Il più grande spettacolo del mondo
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Verso le colonne d’Ercole
Il tema del viaggio è significativamente presente sia nella letteratura angloamericana che in quella inglese, come metafora della vita e della conoscenza. Da Ishmael a Huck Finn a Dean Moriarty, da Gulliver a Robinson a Leopold Bloom, l’esperienza umana è infatti rappresentata come un’avventura ricca di sorprese, ma non priva di dolore.
Il viaggio di Morris Bird III, il piccolo protagonista del romanzo di Don Robertson, “Il più grande spettacolo del mondo”, attraverso la città di Cleveland nel 1944, è lo stesso simbolico cammino del Picaro che solo a contatto con la realtà del mondo che lo circonda può raggiungere quella maturità che lo aiuterà a diventare adulto. Anche il cognome di Morris, Bird, è volutamente simbolico, con un riferimento esplicito al volo dell’uccello che spazia nei cieli al di sopra delle miserie umane con le quali comunque viene inevitabilmente a contatto. Né è un caso, d’altronde, che Morris voglia raggiungere l’amico Stanley, proprio per giocare ancora con lui con i trenini elettrici, passatempo che più aiuta la fantasia a viaggiare senza confini.
Il romanzo di Don Robertson ha una struttura particolarmente originale, anch’essa non insolita nella letteratura anglosassone. Il racconto, infatti, procede più che per un immaginario percorso lineare, su un piano circolare, sul quale, differenziati, si sviluppano contemporaneamente altri mini racconti, piccole storie nella storia, che convergono tutti, come molteplici raggi, verso un unico centro che è il climax del romanzo, il punto di incontro ideale con le colonne d’Ercole. Ciò permette di rappresentare, attraverso personaggi diversi, diversi aspetti dell’animo umano, con le sue debolezze e i suoi piccoli atti di coraggio.
Un romanzo che procede con una certa lentezza, quanto basta, forse, per permettere al lettore di riflettere sugli eventi narrati, nessuno dei quali è superfluo, fino a comprendere, solo nelle ultime pagine il vero significato del titolo del libro.