Il popolo degli alberi
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Norton Perina
Ci sono libri che naturalmente attirano e altri che per effetto respingono o non riescono proprio ad attrarci. “Il popolo degli altri” di Hanya Yanigihara è uno di questi titoli. Da un lato attrae, dall’altro respinge. Da un lato invita alla lettura, dall’altro crea come filtro tra chi legge e componimento. Scrittrice statunitense di origine hawaiane, editor e già nota al grande pubblico per il suo “Una vita come tante”, edito da Sellerio (2016), la Hanagihara è una di quelle autrici che giunge al suo lettore per il grande virtuosismo della sua penna.
Se “Una vita come tante” è una storia urbana che parte come un romanzo corale incentrato sulla vita di quattro ragazzi a New York e che poi svela storie tra loro molto diverse di famiglie e realtà, “Il popolo degli alberi” presenta una impostazione completamente diversa. L’arco temporale di riferimento è collocato in un periodo storico antecedente a una decina d’anni prima dell’oggi e si apre con un medico che si dirige in spedizione presso un’isola sperduta della Micronesia. Qui si dedica allo studio della tribù e scopre una malattia che renderebbe le persone al pari di immortali. Cosa succede a questo punto? Egli cerca di ricavare da ciò una cura per l’invecchiamento ma non ci riesce. Riceve comunque il premio Nobel per aver scoperto la malattia ma poi finisce con l’essere accusato di pedofilia da quei “figli”, circa una quarantina (43 nello specifico), che sull’isola aveva adottato. Da qui finisce in carcere. Da qui ha inizio e sviluppo un’opera che a tratti sembra quasi una autobiografia e in un certo senso potrebbe esserlo stante il fatto che l’autrice dedica l’opera al padre, ematologo e oncologo hawaiano ma ispirandosi alla figura di Daniel Carleton Ga jdusek, virologo, che vinse il Nobel 1976 per aver identificato il ceppo di una malattia mortale in una tribù della Papua Nuova Guinea per poi essere arrestato nel 1997 per abuso sessuale di bambini nativi che aveva adottato.
E Norton Perina che ha scoperto la sindrome di Selene, suo protagonista nel libro, e che ritarderebbe l’invecchiamento mantenendo per secoli la giovinezza, ne segue le stesse e identiche strade. Un finto memoir in cui il moto di partenza è dato dalla volontà di mantenere attiva e vivida la figura di un uomo che a prescindere dalle accuse false o vere a lui addotte, è comunque artefice di una scoperta che non può passare in secondo piano.
Da qui la maestria ulteriore della scrittrice che pone il lettore in un focus doppio e in uno specchio introspettivo in cui è costretto a interrogarsi e interrogare, mettere in dubbio e contestare, prendere atto e osservare, punti di vista tra loro anche contrastanti che ruotano attorno a una storia di successo, prevaricazione, arroganza occidentale, vanità intellettuale, disintegrazione ecologia, scienza e contraddizioni. O lo si ama o lo si odia ma in ogni caso, scuote e resta.