianchi da un lato (“una ricerca che non si ferma di fronte all’apparente mancanza di risposte, ma scava più in profondità, magari smuovendo montagne di terra arida per giungere a un piccolo seme ancora fertile”) e della Civiltà Cattolica dall'altro (“uno specchio della nostra epoca: un’epoca disincantata, completamente dubbiosa per quanto riguarda la religione, senza che possa dimenticare questo cristianesimo”) ci garantiscono che non è un romanzo stagionale.
Un libro vivace, percorso da humour finissimo, tremendamente serio sotto le specie del divertissement, un libro che continuamente ti costringe a chiederti da che parte stai, ti costringe ad ammettere che anche tu pensi e/o fai questo e quello, ma "è meglio non farlo sapere", insomma non ti lascia in pace. Per fortuna ce ne sono ancora.
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Il Cristianesimo secondo Carrère
Non è facile classificare questo lavoro di Carrère. In parte si tratta di un’opera autobiografica nella quale l’autore ci confessa (verbo quanto mai appropriato…) il periodo della sua vita in cui era un fervente cattolico, andava a messa quotidianamente ed aveva trovato quella pace interiore così necessaria per superare i suoi momenti di crisi. Questo per tre anni, al termine dei quali qualcosa è cambiato, nuovi stimoli sono sopraggiunti, la fede ha lasciato il posto a tanti dubbi e ad un agnosticismo conclamato che rappresenta il corso del “nuovo Carrère”.Tuttavia l’esperienza vissuta ha lasciato delle tracce nella mente dello scrittore ed è emerso il desiderio di riflettere e ragionare su due figure ritenute vitali e nevralgiche nella storia del Cristianesimo: Paolo, autore delle celebri lettere contenute nel Nuovo Testamento, e l’evangelista Luca, autore di uno dei quattro Vangeli canonici oltre che degli Atti degli Apostoli.
Carrère quindi inizia a illustrare con un linguaggio accessibile e facilmente comprensibile, la vita di San Paolo, a partire dal momento della conversione sulla via di Damasco fino al suo arrivo a Roma, in attesa di essere giudicato dai romani per problemi di ordine pubblico, causati dalla sua predicazione nei territori dell’impero. Il ritratto che viene fatto di Paolo è quello di un uomo furbo, abile oratore, sobillatore di masse, dotato di un forte carisma e capacità comunicative fuori dalla norma. Tutte caratteristiche che hanno indubbiamente agevolato la diffusione della nuova fede, tanto tra gli ebrei quanto tra i “gentili”. Paolo si è fatto portatore della parola di Gesù ed anche grazie al contributo dei suoi discepoli e amici fedeli come Timoteo e lo stesso Luca, rimasto folgorato dalla sua predicazione tanto da riportarne il resoconto negli Atti degli Apostoli, ha così gettato i semi della nuova religione, in evidente antitesi al giudaismo ed al paganesimo romano imperanti nel mondo allora conosciuto.
Complessivamente trovo che l’idea alla base del libro di Carrère sia accattivante e interessante, se non altro perché lo stesso autore ammette candidamente il proprio cambiamento di punto di vista, guardandosi indietro ora che si definisce agnostico e compatendo sé stesso ed il periodo in cui era stato folgorato sulla via di Damasco. Tuttavia, nonostante i diversi riferimenti e le citazioni di esegeti biblici, il tutto può risultare eccessivamente semplificato e la visione d’insieme sulla predicazione di Paolo piuttosto parziale e discutibile. Come ammette lo stesso Carrère certi passaggi non sono supportati da verità storiche ma vengono in qualche modo romanzati, in quanto ritenuti realistici o comunque verosimili. Paolo viene descritto come la mente, è quello che ai nostri giorni potrebbe definirsi un uomo del marketing, molto abile nel vendere il suo “nuovo prodotto”. Luca invece viene rappresentato come il suo braccio, il testimone blandito che diverrà in futuro il cronista scrivendo gli Atti degli Apostoli.
Inoltre Carrère spesso e volentieri intervalla la narrazione facendo esplodere nel testo il proprio ego, decisamente piuttosto ingombrante, e manifestando al lettore il suo compiacimento per la conoscenza delle scritture e le riflessioni riportate che, ribadisco, a volte sono il risultato di speculazioni personali non suffragate da verità storica (ma almeno ha la compiacenza di ammetterlo!).