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Il lupo della steppa Il lupo della steppa

Il lupo della steppa

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Il protagonista, Harry Haller, vive bloccato in una condizione di impotente felicità generata da un insanabile dissidio interiore tra l'uomo - cioè tutto ciò che ha in sé di spirituale, di sublimato o per lo meno di culturale - e il "lupo" - cioè tutto ciò che ha di istintivo, di selvatico e di caotico -, e si è chiuso in un isolamento quasi totale, arrivando ad un passo dal suicidio. Successivamente Harry viene però rieducato alla vita comune da una donna incolta ma esperta e intelligente e trova una via che gli consente di intuire meglio quali sono le "non-regole" dell'assurdo gioco della vita e come ricominciare a giocarlo.



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Il lupo della steppa 2019-08-25 21:54:32 cristiano75
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cristiano75 Opinione inserita da cristiano75    25 Agosto, 2019
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Gioco fatale

Era un estate torrida di circa tre secoli fa. Ero sedicenne e stavo in Puglia con altri giovani ragazzi, in una specie di campeggio. I ricordi sono sbiaditi, ma non posso dimenticare quando una ragazza, mi fece dono del mio primo libro, non legato a quelli scolastici.
Fu l'esordio della mia passione per la lettura, che ha inevitabilmente condizionato ed indirizzato la mia vita fino ad ora.
La giovane, mi regalò questo "lupo della steppa", titolo profetico che poi negli anni a seguire è stato un po come rispecchiare il mio incedere nel mondo. Non dico che sono un vero e proprio lupo come il protagonista, però mio malgrado mi sento anche io un po un tipo solitario, che ama il proprio spazio e che ha perso la retta via per qualche donna.
Scusate il divagare, ma ogni volta che penso a questo romanzo, non posso che rievocare questi momenti. E' come quando si sente una canzone, magari dimenticata da anni, ma poi bastano due note e all'improvviso rivedi una parte della tua vita che pensavi fosse ormai perduta nel tempo.
A mio avviso è il miglior libro di Hesse, che abbandona i toni gioiosi, fantasiosi e spesso stucchevoli di SIddharta, per immergere il lettore nell'ambivalenza del pensiero umano, mosso da istinti di sopravvivenza e da istinti completamente irrazionali.
Nella vicenda di questo lupo che vive quasi isolato, irrompe, come fulmine la bellezza di una giovane e letale ragazza, che da una parte risveglia le passioni del povero protagonista, dall'altra lo porterà a un allucinato delirio.
La scena della festa, delle maschere è meravigliosa. Si possono sentire le note, i corpi sudati ondeggiare nelle sale, si percepisce la bellezza mortifera della ragazza e soprattutto si percepisce il primo bagliore di delirio che travolgerà, l'anima sopita del nostro eroe.
Il lupo della steppa, indaga sulle conseguenze, spesso tragiche che possono avere il desiderio, la lussuria, la paura della solitudine quando convergono in un anima già provata dalla spietatezza della vita.
Cosa c'è di più tremendo, nel provare solitudine, poi all'improvviso come per magia essere nuovamente in compagnia di un anima che ci capisce, che ci conforta e che ci fa dono del proprio magnifico corpo. E poi come nel più beffardo dei giochi, quando si pensa che finalmente si è davanti a un alba, ecco che scorgiamo in lontananza i segni nefasti del sopraggiungere di una nuova disperazione, che qualcuno vuol portarci via la tanto agognata felicità che abbiamo disperatamente agognato.

Vorrei finire con un pensiero verso quella bella e giovane ragazza che mi fece questo dono quando ero così giovane e sprovveduto. Ormai siamo perduti in questi mondo, forse non ci incontreremo più, ma sappi che mi hai fatto uno dei regali più preziosi che abbia mai ricevuto. Mi hai donato l'amore per i libri, per l'arte e quindi mi hai aiutato a sopravvivere all'oblio che verrà ed è per questo che te ne sarò per sempre grato.

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Il lupo della steppa 2019-07-28 14:24:00 David B
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David B Opinione inserita da David B    28 Luglio, 2019
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A faccia a faccia con la propria identità

Se mi dovessero chiedere di collocare in una categoria definita e conosciuta “Il lupo della steppa” di Hesse mi troverei davvero in difficoltà. Sarei sospeso tra romanzo di formazione e romanzo esistenziale. Al che uno potrebbe confonderli o sovrapporli, invece la lettura che viene fatta per la prima tipologia è diversa da quella che viene fatta per la seconda. E ancora di più il fine, lo scopo.
Il motivo di tale premessa, se ve lo state chiedendo, è presto detto: noi possiamo leggere tale capolavoro, in entrambi i modi. Spetta all’inclinazione del lettore nonché alla sua sensibilità deciderlo.

In questo libro emerge una delle tante abilità che ha reso grande Hesse, premio Nobel del 1946. Riuscire a fondere due stili diversi nello stesso libro e lasciare il potere al lettore di decidere quale privilegiare è un qualcosa di così inusuale che non ho trovato in nessun altro autore. Così come è inusuale e quasi sorprendentemente spaventoso osservare come in alcuni passaggi l’autore abbia fatto riferimento a un’altra guerra mondiale che prevede essere distruttiva e cruenta come non mai. E, se si pensa che dodici anni dopo l’uscita di questo libro scoppiò davvero il secondo conflitto bellico (nel 1939, quando le truppe hitleriane invasero la Polonia) con tutte le conseguenze che noi tristemente conosciamo, allora quelle parole, quei passaggi, quelle descrizioni di sofferenza mista a disperazione hanno davvero un sapore di amara predizione.

Conoscendo la vita dell’autore non riesco a fare a meno di pensare che questo racconto sia stato lo specchio della sua condizione interiore in quel periodo e, allo stesso tempo, possa essere la condizione interiore dell’uomo. Se è così, capite bene quanto possa essere stato difficile il compito di Hesse. E, non a caso, il libro è davvero impegnativo. Richiede una discreta attenzione da parte del lettore perché alla fine comprendere il percorso esistenziale di Harry Haller significa comprendere una parte di se stessi.
Quante volte infatti ci ritroviamo di fronte a condizioni, luoghi, pensieri tramutati in realtà che mai avremmo pensato di poter ascrivere alla nostra vita?

Quando ci fu l’assalto nel gennaio del 2015 alla redazione del settimanale satirico francese (Charlie Hebdo), il giorno dopo non solo Parigi, non solo Roma, ma tutta Europa era commossa, distrutta, lacerata per una tragedia che quasi nessuno pensava possibile e la frase che testimoniava questa condizione era “Sono Charlie” (Je suis Charlie). Ebbene, alla luce di questa lettura, posso dire che “siamo tutti Harry Haller”.
Con le dovute proporzioni ovviamente, perché le sue problematiche, il suo dissidio è spinto fino a uno stadio estremo, quello della rassegnazione, disperazione e sopraffazione. Solo quando era a un passo dal baratro è arrivata una mano tesa in suo aiuto. Ma tutti noi, esattamente come Harry, abbiamo provato almeno una volta la sensazione di esserci trovarti in un posto a noi non congeniale. Il dramma era che per Harry era la vita stessa a non essere congeniale. Odiava lo spirito borghese, ma lui stesso era un borghese. Odiava il suo modo di essere, ma anche dentro il suo modo di essere c’era un anima pura, candida. Più il racconto si diradava, più Hesse ci faceva comprendere che per il nostro sventurato amico non sembrava esserci via d’uscita. Vane speranze, vuoti silenzi, illogicità delle proprie azioni... nulla sembra essere positivo, nulla sembrava essere salvabile. Ma, in realtà, c’era solo quella parte di lui così buona e genuina che, se stimolata, aveva il fiato sufficiente e la forza necessaria per riscattare l’intero “io” del protagonista. Lui era un pacifista e forse temeva una guerra proprio perché sapeva, interiormente (nel senso letterale del termine), quanto fossero difficili e traumatiche le conseguenze. In lui infuriava un conflitto identitario, tra la parte più asociale e selvatica (il lupo) e quella più umana e socievole (l’uomo appunto), così devastante che non poteva porre fine da solo. Non perché non ne era in grado, ma perché non ne aveva piena coscienza. Solo quando si è imbattuto -in circostanze davvero poco chiare che, sinceramente, stonano un po’ con l’intera trama esistenziale- nel pamphlet “Dissertazioni sul Lupo della Steppa” comprende le contraddizioni che abitano il suo essere, le quali però gli sembrano insormontabili ...

È un libro che va letto e assaporato con concentrazione perché tutti noi ci ritroviamo in quel personaggio, in quel tale Haller il cui senso psicologico e interiore è letteralmente dipinto dalle parole scaturite dalla penna di Hermann Hesse. Dimenticatevi Siddhartha, cancellate completamente la storia sublime e mistica di Narciso e Boccadoro, “il Lupo della Steppa” non ha una trama precisa. È un racconto esistenziale di un uomo problematico. Un racconto in cui tutti noi possiamo imparare qualcosa.

“L’uomo è un tentativo, una transizione, un ponte stretto e pericoloso fra la natura e lo spirito.” Questo è l’assunto eppure man mano che si procede con la lettura, man mano che si fa la conoscenza con la enigmatica Hermine (la donna che ha sconvolto l’esistenza del nostro protagonista) anche questa certezza sembra sgretolarsi perché, contemporaneamente, inizia a solidificarsi nella mente di Haller la convinzione che l’uomo è molto di più. L’uomo non è solo un ponte stretto fra natura e spirito, ma è anche una transizione di più personalità, di più spiriti, di più nature.

Ecco che allora, come quando si torna bambini (e qui entra in gioco la possibile lettura alternativa, ovvero quella del ‘romanzo di formazione’) e si è “obbligati” ad ascoltare unicamente i propri genitori, affinchè si possano prendere le giuste misure della propria vita, si possa comprendere il mondo cui si appartiene e si possa accettare ciò che prima non era accettabile; come la prima volta in cui si entra in un mare che visto da fuori appariva estraneo e pauroso, ma con l’aiuto di mamma e papà si inizia a famigliarizzare e a renderselo amico, così allo stesso modo, l’immersione nel mondo borghese (il mare) con tutto ciò che comporta da parte di Heller (il bambino), coadiuvato da Hermine (la mamma) ricalca lo stesso procedimento per arrivare allo stesso scopo. Accettare la realtà. E alla fine, anche forzatamente se necessario (leggere per capire), si è chiamati a camminare con le proprie sole gambe nel grande luogo che è la vita, forti degli strumenti ottenuti e della consapevolezza delle innumerevoli sfumature che l’uomo può mettere in campo per abbracciare qualunque cosa gli si pari di fronte, sia essa fisica, sia essa metaforica.

Un libro che fa a pugni con l’impianto canonico del romanzo per andare a braccetto con l’idea di Sartre, il modello esistenziale (e formativo). Solo una cosa mi sento di “rimproverare”: lo stile. Può apparire strano che, dopo aver tessuto le lodi di “Narciso e Boccadoro” da ogni punto di vista, io veda in un premio Nobel come Hesse una complessità stilistica inutile e dannosa in un romanzo già complesso nei contenuti. Hesse è un genio, ma poteva aiutarci e venirci incontro. Non lo ha fatto. Questo può anche essere visto meritoriamente, ossia come un modo per spronare il lettore all’attenzione e all’ingegno. Tuttavia l’ho ritenuto e lo ritengo tuttora eccessivo. E alla fine si è toccato l’apice. Una parte finale, dominata dai forti contorni surreali, simbolici e metaforici, che ho trovato certamente funzionale alla vicenda, ma fuori stile rispetto a tutto il racconto pregresso.

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Il lupo della steppa 2018-06-18 08:46:09 Valerio91
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Valerio91 Opinione inserita da Valerio91    18 Giugno, 2018
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Certi uomini non sanno stare al mondo

Sicuramente un libro non facile "Il lupo della steppa" di Herman Hesse, soprattutto per le persone che, in fondo, si sentono piuttosto vicine al protagonista di questa storia.
Si sente chiaramente l'influenza esistenzialista, e lo stesso autore non manca di citare più volte il nome di Nietsche; inoltre si sente una forte analogia tra il protagonista Harry Haller e Antoine Roquentin, protagonista del romanzo "La nausea" di un altro esistenzialista: Sartre. Entrambi i personaggi sono profondamente tormentati da un mondo al quale si sentono di non appartenere, un mondo troppo lontano dal proprio modo di essere e di concepire le cose.
Herman Hesse è bravo a sviscerare la psicologia di questo protagonista molto controverso, sempre in bilico tra la vita e il desiderio della morte. Il racconto in prima persona (a parte un'introduzione al protagonista fatta dal suo padrone di casa) non fa altro che farci entrare più a fondo nel personaggio.
Sono tanti i temi trattati da Hesse in questo romanzo, come la molteplicità dell'io e l'incapacità di certi uomini di stare al mondo; ma una cosa che lascia sconcertati è come Hesse abbia praticamente profetizzato lo scoppio di una Seconda guerra mondiale e la degenerazione delle intolleranze razziali. Leggendo le parole di Hesse (tramite i pensieri di Haller), il lettore ha quasi l'impressione che il libro sia stato scritto in seguito alla Seconda Guerra Mondiale, salvo scoprire che è stato scritto nel 1927. Pauroso.

Harry Haller è un uomo piuttosto controverso, diviso tra la sua personalità da uomo e quella di lupo della steppa: solitario, selvaggio. Mentre si trascina nelle sue giornate sempre uguali, tra una lettura e un'altra, la sua percezione di sentirsi estraneo al mondo lo lascia sprofondare in un'infelicità sempre più profonda, fino a fargli meditare il suicidio.
Harry Haller non comprende il mondo in cui vive: amante di Mozart, non concepisce l'orripilante musica jazz nascente, e questo è solo uno dei tanti aspetti che lo tiene lontano dalla compagnia degli altri uomini, che popolano un mondo che si concentra soltanto sulle frivolezze. Il lupo della steppa non ha fiducia nell'umanità: scottato dalle conseguenze della Prima Guerra Mondiale, intuisce che il mondo non ha imparato dai suoi errori e si prepara ad affrontarne una seconda, anzi, quasi la brama.
Viene portato al culmine della disperazione nel ritrovamento (molto surreale), di un opuscolo intitolato "Dissertazione sul Lupo della steppa", in cui si parla apertamente di lui, della sua incapacità di stare al mondo e di tutte le problematiche insite nella sua personalità; nella sua estraneità al mondo intorno a lui.
Arriva quasi alla decisione finale, quella di ricorrere al rasoio, ma proprio nel momento peggiore incontra Hermine (alter ego femminile dell'autore Hermann?). Hermine è un personaggio fortissimo, che riporta il Lupo in carreggiata e vorrà insegnargli a prendere questa vita nel modo corretto. Ma Hermine è come Harry, in fondo, e questa somiglianza si paleserà sempre di più col proseguire delle pagine.
L'atmosfera di questo romanzo è molto particolare, che oscilla continuamente tra realtà e allucinazione, raggiungendo il suo culmine nel controverso finale, molto soggetto a interpretazione personale da parte del lettore. Un libro che può essere facilmente odiato, ma che credo sia molto bello e interessante.

"Dunque: 'La maggior parte degli uomini non vuole nuotare prima di saper nuotare'. Spiritosa, vero? Certo che non vogliono nuotare. Sono nati per la terra, non per l'acqua. E naturalmente non vogliono pensare: infatti sono nati per la vita, non per il pensiero. Già, e chi pensa, chi concentra la vita nel pensiero può andare molto avanti, è vero, ma ha scambiato la terra con l'acqua e a un certo momento affogherà."

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Il lupo della steppa 2016-06-15 14:22:00 FrancescoMirone
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FrancescoMirone Opinione inserita da FrancescoMirone    15 Giugno, 2016
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Dicotomia umana

Il ''Lupo della steppa''(1927) è cronologicamente quasi parallelo al ''Siddhartha'' (1922). In entrambi i romanzi sembra esserci una forte componente autobiografica. Hesse scrive questo romanzo in un momento di forte crisi spirituale vissuta negli anni venti, dopo la rottura con la sua sposa in seconde nozze. L'autore narra le vicende di Harry Haller, un individuo che, arrivato alla soglia della mezza età, vive un profondo conflitto interiore che lo spingerà verso l'idea di suicidarsi. Ciò non avverrà grazie al catalizzatore della sua rinascita, ovvero la bella Hermine. Essenzialmente, l'uomo viene visto secondo una dicotomia che vede il suo animo composto da una parte lupina e una borghese. Harry è vissuto come un borghese, è sceso a compromessi, ha accumulato ricchezze e si è sposato, una vita quasi perfetta. Il suo lato lupino emerge nella critica alla società borghese. Harry è molto scettico nei confronti di quest'ultima, ma contemporaneamente ne fa parte, ciò lo manda, ovviamente, in crisi. Ma il romanzo non è riducibile ad un'univoca opposizione lupo versus borghese. L'autore enuncia infatti quella che è la molteplicità dell'animo umano , che è composto da migliaia di , è dunque inutile tentare di definire l'essere umano poiché gli aspetti da valutare sono semplicemente troppi e non sempre evidenti. Harry troverà un'altra strada, una via diversa sia da quella lupina che da quella borghese. In questa nuova visione del mondo è fondamentale il valore dell'ironia, vi è un nuovo approccio alla vita attraverso l'arte.

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Consigliato a chi vuole conoscere l'autore, ma anche a chi ha già letto Siddhartha.
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Il lupo della steppa 2014-08-25 19:30:20 Vincenzo313
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Vincenzo313 Opinione inserita da Vincenzo313    25 Agosto, 2014
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Siamo lupi o persone?

Ne "Il lupo della Steppa" Hesse affronta uno dei temi a lui più cari, ovvero l'eterno e insoluto dissidio interiore che attanaglia ogni anima, quello cioè tra la spiritualità e l'istintività, tra la metà animale e la metà umana, presenti in ciascun individuo. A farne le spese è Harry Haller, un uomo di mezza età che vive in una condizione di permanente disagio. E' un outsider; in lui la parte istintiva e selvaggia ha da tempo preso il sopravvento su quella umana, trasformandolo di fatto in un lupo, incapace di immergersi nella società che lo circonda. Vive da emarginato in una condizione che, in apparenza, lo soddisfa, dal momento che si sente orgoglioso della sua superiorità rispetto alla borghesia dominante, da lui considerata vuota e portatrice di ideali vacui, scadenti. L'isolamento nel quale per forza di cose si rinchiude, incapace com'è di sentire la realtà allo stesso modo dei suoi simili, lo condurrà però a un'estrema sofferenza, sino alla decisione del suicidio, da lui visto come l'unica via di uscita da un mondo che gli sta troppo stretto. Proprio quando Harry pare aver preso la decisione di porre fine alle sue sofferenze, ecco spuntare l'ambigua Erminia, una donna all'apparenza spensierata e felice, ma in realtà dotata di un'intelligenza fuori dal comune. Si mostra subito capace di comprendere alla perfezione lo stato d'animo del protagonista, sino a diventare la sua intima confidente. In lei le due metà, l'uomo e l'animale, si sono perfettamente fuse, creando un essere capace allo stesso tempo di comprendere in profondità le vicende umane, e di rimanerne ferita, a differenza dello sventurato protagonista. Erminia gli farà da maestra nell'insegnargli tutte le gioie che la vita è in grado di offrire, fino a fargli apprezzare la realtà che fino a quel momento aveva allontanato con forza. Alla fine della vicenda, in un finale di storia altamente simbolico, ad Harry verrà svelato il segreto per vivere libero dai tormenti: ridere in faccia alla vita, agli avvenimenti, prendendo con leggerezza qualsiasi vicissitudine essa ci riservi.
Il messaggio finale va a concludere un romanzo che affronta, a mio modo di vedere con maestria, un argomento ostico, in seguito ripreso dallo stesso Hesse in "Narciso e Boccadoro". Dal punto di vista del contenuto, mi sento pertanto sicuro nell'attribuire il massimo punteggio all'opera. Con riferimento alla forma e alla scorrevolezza della storia, devo dire che questa procede molto bene, eccezion fatta per la parte finale, quella ambientata nel teatro, che non ho apprezzato molto in quanto troppo simbolica e avulsa dalla storia. In definitiva comunque il romanzo merita assolutamente di essere letto.

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Narciso e Boccadoro
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Il lupo della steppa 2013-08-19 05:45:27 paolo migliaro
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paolo migliaro Opinione inserita da paolo migliaro    19 Agosto, 2013
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Il viaggio interiore del lupo

Il romanzo coincide con la crisi del cinquantenne Hesse, quando nel 1927, a cavallo tra le due guerre, già si presentiva nella società dell'epoca che il mondo si sarebbe avvilluppato in un'altra assurda carneficina che poi non tardò molto ad arrivare. Sono nel sottofondo de 'Il lupo nella steppa' i due sistemi prevalenti e contrastanti che si combattevano tra loro, l'americanismo e il bolscevismo, la pervasiva e allignante morale ipocrita che ritroviamo finemente descritta anche nel romanzo di Tolstoj, 'La morte di Ivan Ilic' , e la fede nelle facoltà intellettuali. Ne ho avvertito una sorprendente modernità. Se allora entrambe le ideologie riducevano l'esistenza a qualcosa di stupido, trascurando sia l'una che l'altra negli aspetti più essenziali, oggi l'instupidimento è addirittura multinazionalizzato. Siamo in pieno conformismo; ogni gruppo umano, piccolo o grande che sia, ha in esso una forma quasi religiosa di consenso e di anestetizzazione e consegna totale della coscienza. Ne segue l'incapacità e l'impossibilità di andare al fondo delle questioni e di essere con coraggio, e con un sincero amore verso l'altro, per davvero se stessi. Anche ora si crede e si tende ad ascoltare ritenendo autorevole chiunque abbia titolo, pure se sproloquia. Harry, il protagonista, è uomo di scienza, è lo stesso Hesse, poeta, romanziere, giornalista, esperto di musica e di arte, che sa perfettamente quanto sia importante la conoscenza. Ma scopre che questa deve essere messa in relazione alla ricerca della semplicità e ai tanti personaggi che abitano la nostra singola anima umana. Solo sperimentando noi stessi nell'incontro con il diverso e con le tante parti diverse e inesplorate che ci abitano inconsapevolmente, solo con l'esperienza riusciamo a conoscere in profondità cosa sia l'altro, il mondo e il sè. Non c'è dunque opposizione tra intelligenza e cuore, tra scienza e amore; solo se sono insieme producono reale sapienza e potenza vitale. La condizione dell'uomo che cresce umanamente, alla quale Harry aspira, non può essere quella del conformista, ma di chi si lascia interrogare, di chi si avventura. Di chi capisce che ha bisogno della sofferenza, non come un cilicio, ma come condizione consapevole, necessaria, indispensabile. E l'esistenza stessa se meditata, se messa in relazione al dolore del mondo, se sentita nelle nostre colpe, contraddizioni e miserie, non può che renderci sensibili ad essa. San Francesco come Mozart sono rappresentati da Hesse come le facce della stessa medaglia. Il romanzo già a suo tempo suscitò polemiche e interpretazioni distorte. C'è dunque il solito problema della corretta lettura per chi conosce poco e male la scienza e la funzione psicanalitica, ma anche da parte di chi avesse una forma mentis bigotta che si scandalizza guardando al dito della trasgressione anzicchè alla luna di un percorso molto umano che affronta la natura in un processo di liberazione. Chiudo qui con una citazione augurandovi di prendere in mano questo libro non semplice: " Se è vero, come afferma Renan, che al mondo di infinito non c'è che la stupidità umana, quale sentimento può invadere l'animo mio se non la tristezza? A Paolo VI, si narra, qualcuno osò chiedere perchè non ridesse mai. Egli rispose semplicemente: e di che cosa? (Benvenuto Goria)"

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Il lupo della steppa 2013-07-20 13:17:22 Todaoda
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Todaoda Opinione inserita da Todaoda    20 Luglio, 2013
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Probabilmente il primo noir della storia e molto a

Recensendo il Lupo della Steppa è impossibile non analizzarne la trama nelle sue singole, distinte, parti (salvo limitarsi al "si mi è piaciuto" o "no non mi è piaciuto") poichè i contenuti di questo libro, la loro comprensione, trascendono il mero giudizio critico e si rivolgono all' "universale" che è in ognuno di noi. Dunque quella che segue è, più che una recensione, un' interpretazione dell'opera di Hesse, un metodo di lettura, e come tale non è scevro da i necessari rimandi (anticipazioni) alla trama. Quindi, pur trovandoci di fronte a uno di quei testi il cui mero contenuto della storia non è tanto importante quanto il suo significato, sconsiglio la lettura di questa "recensione" a chiunque volesse affrontare il grande romanzo intonso e non influenzato da pareri altrui. Premetto infine che la maggior parte delle cose che dirò ai più parranno un' ovvietà, non ho alcuna presunzione infatti di poter aggiungere qualcosa che non sia stato già detto da innumerevoli letterati e critici di professione, tuttalpiù spero di fornire un minimo aiuto a chiunque riscontrasse difficoltà a raccapezzarsi con il contenuto di questa magnifica opera e con il messaggio di Hesse.

IL Lupo della Steppa è un romanzo che si sviluppa su diversi piani narrativi nettamente delineati da altrettanti diversi stili di scrittura sempre e comunque adeguati al ritmo della narrazione. E’ esclusivamente grazie al ritmo infatti che il testo non appare slegato, che il confine tra un ambiente e l’altro, che il passaggio da uno stile all’altro, non appaiono eccessivi e discordanti. Questi ambienti, queste sfere di competenza, o piani narrativi che dir si voglia, sono oggettivamente slegati e riordinati uno dentro l’altro quasi l’autore avesse voluto scrivere quattro o più libri distinti, tuttavia questo netto distacco non stona anzi a suo modo dona al testo una sorta di peculiare appeal, una sensazione di ordine, di lucidità mentale. Onde evitare fraintendimenti è bene precisare che Hesse non dispone i sopracitati piani soltanto in maniera concentrica l’uno dentro all’altro ma li illustra anche in ordine cronologico facilitando così il compito al lettore, permettendo a chiunque di seguire la trama del libro e il filo logico dei suoi ragionamenti.
Sul (o nel) primo piano narrativo l'autore ci introduce in una casa medio-borghese che rispecchia la società del tempo, in questa parte molto breve, manieristica e volutamente banale Hesse strizza l'occhio, e forse fa una pernacchia, alla narrativa a lui contemporanea.
Sul (o nel) secondo piano narrativo, con il consueto stratagemma del "carteggio ritrovato”, ci si addentra finalmente nella vita di Harry Haller il vero protagonista del romanzo i cui pensieri così alieni a quelli del suo tempo lo fanno sentire come un emarginato al di fuori della società in cui vive.
Per stile, dal mio punto di vista, questa è la parte migliore del libro, i toni e le atmosfere richiamano o probabilmente inventano il genere noir (confesso che qua l’uso dell’avverbio nasce da una mia mancanza culturale).
Sul (o nel) terzo piano narrativo, grazie ad un altro "carteggio", questa volta trovato dallo stesso Haller, l’autore si concede alla disquisizione filosofica e spirituale a lui cara abbracciando un insieme di pensieri e pensatori che vanno dai classici greci ai guru orientali. Questa è la parte più concettuale dell’opera e anche la più ostica da comprendere e condividere. In queste pagine si abbandona il ritmo del romanzo e, come un libro nel libro, ci si inoltra in un saggio filosofico - metafisico, talvolta fin troppo cerebrale ma pur sempre a tema con il resto della vicenda.
Se questa è la parte meno scorrevole del Lupo della Steppa è altresì una parte essenziale poiché rappresenta il meccanismo che fa scattare la molla interiore del protagonista, che lo spinge a compiere quell’ulteriore passo oltre il quale non si può più tornare indietro, oltre il quale c’è la salvezza o la morte. In questa parte Haller trova sé stesso, rivive la sua vicenda, ritrova i suoi problemi e, gran novità, intravede uno spiraglio, una soluzione, una via di fuga a quella vita che tanto odia.
La quarta parte è invece la corsa sempre più rapida e sempre più folle del protagonista verso quella tanto agognata soluzione ai suoi problemi, corsa in bilico sul precipizio della pazzia che culmina in una festa, comune e selvaggia, che per certi aspetti richiama il circo quale metafora dell’eccesso, dell’assurdo e appunto della pazzia.
Questa è l’ultima vicenda del protagonista, dopo questa, dopo aver varcato la soglia della follia, rimane solo un ultimo viaggio allucinato in un corridoio dalle molteplici porte, metafora della vita e delle proprie scelte, metafora del pensiero e dei singoli ragionamenti, della conoscenza e della coscienza, della logica e dell’istinto. Haller, l’uomo ormai disposto a qualunque cosa, viene messo di fronte a se stesso e la sua singola natura, il suo io, si spezza in una serie di molteplici forme, tante quante sono le porte che gli si parano di fronte, in ognuna di queste egli trova una versione di se stesso, una versione che ha compiuto una singola determinata scelta seguendo istinto o ragione. Ogni porta un nuovo Haller finché lui stesso non comprende più se quel che ha davanti sia finzione o realtà, finché lui stesso non si annulla colpendo a morte il suo redentore (o redentrice data la sua duplice natura androgina) colpendolo/a a morte per poi ripensarci e salvarlo/a, per poi svegliarsi e rinascere, trovare un nuovo sé, una nuova ragione di vita…o forse no.
Questa è la parte più intensa del romanzo, quella più vissuta, quella in cui il libro sembra veramente nascere, vivere e consolidare se stesso come opera narrativa vera e propria. In questa parte Hermann Hesse, traendo spunto dalle precedenti, si concentra maggiormente sulle problematiche dell'uomo al di fuori del suo tempo, che istintivamente si sente inadeguato in una società (quella tedesca tra le due Guerre) che non condivide i suoi valori, i suoi bisogni e in fondo la sua natura. Da qui la conseguente formazione dei "due io" faustiani, quello sociale, dei comportamenti dabbene, dell’etichetta a cui il protagonista vorrebbe abbandonarsi e quello naturale, selvaggio, ribelle, quello del lupo della steppa, animale metafora della natura sanguigna dell’uomo, animale che è sempre in agguato, digrignante, pronto a saltare sulla preda, ovvero il protagonista stesso e coloro i quali interagiscono con lui. Ed è questa anche la parte in cui il dualismo della coscienza si propaga evolvendosi con un ritmo sempre più incalzante fino al finale metafisico e allucinato fino a quell'immancabile duello conclusivo che vedrà per forza di cose prevalere una natura sull'altra decretando la totale autodistruzione o la redenzione del protagonista...o forse no.
La quinta parte… la deve scrivere il lettore, Haller sarà morto? Sarà vivo? E se vivo sarà un animale sociale o un lupo della steppa, sarà un autentico individuo o una contraddittoria moltitudine?
E’ nel dubbio della quarta parte, nell’assenza di una quinta che sta la genialità dell'autore: Hesse lasciandoci un finale aperto permette al lettore ogni possibile tipo di interpretazione, o ancor meglio: l'interpretazione che più ci appartiene poiché, è inutile negarlo, almeno una volta, anche solo per un istante, per un singolo episodio o vicissitudine chiunque abbia letto il libro si è immedesimato nel protagonista, ha sentito propri i di lui dolori e ha empaticamente vissuto le medesime vicende.
Questa è la forza del libro, scritto in un tempo ormai così lontano dal nostro che per problematiche, costumi, modi e convenzioni parrebbe assolutamente inattuale ma che in realtà è estremamente attuale e sempre lo sarà, poiché sussurra all'io profondo i temi universali.
Questa è la forza di un libro che, forse ancor più di altri suoi celebri lavori, consacra l'autore a quella ristretta cerchia di uomini a lui cara che nel testo chiama "gli Immortali."

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Opere di narrativa impegnata, romanzi introspettivi, romanzi autobiografici, saggi filosofici, testi religiosi vari ed eventuali, trattati di psicologia, noir e molto altro.
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Il lupo della steppa 2013-07-03 15:47:26 GiammarcoCamedda
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GiammarcoCamedda Opinione inserita da GiammarcoCamedda    03 Luglio, 2013
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"Il lupo della steppa" di Hermann Hesse

Parto dal dire che inizialmente, più o meno dalla prima alla quarantacinquesima pagina, questo libro mi è apparso scritto in maniera noiosa oltre che poco leggibile. Nelle restanti centoquaranta pagine il mio pensiero si è del tutto ribaltato, arrivando a dire che il libro che avevo davanti fosse un capolavoro (cosa che realmente è). Una recensione solitamente serve a sottolineare i pregi e i difetti di un romanzo, ma questa volta, come mia terza volta in cui recensisco un romanzo, voglio fare uno strappo alla regola, e soffermarmi sul significato del libro, più che sulla modalità di scrittura. Ciò che ci viene proposto è uno scenario possiamo dire catastrofico, non reale, ma immaginario e fantastico. Dico questo nel senso che, il romanzo si basa non su fatti reali ma sulle sensazioni, sui pensieri e sulle emozioni del protagonista, il cui nome è Harry Haller. Il suo viaggio interiore, come dice Hesse, non è da considerarsi negativo per via della sua visione distorta e pessimista della realtà, ma al contrario come una guarigione. La guarigione è intesa, a mio parere, come l'affrontare la paura che l'uomo ha di se stesso, e soprattutto, di ciò che lui rappresenta in mezzo agli altri. Per fare ciò, ci viene proposto un uomo sui cinquant'anni, che vede se stesso e tutto ciò che lo circonda in maniera negativa. Lo possiamo definire un pensatore, perché è questo ciò che fa: pensa, pensa e ripensa sulle cose. Tuttavia, i suoi pensieri non sono del tutto normali e capaci di tutte le persone, la sua visione, per quanto negativa, rappresenta la realtà e va oltre, all'interno di essa. Ci viene spiegato il perché dell'essenza delle cose, e non perché appaiano così. Io sono dell'idea che a questo mondo per la maggior parte degli uomini conti apparire e non essere, e questo romanzo è come una enorme frase che conferma ciò che ho scritto. I mali pensieri di Harry Haller, a partire dal suo messaggio di pace, dalla sua idea di musica, di poesia, di filosofia e chi più ne ha, più ne metta, sono quella che noi possiamo definire "rappresentazione mentale della realtà". E questa rappresentazione mentale, non è che quella vera. Io sono convinto che Harry rappresenti una piccola parte dell'umanità, ovvero chi effettivamente è triste per ciò che vede, e perché è riuscito a capire cose che non molti capiscono, e poi ci sono gli altri, rappresentati da Hermine e da Maria, i quali possono essere definiti come la parte spensierata e libera del globo. Tuttavia, Hermine, nella sua per così dire uguaglianza con gli altri, ha capito cosa c'è dietro, ha compreso e ha affrontato la cosa, uscendone libera come ha sempre desiderato. Per quanto lei sia felice e sorridente, ogni tanto una po' di tristezza traspare nei suoi discorsi, e il lato pessimistico della vita viene fuori da essi. Io credo che Hesse non ci dica di essere come Haller, ma nemmeno come Hermire. Hesse ci vuole dire che ognuno di noi dovrebbe essere ciò che è e credere nei propri ideali, non omologarsi alla massa, non essere tante piccole copie, ma tanti lupi della steppa che guariscono. Che diventano effettivamente persone e non lupi. Io ho interpretato questo romanzo come una grido di lotta alla vita, alla vita vera, e non quella che troppi fanno tutti i giorni portando una maschera e nascondendosi. Il lupo della steppa posso essere io, può essere tizio, può essere caio, può essere chiunque. Una figura che invece mie è piaciuta particolarmente è Pablo. Pablo, musicista del romanzo, senza porsi in mezzo a Harry e a Hermine come un Dio onnipresente, tanto da gestire un Teatro nel quale la realtà è in mano a chi ci entra, e nel quale soprattutto Harry scopre finalmente che non è fatto solo da due minuscole parti (il lupo e l'umano), ma da migliaia di piccoli umani ognuno dei quali ha una sua caratteristica: chi è giovane e libero e spensierato, chi è decrepito e sta per morire, chi ha cinquant'anni ed è triste. L'uomo non può essere semplicemente definito come l'unione di due parti, ma come migliaia di parti. Non c'è solo il lato selvaggio (il lupo) e quella razionale (l'uomo), ce ne sono talmente tante da non poter nemmeno immaginare quante siano.
Il romanzo di Hesse è qualcosa di fantastico per questo motivo: sottolinea la magnificenza dell'uomo in quanto uomo. Che nella sua complessità diventa qualcosa di squisitamente magnifico. Partiamo da un uomo solo, triste e che si sente vecchio, e arriviamo a tantissimi uomini ognuno dei quali gioca la sua parte. Ora, dopo aver espresso quello che penso sul significato posso dire che sia un libro ben scritto, che la caratterizzazione dei personaggi sia perfetta perché espressa attraverso ciò che pensano e sono e non soltanto per come appaiano e soprattutto che sia di una lettura gradevole. Sono certo che questo romanzo contribuisca alla crescita e alla comprensione di lati oscuri dell'uomo, e per questo, dobbiamo solo ringraziare Hesse. Per la prima volta in cui recensisco, dirò che questo non è un libro alla portata di tutti, non facile da comprendere (non fraintendete, neanche io l'ho compreso a pieno, ma ci ho provato) ma che sia degno di essere letto.

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Il lupo della steppa 2013-06-02 12:27:15 Yoshi
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Yoshi Opinione inserita da Yoshi    02 Giugno, 2013
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Il lupo della steppa siamo noi!

Questo libro faceva parte della mia libreria da un bel pezzo, non sapevo cosa aspettarmi in quanto è stato uno scambio e non ho neanche letto la trama, la sola cosa era la curiosità di leggere qualcosa di Hesse che mi è stato spesso e volentieri consigliato.
Quando un giorno, non molto lontano (lunedì), "Il lupo della steppa" mi ha chiamato, ha instillato in me la necessità di leggerlo.
Non è stata una lettura semplice, la scrittura e il linguaggio usati non sono sempre scorrevoli, difatti mi sono trovata spesso a leggere e rileggere una frase per capire meglio il significato.
Detto questo, che è l'unico lato un po a sfavore (non dico negativo perchè non c'è nulla di negativo in questo libro) credo sia entrato a fare parte della mia "top ten" dei libri preferiti.
Nulla avviene per caso ed ecco che, essendo in transito verso una me stessa diversa, questo libro capita a fagiolo.

Non mi soffermerò a fare riassunti perchè rischierei di banalizzarlo e comunque sarebbe abbastanza impossibile rendere in pieno la profondità del messagio che Hesse vuole donarci. Cerchero, che non me ne voglia, di condividere con voi ciò che ha comunicato a me:

Ha suscitato non poco stupore e spesso ho trovato familiarità nel lupo della steppa (anche se familiarità è un termine riduttivo perchè pensavo stesse parlando proprio della sottoscritta).
Fin da piccoli ci insegnano che la nostra anima è divisa in due: bene e male, bianco e nero, diavolo e acqua santa.
Siccome il male (rabbia, l'invidia, la golosità.........) non va bene, allora per sopravvivenza e per non sentirci sbagliati, cerchiamo di sopprimerlo nella speranza che un qualche Dio ci assolva dai nostri peccati.
Quale assurdità...
Ecco che, ad una certa età o in un momento particoalre di cambiamento, compaiono i disagi, la paura, l'ansia, il panico e il senso perenne di inadeguatezza.
Più li scacciamo, più questi torneranno con maggiore forza e carica, pronti ad abbattere le barriere.
Avete mai avuto la sensazione che stesse succedendo qualcosa di pericolosissimo in un momento di assoluta calma?????
Se la risposta è si allora sappiate che state cercando di sopprimere un qualche lato di voi stessi che vuole venire fuori.
Veniamo spinti a scappare da noi stessi e cercare risposte al di fuori o, cosa peggio ad isolarci.
Tutto ciò non è altro che la vita che bussa alle nostre porte e ci chiede di tornare a fare parte di noi.
(Del resto, i più grandi psicologi non dicono che la depressione, l'ansia e il panico non sono altro che sentimenti repressi??)
La rinuncia ad un lato del nostro carattere non fa altro che aumentare la nostra sofferenza, ripresentandosi in vesti ben più pesanti e fomentando il lupo della steppa con la costante sensazione di essere soli.
Questo libro enfatizza il concetto che se i due lati coesistono vige la serenità e al contrario ci sarà una lotta costante al dominio supremo.
Qui subentra la filosofia orientale di cui Hesse si è cibato per gran parte della sua vita, facendo uscire Erminia come personaggio principale e fondamentale che scatena il caos e rinnova la vita di Harry.
Lei abbatte il muro che Harry si è creato e in un costante crescendo, fa scoprire ad Harry che non ha solo i due lati uomo/lupo, ma che la sua nima e la nostra anima ha molteplici lati, personaggi e animali e tutti che cercano di coesistere.
E' più facile accettare i lati positivi di quelli negativi ed ecco che nasce il costante conflitto interno.
Il lupo della steppa è questo, il lupo della steppa siamo noi, il lupo della steppa è il male dell'uomo da secoli e secoli.
Tutti i personaggi che compaiono nel libro, dove non solo Erminia è importante e fondamentale per il cambiamento di Harry, ma anche Pablo e Maria e tutte le altre comparse sono importanti quanto lui, semplicemente perchè i personaggi "marginali" non sono altro che la proiezione esterna di un lato che il lupo della steppa ha soppresso e soffocato dentro di se.
Uccidendo noi stessi (metaforicamente) e ciò che ci siamo cuciti addosso, riusciremo a fare luce al nostro vero io.
Solo quando saremo disposti, per obbligo o per esigenza, a lasciar uscire e accettare tutti i personaggi insiti in noi riusciremo a vivere con pace e serenità e di conseguenza accettando noi stessi, riusciremo ad accettare il mondo esterno.

"Benchè la necessità di diventare uomo gli sia più palese che ai borghesi, chiude gli occhi e non vuol rendersi conto che quel disperato attaccamento all'io, quel disperato rifiuto di morire è la via più sicura per arrivare alla morte eterna, mentre il saper morire, il saper spogliarsi e abbandonare l'io alle metamorfosi conduce all'immortalità"


p.s.: spero di essere stata chiara e meno confusa di quanto credo, nel descrivere ciò che secondo me lui ha voluto comunicare attraverso questo bellissimo libro.
Buona lettura.

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Il lupo della steppa 2013-04-25 11:28:00 LadyA
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LadyA Opinione inserita da LadyA    25 Aprile, 2013
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L'eternità è solo un attimo

Il lupo della steppa è sicuramente uno dei romanzi più affascinanti di Hermann Hesse sotto diversi punti di vista, a cominciare dalla figura del lupo a cui egli attribuisce quella parte dell’animo umano dedita all’istinto, al selvatico e a ciò che non intende seguire le regole sociali o di qualsivoglia genere.

Harry Haller, il protagonista, alter ego dell’autore come dimostrano le iniziali, è un cinquantenne che si trova in un momento cruciale della propria esistenza. Con il passare del tempo egli ha finito per isolarsi completamente dal mondo e dalla vita sociale, dimenticandosi gli usi e i costumi, ritirandosi in un vero e proprio isolamento popolato soltanto da libri e qualche sporadico incontro umano. E’ poco socievole, estraneo al mondo, ombroso e persino selvatico. La sua faccia tradisce “un’aria straniera, forse un po’ singolare e anche triste ma vigile e piena di pensiero e di tormento.” E’ cresciuto con un’educazione rigida e moralista, da piccolo appariva stregato e indomito e il comportamento punitivo dei suoi educatori ha insinuato nella sua mente l’idea di essere come una bestia da ammansire, ricoperta soltanto da una leggera e sottile crosta di umanità.

Harry vive lasciandosi guidare a volte dall’anima dell’uomo, altre da quella del lupo. Ma quando è il lupo a pensare o agire, l’essere umano è sempre pronto a giudicare e condannare e lo stesso avviene se è l’uomo a prendere il sopravvento, la bestia lo deride, mostrando quanto sia sciocca e vana qualsiasi azione umana se si pensa a quali sono i veri piaceri della vita. L’atteggiamento isolato mostra ad Henry la dura realtà della sua condizione di straniero nel suo stesso mondo: si rende conto che è come se fosse già morto, perché il mondo lo ha lasciato terribilmente in pace, e vivendo liberamente la sua vita, senza dover ascoltare i comandi o le richieste di nessuno, gli sembra che la vita umana non lo riguardi più.

“La solitudine è indipendenza, l’avevo desiderata e me l’ero conquistata in tanti anni. Era fredda ma era anche silenziosa, meravigliosamente grande e silenziosa come lo spazio freddo e silente nel quale girano gli astri.”
Nella dimensione perduta e ombrosa della sua vita, s’inserisce una figura luminosa e a tratti persino frivola, una donna di nome Erminia, di cui s’innamorerà e sarà colei che gli aprirà nuovamente le porte della vita, mostrandogli attraverso la danza, il canto e soprattutto il gioco, quanto sia assurda l’esistenza. Harry guarirà dalla sua “malattia” comprendendo che rifiutare la vita è il più grande errore. Persino i grandi maestri della letteratura come Goethe che egli ammira e di cui invidia l’ormai riconosciuta immortalità, dopo la morte, sorridono a testimoniare che nell’eternità non esiste la serietà. Nell’eternità è il tempo a non esistere, essa è solo un attimo, quanto basta per uno scherzo. Deve imparare a ridere e a vivere la vita senza dare troppo peso ai sentimenti, ma soprattutto deve capire che è inutile subire inerme la lotta tra le sue anime, la chiave è farle convivere accettando il proprio destino, bello o brutto che sia.

L’atmosfera che avvolge l’intera vicenda del nostro protagonista oscilla continuamente tra lucidità e pazzia, tra realtà e sogno, accompagnati da un irrefrenabile umorismo che rende Harry un po’ tutti noi, uno specchio nel quale rifletterci e scoprire che in fondo la vita va presa ridendo, smettendo di chiedersi se sia meglio essere lupo o altro, basta essere se stessi.

“Lei deve ridere e imparare a vivere. Deve imparare ad ascoltare questa maledetta musica della radio della vita, deve rispettare lo spirito che vi si cela e ridere di questo strimpellio. Altro non è richiesto.”

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