Narrativa straniera Romanzi Il mio nome è Asher Lev
 

Il mio nome è Asher Lev Il mio nome è Asher Lev

Il mio nome è Asher Lev

Letteratura straniera

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Asher Lev, un bambino ebreo di Brooklyn, ha la pittura nel sangue. Tutto nelle sue mani diventa disegno, immagine, colore. Ma in una cultura come quella ebraica, tradizionalmente ostile alla rappresentazione figurativa e che associa la pittura alla tradizione cristiana, la vocazione di Asher è destinata a creare conflitti e rotture. Seguendo l'esempio dei grandi maestri del passato, non può infatti esimersi dall'affrontare il tema della crocefissione di Gesù, scatenando un autentico scandalo. Tra la coerenza dell'artista fedele alla propria vocazione e le eredità e le esigenze della tradizione di appartenenza sta la lacerazione interiore che Potok esplora con l'abituale partecipazione.



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Il mio nome è Asher Lev 2019-07-22 09:04:29 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    22 Luglio, 2019
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Essere, arte e religione

«Ho imparato ancora più in fretta cose più difficili di queste. […] Per sopravvivere si impara a imparare in fretta.»

Essere il figlio di Aryeh Lev, uno degli emissari del Rebbe che spesso è via di casa e la cui assenza deve essere compensata dagli insegnanti, e di Rivkeh Lev, una delle pochissime donne ladover a cui il Rebbe ha permesso di frequentare l’università nonché una donna che ha superato una grave malattia seppur a volte sembri ancora mantenersi per un pelo in equilibrio fra la luce e le tenebre, non è cosa semplice per il piccolo Asher, un bambino ebreo di Brooklyn che ha la pittura nel sangue. Qualsiasi cosa egli tocchi, diventa arte, diventa un disegno, un quadro, un’opera inestimabile. Perfino una sigaretta spenta, se nelle sue mani, può diventare uno strumento con cui donare quel chiaro scuro all’immagine, qualunque essa sia, dal ritratto di sua madre allo sguardo severo di suo padre che lo scruta di sottecchi con evidente disappunto. Perché in una cultura come quella ebraica, che per definizione è ostile alla rappresentazione figurativa e che associa la pittura alla tradizione cristiana, quella vocazione non può che creare conflitti e rotture, in particolare se da affrontare c’è il tema della crocifissione. Come mantenere la propria coerenza artistica con le esigenze della tradizione religiosa?
Un percorso, quello che ci descrive Chaim Potok attraverso la voce del suo adolescente protagonista, che rivive e riassapora passo dopo passo l’intenso travaglio interiore di chi necessita di esprimere il suo io, in questo caso con la pittura, e un credo religioso, una fede che si pone in naturale antitesi e contraddizione con tali aspirazioni perché ritiene essere l’arte figurativa come contraria ai precedetti di Dio. La crescita del giovane protagonista, sino alla sua affermazione nel mondo dell’arte, crea intensi contrasti con la famiglia e in particolare proprio con il padre che di quella religione è figura di spicco. La figura del patriarca viene analizzata con dovizia e cura insieme a quella delle altre colonne portanti dell’opera: la madre che rappresenta la comprensione nella fragilità umana, il Rebbe che domina le loro esistenze con i sacri dogmi, lo scultore ebreo non osservante ma di fama mondiale, Jacob Kahn, che, su decisione del Rebbe stesso, istruisce l’apprendista ai segreti dell’arte. Tutte, indistintamente sono tormentate e lacerate da questa appartenenza alla tradizione e questa necessità di espressione.
Al tutto si somma una penna precisa, meticolosa, accurata che non tralascia alcun dettaglio e che pone la sua attenzione su tutto il percorso di crescita di Asher senza mai tralasciare circostanze, voci, opinioni che coralmente vi si affiancano. La lettura è di notevole valore, soprattutto in quegli aspetti relativi alla tradizione e all’ortodossia ebraica a cui si intersecano i vari retaggi e le varie conseguenze sulla vita di comunità, ma non è anche una conoscenza semplice richiedendo, per essere espletata, una particolare attenzione e concentrazione ed essendo, per naturale effetto, scandita da un ritmo lento e lineare, ove cioè vengono a mancare continui, ripetuti e/o immediati colpi di scena. Ogni tassello viene ricostruito e ricomposto passo dopo passo, senza fretta, senza accelerare i tempi bensì seguendo le linee di un filo conduttore già predeterminato e chiarificato.
Ad ogni modo lo scritto consente al lettore di riflettere su molteplici tematiche, lo invita a meditare, a ponderare sulla realtà che lo circonda, sulle religioni, sul suo essere tanto che, anche a distanza di tempo dalla conclusione dell’opera, ella è ancora viva e pulsante nell’anima del conoscitore.

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Il mio nome è Asher Lev 2016-02-06 12:23:06 siti
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siti Opinione inserita da siti    06 Febbraio, 2016
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Fedele a se stesso, sempre

I sentieri della vena narrativa di Potok sono caratterizzati da costanti che rendono ogni suo scritto al contempo familiare e originale. Le ambientazioni, le tematiche, gli stessi personaggi sono riconducibili alla rappresentazione della comunità ebrea di New York pur assumendo valore assoluto e universale così da rendere il contenuto e il messaggio validi in ogni quando e in ogni dove. Sempre e ovunque.
I personaggi sono in primo luogo membri di una comunità allargata e religiosa e insieme di una famiglia: accade ovunque dalla notte dei tempi; vivono intime fratture rapportandosi con se stessi e con gli altri: quando è accaduto il contrario? Entrano in conflitto con la cultura che li ha generati: evolvono, involvono, patiscono, soffrono, in una parola vivono.
Asher Lev , pittore ebreo ormai affermato, osannato, criticato e ripudiato non sfugge al dolore del mondo e ce lo racconta prendendo parola e affermando il suo punto di vista nel tentativo di smitizzare la sua persona, semplicemente offrendosi nella sua integrità morale ed etica consapevole della prepotente doppiezza che suggella ogni animo umano: insieme bene e male, virtù e vizio, eccellenza e mediocrità.
È in lui il dono della pittura che lo domina e ne guida il suo sentire e il suo comunicare. Esso scavalca tradizioni, sentimenti, mina i rapporti comunitari, i legami famigliari, conduce all’isolamento cui costringe, spesso, un’affermata individualità. A niente valgono le raccomandazioni :”Molte persone quando sono giovani sentono di possedere un grande dono. Ma non sempre ci si abbandona a un dono. Una vita la si dedica a ciò che è prezioso per se stessi ma anche per la propria gente”.
Tutta la comunità assiste alla crescita di Asher contribuendo anche a mantenere intatta almeno l’integrità religiosa così sentita dai Chassidim Ladover, accettando quindi l’apertura verso il mondo della rappresentazione figurativa, aprendosi alla possibilità di aver generato un ebreo osservante e artista. Quando però il sentire artistico porterà al limite il codice iconico e simbolico e con esso il suo doloroso messaggio, la frattura sarà inevitabile. Potenti tutti i personaggi , eccezionale la loro carica umana a partire dal trittico di famiglia : un padre, una madre, il loro unico figlio, loro e della comunità tutta. Funzionali , misteriose e formative il Rebbe e il pittore anziano. Immancabile la contestualizzazione storico- politica e con essa l’impegno culturale e sociale, imperdibili i riferimenti al mondo dell’arte e della cultura in generale.
Il romanzo è corposo, tenero e pungente al tempo stesso, doloroso, intimo e prezioso come sa esserlo un rapporto di parentela, ma soprattutto è prezioso perché aprendo il mondo chiuso degli ebrei ortodossi di Brooklyn , facendoci familiarizzare con il loro universo permette di superare le barriere culturali per ribadire l’universalità del sentire umano. È inoltre un’interessante e presumo autobiografica riflessione sulla tensione creativa, sull’essere artista, sul rapporto realtà e rappresentazione, sulla funzione dell’arte, sul rapporto, infine, tra l’artista e le sue opere.

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Il mio nome è Asher Lev 2014-06-20 20:55:28 Mario Inisi
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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    20 Giugno, 2014
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L'arte è un dono, ma di chi?

Questo nuovo personaggio di Potok, Asher Lev,un ragazzino di 10 anni, è molto diverso dal Reuven conosciuto in Danny l'eletto o nelLa scelta di Reuven. Gli manca quella calma legata alla volontà di bene, alla pace interiore raggiunta, alla razionalità del bene. Qui troviamo un protagonista umorale, emotivo, legato con un nodo scorsoio a una famiglia chassidica di bravissime persone, buone ma di vedute ristrette, di orizzonti inesistenti, castranti per l'artista in erba, fonti di continue angosce per il figlio. Asher assomiglia un po' a Danny nel rapporto tormentato con la famiglia, soprattutto con il padre. L'ansia continua per i genitori è in un certo senso all'origine anche del dono di Asher, quello dell'arte, della pittura. Nel romanzo Potok parla diffusamente del rapporto di Asher con la pittura e della sua idea di arte. Bellissime le pagine che descrivono il rapporto con l'artista Jacob Kahn, suo maestro. Arte non è tecnica, non è stile. Nel quadro l'artista deve trasporre il suo mondo interiore con assoluta fedeltà e verità. Interessante il discorso sulla verità: sul non poter aver paura, sul dover svelare a un mondo ammantato di ipocrisia qualcosa che lui non ha gli occhi per vedere. Chi cerca solo un buon risultato formale non è un artista, ma una puttana. Perciò, dovendo guardare negli occhi la vita e la morte, dovendo guardare dentro di sè, l'artista non può essere limitato da un'ideologia per quanto buona. Deve guardare tutto, deve mostrare tutto senza filtri, senza limiti. Porsi un obiettivo di convertire il mondo, di allietare il mondo sarebbe una forma di prostituzione dell'arte. L'arte deve aprire una finestra, mostrare le cose per come sono, non allietare, nè convertire. Cercare la verità vuoi nella soggettività dell'artista vuoi nel mondo.
"Avrebbe fatto differenza per qualcuno al mondo che io provassi un senso di incompletezza di fronte a quel quadro? A chi sarebbe importato del mio tacito grido di frode? Solo Jacob Kahan e forse uno o due altri avrebbero percepito l'incompletezza. E anche loro non avrebbero mai potuto sapere quanto incompleto fosse realmente, perchè di per sè era un buon quadro. L'avrei saputo soltanto io.Ma lasciarlo incompleto avrebbe fatto di me una puttana. Avrebbe reso più facile in futuro lasciare il lavoro incompleto. Avrebbe reso sempre più difficile disegnare con quell'in più di dolore nello sforzo creativo che sempre costituisce la differenza tra integrità e inganno."
La vera arte è in stretto rapporto con il dolore. Causa dolore, mostra il dolore. Crocifigge.
La ricerca artistica non può essere solo ricerca formale ma deve essere ricerca formale allo scopo di esprimere e mostrare il dolore com'è, di rendere visibile la propria interiorità in modo onesto. Una ricerca non solo nella superficie ma anche nello spessore, cioè nella verità delle cose.
La sofferenza di Asher in famiglia è necessaria perchè è il motore della sua arte, le dà forza.
Io credo che le stesse considerazioni siano valide per qualsiasi espressione artistica, anche per la letteratura. Sicuramente nei romanzi di Potok si coglie questo desiderio di verità sia assoluta che soggettiva. La sua arte ci mostra la sua intima e vera visione del mondo arricchendoci.

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