Il pastore d'Islanda
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Il vero senso dell’esistenza
Un lungo viaggio liturgico che si rinnova da ventisette anni durante il periodo dell’Avvento nel bianco e grigio cielo invernale, tre compagni, Benedikt, Leo e Roccia, un uomo, un cane e un montone in cammino tra le fattorie fino alla brughiera alla ricerca delle pecore smarrite.
La semplicità di un gesto inserito in una narrazione scarna che sottende purezza e grandezza di dimensione umana, religiosa, simbolica in un contesto realistico, un intreccio di resilienza, fede, speranza, solitudine, amore, connotati di grandezza letteraria.
De “ Il pastore d’Islanda “ e del suo autore, Gunnar Gunnarsson ( 1889- 1975 ), uno dei massimi esponenti della letteratura islandese e scandinava che scrisse in lingua danese, terra che lo accolse per trent’ anni consegnandolo alla fama letteraria prima del ritorno in patria, è stato detto molto, ma quello che mi preme sottolineare, a lettura ultimata, è la sensazione di un viaggio esplorativo e curativo all’ interno dell’esistenza nel quale tutti gli elementi si fondono ed esprimono pura poesia.
C’è un uomo già’ anziano, accolto dalla propria dimensione umana, semplice, umile, un servo, metà ferroviere e metà contadino, senza una grande opinione di se’, che non sa esattamente cosa sia l’Avvento ma che ogni anno si incammina, tra attesa, speranza, preparazione. Teme la solitudine, condizione stessa della sua esistenza, libero e padrone di se’ solo in questo breve periodo, durante il viaggio in montagna.
Ci sono due fedeli compagni, un cane e un montone guida, che perdono la propria connotazione animale per essere semplici creature viventi, di pari forza e dignità e c’è qualcosa di sacro e inviolabile nel rapporto tra uomo e animali.
C’è un paesaggio invernale estremo, ghiaccio, neve, gelo e, oltre le fattorie abitate, una terra montuosa impervia, inaccessibile, pericolosa, senza la certezza del ritorno, se non nella speranza.
C’è un viaggio, metaforico e sostanziale, che diventa poesia, con rime e parole magnifiche che restano nel sangue.
È una porzione di mondo che Benedikt sente propria, parte di tutto quello che può abbracciare con lo sguardo e con le mani, con i pensieri e con i presentimenti.
C’è una dimensione sacra e umana, che pone Benedikt in un reiterato confronto con se stesso e con le profondità del proprio sentire. Teme continuamente che la vita gli possa sfuggire, estenuato dalla fatica, ha bisogno di solitudine e di riposo per ritrovare le forze e prepararsi alla solitudine completa, anche dentro di se’. Un tempo angosciato dalla morte e dalla vita, soprattutto dalla vita, ora è percorso da una grande quiete, tutto è estraneo e inaccessibile, eppure famigliare e inevitabile e questa e’ la sua vita, nel cammino del momento.
I tre viandanti procedono con uno scopo, pur modesto ( la ricerca delle pecore ), invisibili e quasi al di fuori del novero dei viventi. Escono dal giorno ed entrano nella notte, camminano, camminano, fino a quella buca, qualche piede sottoterra, dove Dio e gli uomini paiono avergli voltato le spalle.
Eppure la fine della speranza non è la fine del viaggio, arriva il Natale e un ritorno insperato, insieme a un’ amicizia improvvisa, un legame semplice, un nome da condividere, il giovane e il vecchio, un passaggio di consegne nella continuità ....
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Una fiaba classica sulla perseveranza umana
Vi propongo una brevissima lettura che sembrerà fuori stagione a quei lettori che spesso si lasciano ispirare dai romanzi che in qualche modo sono in linea col clima, vuoi per la tematica vuoi per l’ambientazione. Ma la vera letteratura, così come i sentimenti e gli ideali più autentici, non segue le mode, è nel suo carattere, è nella sua sostanza.
Seguitemi, dunque, lettori andiamo, è tempo di spostarci in Islanda!
Ci recheremo dapprima in un villaggio da dove il pastore Benedikt, ormai maturo cinquantaquattrenne, sta per iniziare il suo viaggio su per le asperità delle cime innevate alla ricerca delle pecore che si sono allontanate e che rischiano di diventare preda di qualche animale selvatico oppure di soffocare e gelare tra le tormente di neve.
Benedikt compie questa missione ogni anno, da ben ventisette anni, e sempre durante il periodo dell’Avvento, quelle settimane che precedono il Natale. Si prepara con i suoi due fidati animali, intelligenti e sensibili quanto esseri umani, il cane Leó e il montone Roccia, facendo tappa dapprima nella casa di amici che vivono più in prossimità della cima e poi nel rifugio più in alto, lontano dall’umano consorzio. Alcuni abitanti approfittano dalla bontà di Benedikt e lo convincono ad aiutarli a cercare anche i loro cavalli e il proprio bestiame, causando un pericoloso ritardo nella missione di salvataggio delle pecore che ha intenzione di recuperare.
Gli ingredienti per una lettura religiosa ci sono tutti: il buon pastore che cerca la pecorella smarrita, la trinità Benedikt-Leó-Roccia, l’altruismo. Ma sarebbe riduttivo, anche se corretto, considerare il racconto di Gunnarsson come la novella del buon pastore in salsa montana .
Come ci fa giustamente notare il curatore dell’edizione Iperborea, Alessandro Zironi, in una sorta di postfazione italiana (nell’edizione c’è anche quella dello scrittore Stefánsson) , l’autore si è lasciato ispirare dalle fiabe nordiche, dai racconti popolari, in particolare dalla piccola Gerda della fiaba di Andersen La regina delle Nevi, che si affida ad una preghiera per resistere alla tormenta di neve.
Benedikt, con ammirabile tenacia, riesce a prendersi cura di sé e dei suoi due animali, veri e propri compagni di viaggio intelligenti, vince la tormenta di neve, contrastando il ritardo in cui lo hanno costretto la sua bontà e il suo altruismo per cercare anche i cavalli dei suoi vicini. È un uomo che non si perde nei dettagli, ma mira direttamente al nocciolo della cruda realtà.
Un uomo ormai maturo che tra il silenzio della neve, sul filo del rasoio tra la vita e la morte si interroga sulla solitudine, sull’importanza del silenzio, sullo scopo d che ogni anno si prefigge di salvare le pecore che si smarriscono.
Un viaggio tra le montagne islandesi, con le sue terribili e formidabili bufere di neve che avvolgono in una morsa gelida e invitano ad un sonno profondo ed eterno, dimenticati dal resto del mondo. Pastore d’Islanda è una fiaba antica, ma sempre attuale sulla perseveranza e la tenacia dell’uomo che sfida eternamente la natura per salvare la civiltà.
L’opera è stata scritta in tedesco, aveva come titolo Advent, ed è apparsa a Lipsia nel 1936. Gunnarsson è, per la narrativa nordica, uno dei più autorevoli scrittori, amato anche in Danimarca oltre che in Islanda. Lo scrittore era figlio di poveri contadini islandesi che vivevano nei pressi di un ghiacciaio, per gli studi passó gran parte della propria vita in Danimarca dove scrisse tutte le su opere in lingua danese, tradotte poi da altri, oppure da lui stesso in età matura, ormai rimpatriato.
Nelle sue opere, in particolare in Pastore d’Islanda, viene fuori la sua potente verve onirica e realistica, “una combinazione di clima e di luce- lunghi inverni bui e notti così chiare da non concedere riposo” ricorda Stefánsson (p.107) , ci sono pagine capaci di farti sentire il silenzio di una natura quieta e la potenza racchiusa nell’urlo sordo di Münch.
“Ma la tempesta non accennava a diminuire, non aveva la minima considerazione per Benedikt, per i suoi presentimenti e desideri. Sembrava impossibile che avesse tanto fiato da ruggire con tale forza per un giorno intero, in quella stagione dell’anno, eppure era così. La poca luce che i mulinelli di neve trituravano senza sosta diventava sempre più fioca, ridotta a puro nulla, a una tenebra dai vaghi riflessi di luna, tenebra di neve, tenebra vorticosa.
E sempre la stessa furia, un muggire affannoso come di giganti in lotta, scontro di forze invisibili, eterno e sconfinato, una notte urlante e indemoniata”.
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'Racconto d'inverno'
Dall'Islanda ci giunge questo intenso racconto : sono solamente 88 pagine, ma di spessore.
G: Gunnarsson è una delle perle della letteratura nordica, e "Il pastore d'Islanda" risulta essere un'opera assai significativa di quel mondo affascinante e molto particolare.
Come ormai da parecchi anni il protagonista, la settimana che precede il Natale, parte col proprio cane e il fidato montone per andare alla ricerca delle pecore smarrite in lande petrose nel freddo e tra bufere di neve : "occorreva trovarle e ricondurle a casa sane e salve prima che la grande festa portasse la sua benedizione sulla terra, e pace e gioia nel cuore degli uomini di buona volontà". In fondo, questi ovini "erano pur sempre esseri viventi", e "che cos'è un uomo senza le sue pecore ?" .
Lui "era già un uomo anziano di 54 anni. Alla partenza veniva assalito da una specie di vaga nostalgia : "era perché doveva abbandonare per qualche giorno le terre abitate o perché a ognuno di quei commiati lo assaliva il pensiero che un giorno avrebbe dovuto separarsene per sempre ? ".
Come vediamo, ben presto la narrazione assume un 'respiro cosmico', diventa quasi parabola esistenziale in cui ognuno può rispecchiarsi 'a prescindere'.
In questo viaggio così concreto e così simbolico, fra descrizioni suggestive ed 'ecologiche', il nostro personaggio sperimenta "una grande quiete" in se stesso e intorno, nel silenzio delle montagne. "Sotto quella luna si poteva quasi vivere di sola aria".
Le sue riflessioni accolgono serenamente la precarietà della condizione umana : " Chi poteva dire di aver di meglio? Bisognava essere davvero ingrati per pensare di essere stati maltrattati dal destino".
La meravigliosa pacatezza, il sentimento di gratitudine e la scoperta di senso, che emanano queste pagine, ci consegnano una saggezza profonda, capace di farci toccare con mano l'inconsistenza e la superficialità di stereotipi come la 'felicità subito' , imperativo di moda della cieca dittatura del piacere immediato : "la forza che fa crescere la vita è l'abnegazione. E una vita che non è sacrificio nel suo nucleo più profondo è arrogante e sacrilega e conduce alla morte".
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letteratura nordica