Il peso delle parole
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Simon Leyland
«A che scopo studiare il maltese? - Voleva semplicemente conoscere la lingua, aveva risposto Leyland. Semplicemente conoscere. Anche in seguito Leyland aveva sentito di quando in quando domande simili: - Il sardo? In Sardegna tutti sanno l’italiano - Lui voleva sentirne la sonorità, sentire non solo il suono delle parole, ma la vocalità della gente, la vocalità della loro vita.»
Torna in libreria Pascal Mercier, pseudonimo di Peter Vieri, autore filosofo di origine svizzera noto al grande pubblico per il suo “Treno di notte per Lisbona”, scritto che ha quale tema centrale la svolta. Nel bene e nel male. Scritto dal quale è stato tratto l’omonimo fil nel 2013. Ne “Il peso delle parole” ad essere protagoniste sono proprio queste, le parole. Parole che vengono a fluire in un fiume inarrestabile, che prorompono negli idiomi, che portano Simon Leyland, a diventare traduttore. Che sono eviscerate ed auscultate nelle loro più recondite sonorità. Per comprenderne le forme, ragioni, istanze. Anche perché sono le parole a donargli tranquillità e pace; egli solo quando è immerso in queste è al riparo dalla realtà ma anche nel presente. Suo obiettivo primario è oltretutto quello di imparare tutte le lingue presenti nel Mediterraneo, ivi compreso il Maltese.
Interessante è la struttura del romanzo che si evolve in sistemi “circolari” che fanno sì che il libro inizi e si chiuda sempre nello stesso luogo, con la frase “Welcome home, sir” rivolta proprio alla voce narrante e che si focalizza sulle scelte di vita più che su eclatanti colpi di scena comprendendo quello che è un arco temporale di narrazione che si sviluppa in otto mesi che modificheranno la sua esistenza.
È tra Londra e Trieste che si divide la vita di Leyland. Egli dirige la casa editrice ereditata dalla moglie Lidia scomparsa prematuramente quando la prole era ancora adolescente. Per Leyland la parola è tutto. Ecco perché per lui che soffre anche di forti attacchi di emicrania perderne l’uso anche solo temporaneamente è un fenomeno e un’esperienza sconvolgente. Accade infatti che a causa di uno di questi attacchi egli perda l’uso temporaneo della parola tanto da doversi ricoverare in ospedale dove la figlia Sophia, già infermiera mentre sta completando gli studi di medicina, lavora. Qui sopraggiunge la sentenza: glioblastoma. Un tumore al cervello sembra averlo ormai gravemente colpito. I medici gli consigliano delle terapie che rifiuta, nel mentre scrive alla moglie deceduta per confrontarsi con lei e narrare di quel che sta accadendo. Segue anche la decisione di chiudere e vendere la casa editrice, i figli sono dediti ad altro, il maschio alla giurisprudenza e la figlia alla medicina. Tanti sono anche, inoltre, gli impegni negli anni presi. Ma come fare? Questa sentenza non sembra lasciare possibilità d’appello.
Undici settimane dopo la verità: due cartelle sono state invertite, Leyland non ha un tumore al cervello, solo forti emicranie. Ha venduto la casa editrice però, la sua vita adesso deve ripartire da un nuovo punto. Torna a Londra, la riorganizza e nel mentre inizia anche il tempo dei bilanci, tra sentimenti contrapposti e viaggi tra la capitale inglese, Trieste e Padova. Ancora conosceremo personaggi quali Andrej Kuzmin, ex detenuto russo e reo di omicidio passionale, Francesca Marchese, autrice che non riesce a condividere la sua opera con i lettori e Paolo Michelis, un indigente scrittore che sopravvive con incarichi precari quale docente.
Tanti volti che si incontrano e fondono tra queste pagine, che conducono per mano il lettore e che sono tutte avvalorate da un denominatore comune: le parole e l’amore verso queste. Le parole sono un bene ma anche un’arma. Possono essere ristoro, possono essere meraviglia ma possono essere anche devastanti. Basti pensare alla sentenza declarata all’inizio al protagonista.
Un romanzo, quello di Pascal Mercier, che si snoda nell’espressione del cambiamento, nell’espressione di una vita che può mutare dalla mattina alla sera, in una vita che scorre rapida nella sua imprevedibilità e capacità di sorprendere e piegare.
L’intero scritto si incentra proprio sul valore della parola tanto scritta quanto verbale, e per mezzo di questa vengono narrate le scelte del protagonista, nel bene e nel male. Questo perché fondamentali sono le scelte che facciamo nella vita anche quando non pensiamo di avere un futuro o altra possibilità, anche quando queste sono dettate e scelte da fattori esterni e ingovernabili.
Grande pregio dello scritto è il tono del narrato, la pregevolezza della forma erudita adottata. Grande pecca, ravvisata anche in “Treno di notte per Lisbona” è il suo perdersi in digressioni e digressioni letterarie che ne rallentano il ritmo, che rischiano di far perdere di mordente a un componimento che ha tanto da dire e tanto su cui far riflettere.