Il popolo
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“Sono un indiano ma sono anche un ebreo”
Sedici racconti inediti o poco conosciuti scritti nell’arco temporale compreso tra il 1940 e il 1984, presentati in ordine cronologico, più un romanzo inedito “Il popolo”, costituiscono questo volume apparso per i tipi della Minimum fax nel mese di maggio del 2016. Volume splendidamente corredato di una prefazione eccellente sui libri incompiuti, firmata Alessandro Zaccuri, e di un’introduzione di Robert Giroux, colui che fu amico ed editor di Malamud e che ebbe il merito di far pubblicare postumo “Il popolo” nel 1989.
La raccolta ha sicuramente il pregio di fungere da ottima selezione di un trentennio di attività di scrittura e chi conosce la produzione malamudiana ci ritrova personaggi, ambienti, situazioni già incontrati nei suoi bellissimi romanzi. In molti di essi è rappresentato il tema dell’incomunicabilità in seno alla famiglia, oppure il delicato equilibrio dei rapporti sociali; i personaggi di questi racconti ambiscono ad un’altra vita ( “A new life”?), si nutrono di speranze, di arditi slanci, di vere e proprie ribellioni ma poi finiscono quasi sempre per soccombere e riallinearsi al loro vissuto dal quale hanno momentaneamente deragliato rischiando di cambiare tutto e per sempre. Chi osa è solo un pazzo (“Confessione d’omicidio”) ma forse non è riuscito neanche lui e la pazzia è un tarlo come il ronzio che solo Zora sente temendo di divenire matta (“Il ronzio di Zara”). Tra i racconti “Esorcismo” a evocare i rapporti intercorsi tra Malamud e il giovane Philip Roth e due “biografie immaginarie”: una dedicata a Virginia Woolf e l’altra ad Alma Mahler. Due gioiellini.
“Il popolo” invece è la bozza di un grande romanzo che Malamud non ha potuto terminare e che iniziò a scrivere quando la sua lucidità intellettuale non era più integra anche se non venne mai meno l’abnegazione verso l’arte dello scrivere. Rivedeva le sue opere infinite volte con un metodo di revisione molto preciso: nulla era casuale o affrettato o ,peggio ancora, superficiale. Valutare pertanto uno scritto postumo, un incompiuto è per me far torto all’autore. Si può dunque solo accennare al contenuto. Yozip è l’ebreo errante fuggito dalla sua patria (?) per evitare il servizio militare, che incappa in una serie di casi fortuiti i quali lo portano a diventare venditore ambulante, falegname, sceriffo, portavoce dei diritti di una tribù indiana, dopo essere stato dagli indiani rapito, capotribù infine di quel Popolo.
Fortemente ironico nelle situazioni e nei toni, al limite del disincanto tipico della fiaba, è un’allegoria che ricalca il destino di un altro popolo, quello ebraico. Che differenza passa infatti tra un pogrom e un assalto ad un accampamento indiano? Quale differenza tra un esodo e una riserva? Il male, la sopraffazione accomunano i popoli, gli uomini: chi lo subisce e chi lo fa , perché, quando uccidi, il primo a morire sei tu