Narrativa straniera Romanzi Il paese delle nevi
 

Il paese delle nevi Il paese delle nevi

Il paese delle nevi

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La storia di un ricco e raffinato esteta e una geisha delle terme: un incontro d'amore elusivo e precario, un gioco di ombre e di illusioni.



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Il paese delle nevi 2019-05-25 06:17:40 enricocaramuscio
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    25 Mag, 2019
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Accenni di una storia d'amore

In un Giappone montano, lontano dalla vita fervente e caotica delle grandi metropoli, seguiamo la storia d'amore tra Shimamura e Komako. Lui è un ricco abitante di Tokio, di cui sappiamo soltanto che ama la bellezza in tutte le sue forme e che trova insensato qualsiasi spreco di energia, che spesso sfugge dalle catene della vita famigliare rifugiandosi nel Paese delle Nevi, una non meglio identificata località termale nipponica. Lei è una giovane geisha che comincia questo mestiere per altruismo e che poi, come spesso accade, ci rimane incatenata. Kawabata racconta la loro storia senza seguire una vera e propria trama, mettendo il sentimento che lega i due protagonisti al centro del libro pur senza mai approfondire l'argomento, limitandosi ad evocare incontri, dialoghi, sensazioni senza che questi siano legati da un reale filo conduttore, senza una concreta introspezione psicologica. Le figure dei due innamorati e i loro caratteri vengono fuori per lo più per intuizione. Vediamo così un uomo raffinato, riflessivo e un po' distaccato e una donna passionale, vulnerabile, non molto signorile. Sullo sfondo un Giappone lento, sornione, sensuale del quale, tuttavia, viene fuori un ritratto appena accennato. Dell'opera si apprezza soprattutto lo stile, caratterizzato da una scrittura fine, semplice senza mai essere banale, elegante senza spiccare per virtuosismo, il cui picco si può trovare nella suggestiva scena di apertura e in alcune gradevoli descrizioni. Per il resto la lettura scorre leggera, piacevole senza mai coinvolgere realmente, a tratti quasi effimera, fino a svegliarsi in un drammatico finale che, finalmente, regala qualche palpitazione. "Komako gli era vicina, egli non sapeva da quando. Gli prese la mano. Egli si volse a guardarla ma non disse nulla. Ella fissava il fuoco e il riverbero della fiamma colpiva il suo volto attento, leggermente arrossito. Shimamura si sentì il cuore in tumulto. I capelli di Komako si erano sciolti, e la sua gola era nuda e tesa. Gli tremarono le dita per il desiderio di toccarla. La sua mano era calda ma quella di Komako ardeva. Non sapeva perché ma sentiva incombere su di loro il momento".



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Il paese delle nevi 2017-11-07 09:55:03 Martin
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Martin Opinione inserita da Martin    07 Novembre, 2017
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Corpi Naturali

“Il paese delle nevi” è forse l’opera più conosciuta del premio Nobel Yasunari Kawabata. Il romanzo trasporta il lettore in un Giappone remoto, lontano dalla frenesia delle metropoli e dalle bolle di smog, in un piccolo paesino di montagna, spesso asserragliato dalla neve, in cui la vita scorre tranquilla e scandita dai ritmi della natura. È la natura a dominare gran parte delle descrizioni, semplici e raffinate, simili ad haiku stesi in prosa, che fanno da sfondo alla vicenda raccontata. Ma è forse inesatto parlare della natura concepita da Kawabata quale ‘sfondo’: i personaggi stessi sembrano, infatti, cuciti alla perfezione al contesto naturale in cui si trovano ad agire e non sembrano slanciarsi al di fuori di esso; non c’è alcuna differenza fra i colori della natura e quelli dell’animo, che sfilano senza mai scontrarsi, alternandosi e mescolandosi, fino a confondersi. “E la Via Lattea si precipitò dentro di lui con un ruggito" è la frase che suggella l’epilogo del libro. Le figure umane emergono con la stessa semplicità e con le stesse poche pretese dei tronchi d’alberi e delle ondeggianti piume di erba kaya e tutto quello spessore psicologico che si è soliti ritrovare in romanzi europei dello stesso periodo è qui sostituito da superfici impenetrabili, le quali, tuttavia, sono in grado di parlare anche senza fiumi di parole. Volti, gesti, apparizioni, piccole scelte riescono a suggerire innumerevoli sfumature psicologiche: il riservatissimo Kawabata ci risparmia sezionamenti di anime piangenti e lamentose e quasi come se fosse un regista digiuno di pretese intellettuali ci offre soltanto una cruda estetica, uno scivolare di simboli che suggellano l’interiorità umana. Anche Komako, la geisha protagonista del romanzo, non si lascia andare ad alcun tipo di esternazione emotiva (e al massimo quando lo fa, Kawabata rimane sul vago) e la sua stessa pelle, sempre gelida al tocco, è metafora di questa chiusura ermetica. Le emozioni si afferrano soltanto vibranti negli spasmi del suo corpo, nei semplici gesti di dedizione e cura che ella ha per Shimamura, l’uomo di cui si innamora, nel riserbo delle poche frasi che pronuncia. Eppure Komako non è come gli altri personaggi che, come detto, panicamente partecipano alla grande necessità naturale, e in un certo senso prova a ribellarsi a tutto questo. In un mondo dove la professione, i ruoli sociali sono come radicati nella natura, dove non esiste differenza fra natura e cultura, Komako, che dovrebbe unicamente occuparsi del ristoro e del divertimento dei suoi clienti, alle terme del paese, si innamora di uno di essi e cerca di impadronirsi di ogni goccia di tempo che egli trascorre al paese, pur essendo consapevole, sempre in base alla grande necessità naturale che governa il mondo, che egli presto tonerà a Tokyo, dalla sua famiglia. In un mondo dove essere individualisti significa essere in salute, Komako assiste il figlio della donna che l’ha ospitata (Shimamura non sapendo spiegare tale fenomeno, sospetta una relazione affettiva fra Komako e l’uomo). Komako è strana. Persino una cosa banale come scrivere un diario è tacciata da Shimamura, alto rappresentante della necessità naturale, come una cosa inutile, uno “spreco di energie”. Komako non è sintonizzata con il tutto, non danza ascoltando il grande mantra che spira fra le foglie degli aceri, che è sopito sotto la neve, che manovra gli uomini come un abile burattinaio. Non è come la giovane Yoko, il cui volto, riflesso sul finestrino del treno preso da Shimamura, è arborescente, mescolato al paesaggio. Komako è innamorata ed è questo che costituisce la grande trasgressione. E l’amore, come scriveva Philip Roth ne “L’animale morente”, non è completarsi, ma è spezzarsi. Ed è lo stesso Shimamura ad accorgersi del potenziale snaturante dell’amore, o meglio dell’essere umani, dell’essere creature fragili e inadatte alla sopravvivenza:
“- la gente è delicata, vero? – aveva detto Komako quella mattina. – Ridotta in poltiglia, si dice, cranio, ossa e tutto. Un orso potrebbe cadere dalla roccia più alta e non ferirsi minimamente -. C’era stato un altro incidente su fra le rocce, e ella aveva indicato la montagna sulla quale era accaduto. Se l’uomo avesse una pelle ruvida e pelosa come l’orso, senz’altro la sua vita sarebbe diversa, pensò Shimamura. Era attraverso una pelle sottile e liscia che l’uomo amava. Guardando le montagne nella luce della sera Shimamura sentì un ardente, struggente desiderio della pelle umana”.

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Il paese delle nevi 2016-11-04 14:55:34 siti
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siti Opinione inserita da siti    04 Novembre, 2016
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I luoghi dell'anima

Il paese delle nevi è un piccolo libro diviso in due parti, è breve ma capace di racchiudere al suo interno un rimando di molteplici significati che lo rendono corposo, intenso, fagocitante. L’incipit e l’epilogo, superbi entrambi, racchiudono a mio avviso la sua quinta essenza fatta di evanescenza, impressioni, commistione di reale e irreale, sovrapposizione di elementi visivi e stati dell’animo. Nell’incipit si racconta l’arrivo in treno nel paese delle nevi, luogo- non luogo, microcosmo incantato come il sanatorio di Davos per Hans Castorp , e tutto è affidato al rimando di un ‘immagine riflessa e sovrapposta di un personaggio , la giovane Yoko, che manterrà integra la sua ambiguità per tutta la narrazione. Ricorrono parole quali “incantesimo”, “simbolo” e si insinua il ricordo di un “allora” vissuto da Shimamura, giovane uomo che lì ha lasciato Komako, una ragazza divenuta nel frattempo una geisha. Si succedono le stagioni: era estate, sarà autunno e inverno. Lo spazio è evasione per l’uomo che lì trova rifugio camminando in montagna e allontanandosi dalla sua famiglia, è prigionia per la giovane geisha intrappolata in relazioni dalle quali forse vorrebbe riscattarsi. Lui entra in quel mondo e ne esce volontariamente, lei “dal finestrino del treno dava l’idea di uno strano frutto dimenticato dentro uno sporco vaso di vetro in una povera drogheria di paese”. Si può dimenticare un’immagine così? Imperversano i colori: il bianco della neve, il nero dei capelli della ricca acconciatura, il rosso delle labbra. Pudore, dolore, passione, timore, resistenza, abbandono: associazioni libere fluiscono secondo la personale sensibilità. La trama, quasi del tutto inesistente in questo canovaccio, affonda improvvisamente nel rosso fuoco, nel precipitare degli eventi ma non nel loro risolversi. Rimane misteriosa, interpretabile, per niente univoca, aperta.
Da leggere per apprezzarne la prosa poetica, per arricchire l’immaginario e per immergersi nella propria anima.

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Il paese delle nevi 2015-11-22 07:28:13 Bruno Elpis
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Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    22 Novembre, 2015
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Le stelle di qui son diverse dalle stelle di Toky

“Il paese delle nevi” immaginato da Yasunari Kawabata è la destinazione ove si reca, con cadenza annuale (“È passato un anno. Voi siete di quelli che vengono una volta all’anno”), l’esteta Shimamura.
Uomo di cultura (“Da studente il suo interesse si era rivolto alla danza giapponese e al dramma mimato… Egli improvvisamente si rivolse alla danza occidentale”), dalla raffinata sensibilità (“Forse con l’inclinazione naturale del pigro ai colori mimetici, Shimamura aveva un’istintiva sensibilità per lo spirito dei posti che visitava e aveva avvertito appena sceso dalle montagne che, sotto l’aspetto di nuda frugalità, un’atmosfera di indolente comodità spirava in quel villaggio”) e dall’intelletto vivace (“L’espressione «energie sciupate» si riaffacciò alla mente di Shimamura”), tra i bagni termali e le passeggiate in montagna (“Fermò una massaggiatrice cieca sulla collina”), coltiva con la bella Komako una relazione sfaccettata nella quale sensualità, gelosie e complicati equilibri sociali si fondono grazie all’atmosfera allusiva e sottintesa che Kawabata addensa.

Di notevole impatto sono i colori (“Fuori dalla finestra il rosso luminoso dei kaki maturi era bagnato dal sole morente”) che il Maestro giapponese riproduce componendo ideogrammi, ma anche la capacità di rappresentare attraverso gli spettacoli naturali (“Era la stagione in cui le tarme depongono le uova”) della morte (“Passava molto del suo tempo a osservare gli insetti nella loro agonia mortale”) le ansie tragiche (“Le catene dei monti in lontananza avevano già il rosso dell’autunno nel sole morente. Quell’unica macchia di verde pallido lo colpì stranamente come il colore della morte”) che si accalcano su una vicenda diafana (“Era una dolce morte che veniva con il mutare della stagione”) e sfumata (“Egli vide la figura come un fantasma di un mondo irreale”).

Potenti i contrasti tra ghiaccio e nevi, vapori termali, il fuoco di un incendio (“Komako lottava per farsi strada e pareva portare il proprio olocausto, o la propria punizione”) che nel finale divampa (“La sua cadaverica immobilità, simile a quella della marionetta”).
Giudizio finale: cromatico, estetizzante, innamorato delle tradizioni.

“Barcollò per ritrovare il suo equilibrio, il capo riverso, e la Via Lattea si precipitò dentro di lui con un ruggito”

Bruno Elpis

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Il paese delle nevi 2015-06-20 11:28:02 LaClo
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LaClo Opinione inserita da LaClo    20 Giugno, 2015
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Niveo candore

Lo stile è l'aspetto che forse mi ha più colpita di questo romanzo che è pieno di sfaccettature profonde su una superficie semplice e poetica. Mi è piaciuto moltissimo lo stile nelle descrizioni dei paesaggi dove predominano il bianco, il candore, l'immobilità.

Ho apprezzato anche l'unione che l'autore ha creato tra la natura e il femminile che si inserisce nell'ambiente e che spesso tende a confondersi con esso, con la neve e con le aspre montagne.Il potere seducente della natura che colpisce l'esteta si riflette nella figura di Komako spesso paragonata ad elementi naturali fino ad identificarsi con la Natura stessa.

I personaggi mi sono sembrati ben inseriti in questo stile così evocativo e ho apprezzato la tematica che si nasconde in ogni personaggio:l'inutilità delle azioni che stanno compiendo. Come la geisha Komako che tiene la traccia delle sue letture e mantiene il suo diario aggiornato, oppure il protagonista stesso che non compie azioni di particolare rilievo e nutre una sterile passione verso il balletto occidentale, pur senza avere mai assistito ad uno spettacolo.

La semplicità dell'ambiente, così diverso dalla Tokyo rumorosa e caotica, lascia lo spazio alle riflessioni più pure e profonde come il passo in cui Komako esegue un brano con il suo shamisien o la magnifica descrizione sul tessuto Chjimi, strettamente legato alla neve.

La trama non è di certo la cosa fondamentale del romanzo e i dialoghi apparentemente sembrano scorrere su binari paralleli senza creare un incontro e di sovente vi è un ritorno continuo a poche parole o frasi che tendono a ripetersi.

Le immagini vengono evocate in maniera non convenzionale, per esempio i capelli di Komako che vengono definiti da Shimamura freddi e l'aspetto incredibile è che all'interno del romanzo acquista un senso l'espressione capelli freddi. A livello generale trovo che nonostante sia presente un uso massiccio del flusso di coscienza, o forse proprio per questo le parole siano scelte con cura e le frasi sono costruite in maniera praticamente perfetta.

L'incipit e il finale sono contrapposti e creano uno sviluppo interessante che permette al lettore di passare da un clima contemplativo pacato e sognante del treno ad un clima sconvolgente e drammatico nel finale dove emerge la figura di Shimamura che non prende parte attiva nel dramma finale ma mantiene il suo atteggiamento da esteta osserva quasi in modo distaccato l'incendio e la morte di Yoko che chiudono il romanzo.

La figura di Yoko è quasi l'ombra di Komako, la sua antitesi, la sua ombra e infatti la sua fine diventa un momento di perdita per Komako ma anche un momento significativo che sancisce il naturale sviluppo del dualismo creatosi tra i due personaggi femminili, il freddo e il caldo. In particolare il calore del fuoco è anche il calore che emana Komako e si contrappone al freddo della neve che pervade tutto il romanzo di cui Yoko è l'emblema, quindi a livello puramente simbolico si può pensare che in un certo senso sia Komako stessa a uccidere Yoko, a stabilire la fine di tale divisione di se stessa.

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Il paese delle nevi 2014-09-22 10:38:07 Mario Inisi
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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    22 Settembre, 2014
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Un Purdy giapponese

Un libro bellissimo con un linguaggio semplice e evocativo che supera la narrativa per avvicinarsi alla poesia e al sogno. I dialoghi sono semplici e intensi: l’autore usa il linguaggio dell’anima.
Il libro però è di difficile comprensione perché certe immagini, certi personaggi sono simbolici e fanno riferimento a un immaginario non così accessibile come poteva essere la mitologia greca per Purdy. Non so se ci siano riferimenti alla tradizione giapponese (che non conosco). Probabilmente l’ignoranza di miti, fiabe, usanze giapponesi non aiuta la piena comprensione del romanzo.

Kawabata ci regala una bellissima storia d’amore tra una ragazza Komako e un uomo ozioso vicino al mondo delle lettere, Shimamura. Shimamura è un uomo freddo, la sua freddezza nasce dalla sua tendenza all’astrazione, dall’essere attirato dalle idee più che dagli uomini, dalla bellezza più che dai sentimenti.
“Shimamura, che viveva una vita d’ozio, aveva tendenza, o così gli pareva, a perdere la propria onestà con se stesso e spesso se ne andava solo per i monti per cercare di recuperarne un poco.”
La storia è ambientata nel paese delle nevi, un posto di montagna dove la gente di Tokio va in villeggiatura e dove, come in molti altri centri termali, le geishe allietano il soggiorno dei villeggianti. Komako è una geisha, per parte della storia e comunque lo è stata in passato: è quindi una figura ambigua. Certo Shimamura non ha intenzione di sciupare la sua vita tranquilla per una storia con un simile personaggio. E’ un uomo sposato e la moglie che compare solo in una pagina del romanzo e è ricordata in un’altra riga, appare intoccabile sullo sfondo della sua vita.
“Egli aborriva il pensiero delle complicazioni che potevano nascere da una relazione con una donna in una posizione così ambigua; ma inoltre la vedeva come qualcosa d’irreale, simile al volto della donna nel finestrino.”
All’opposto di Shimamura, Komako vive una vita di sentimenti e di impulsi spesso generosi. In tutte le cose che fa o le parole che pronuncia c’è il richiamo a un’interiorità profonda: il diario, i forti sentimenti, la sua generosità, i libri che legge di notte. La sua vita è tutta uno spreco (e l’idea dello spreco attira Shimmura): fa la geisha per pagare il medico a un uomo che non è il suo fidanzato, è innamorata di un uomo che non le scrive e che vede una volta l’anno, legge libri pessimi, i pochi che trova in quel paese sperduto.
Questo spreco di energie che è tutta la sua vita è la fonte del calore che irradia dalla sua persona e che in certi momenti arriva molto vicino a scaldare il cuore di Shimamura. Per quanto riguarda l’erotismo del romanzo io direi che è quasi inesistente. Il calore dei personaggi è un calore umano, quasi materno: il calore dell’intimità e della vicinanza affettiva e spirituale tra le persone.
Ma Shimamura ogni volta che arriva troppo vicino a sciogliersi, parte. “Era tempo di partire.”
La distanza porta la relazione con Komako su un piano diverso e meno pericoloso, astratto.
Significativo è il suo sogno a occhi aperti nel suo viaggio di ritorno al paese delle nevi in cui intravede il viso di Komako riflesso nel vetro dove si riflette il viso di una seconda ragazza:Yoko.
“Preso dalla stranezza di tutto questo portò una mano alla faccia poi rapidamente tracciò una linea attraverso il finestrino appannato. Un occhio di donna fluttuò davanti a lui. E lui quasi gridò per la sorpresa. Ma aveva sognato e quando ritornò in sé si accorse che si trattava solo di un riflesso del finestrino, il riflesso della ragazza seduta di fronte a lui.”
Per un momento immagina di essere innamorato di questa seconda ragazza Yoko. Ma Yoko è una figura rigida e fredda, senza vita. Non si capisce se sia una donna reale o una proiezione della fantasia di Shimamura: una donna estratta da Komako ma senza i difetti di Komako. E’ bella ma non è una geisha. E’ una tessitrice. Ma come tutte le astrazioni e come la perfezione stessa è una figura algida e senza vita.
“La faccia di Yoko era ancora là ma nonostante tutto il calore delle sue premure, Shimamura aveva scoperto in lei una inequivocabile freddezza.”
Forse è parte di Komako: una Komako idealizzata. Komako dice parlando di lei una frase inspiegabile nel romanzo: “E’ pazza questa ragazza”. Suggerisce l’idea di schizofrenia, quindi di divisione. Komako per amore si è divisa e ha generato una se stessa accettabile agli occhi di Shimamura attraverso la quale lui potrà ricordarla e pensarla come in uno specchio. Accetta per un momento di vivere una esistenza astratta e virtuale.
Ma purtroppo la perfezione di Yoko non regge di fronte al calore e all’umanità di Komako. Yoko fa una fine che sembra simbolica.
E Shimamura si scontra con la realtà. Sente entrare dentro di sé tutto il gelo delle stelle (della via Lattea), della perfezione, la consapevolezza della lontananza e della imperfezione della realtà. Il finale del libro è bellissimo.

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Il nipote, Malcom di Purdy
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Il paese delle nevi 2013-07-16 14:58:19 Pelizzari
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Pelizzari Opinione inserita da Pelizzari    16 Luglio, 2013
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Gioco di trasporti

Non sono un'appassionata della letteratura e dello stile giapponese. Mi ci sto avvicinando, ma con diffidenza. Questo piccolo libro è un insieme di sentimenti che fluiscono, è un gioco di trasporti e di emozioni, fatto di delicatezza, di freschezza e di bellezza. Mi ha affascinato lo stile, ma non la storia. Il paesaggio è un ricamo attorno alla storia di un uomo e di una gheisha e di un'altra donna. Più protagonisti di loro mi sono sembrati la neve, la via Lattea, i loro sguardi, i loro giochi degli specchi, mattutini e notturni, attraverso le finestre ed attraverso il finestrino di un treno. Della trama una sola cosa mi è rimasta impressa, che una stessa frase può essere il più freddo egoismo o la passione più ardente. Per tutto il resto lo consiglio a chi ha voglia di farsi trascinare un pò, senza capire tutto.

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Il paese delle nevi 2012-10-19 10:10:57 MrsRiso13
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MrsRiso13 Opinione inserita da MrsRiso13    19 Ottobre, 2012
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Il sogno ad occhi aperti...

Come in un sogno, la nebbia si dissolve e ti ritrovi su di un treno a spiare Shimamura che spia una donna che assiste un malato. Man man che di “addentri nel sogno” leggendo il libro, parola dopo parola, segui il protagonista durante i suoi soggiorni alle terme, segui il suo amoreggiare burrascoso con la geisha Komako e le sue avventure alla scoperta delle ragazze del paese delle nevi che producono il Chijimi .
D'improvviso il fuoco divampa, i personaggi accorrono verso di esso per domarlo e tu con loro, ma sul più bello ti svegli ovvero il libro è finito, lasciandoti quella sensazione agrodolce di qualcosa che ti ha coinvolto, ma che non hai compreso a pieno.
Scrittura gradevole senza eccessi, resa un po' ostica dai nomi dei personaggi (per fortuna pochi) che all'inizio suonano difficili. Un libro soave che scorre lento, raccontando un mondo lontano segnato solo dal cambio delle stagioni.
Può anche capitare di non leggerlo mai nella vita, ma se lo leggi ti arricchisce!

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letteratura giapponese, libri sulle geishe
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Il paese delle nevi 2012-05-03 21:08:01 C.U.B.
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C.U.B. Opinione inserita da C.U.B.    03 Mag, 2012
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HAKAMAIRI ITCHO, ITCHO, ITCHO YA.

Si apre il libro con l’immagine del viso di una donna che si rispecchia nel vetro scuro di un treno notturno, il volto pallido di lei che si fonde col profilo della montagna innevata.
E poi ancora uno specchio, la cima di un monte bianco di neve ed il viso di cipria di una geisha il cui rossore delle guance appena struccate confonde il candore del monte.
Boschi di cedri dove le libellule si dondolano in sciami come steli di bocche di leone al vento.
La tela Chijimi lavorata a mano dalle fanciulle delle nevi, bloccate nel villaggio per lunghi mesi.
Il filo viene filato nella neve, la stoffa tessuta nella neve, lavata nella neve, imbiancata nella neve. Ed il tessuto che ne deriva, nelle calde giornate giapponesi, porta in sé la frescura della neve in cui e’ nato.
E poi la Via Lattea che di notte bagna con la sua luce la chioma elaborata di geisha di Komako.

Questo e’ un libro scritto nel 1947 e giudicarne lo stile e’ arduo, chiamiamolo un anziano libro giapponese. Non potrei definirlo scorrevole, ma neanche di difficile lettura.
E’ un po’ come leggere pagine appoggiate ad una scala, ogni tanto hai la sensazione di una lettura interrotta, spezzata. Ma cio’ non lima la bellezza di un’opera cosi’ descrittiva e docile e gentile e capace di ingentilire anche cio’ che e’ piu’ duro. Piu’ terreno.

Buona lettura.

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