Il lamento di Epicuro
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Solitudine? Sì grazie!
«C’è tanta gente che soffre di solitudine. Ma io no. Proprio no. Per me non c’è toccasana migliore dell’assenza di esseri umani.»
Hugo Whittier ha quarant'anni e vive nella decadente magione di famiglia in un beato, autistico e maniacale isolamento.
O almeno ci prova.
Fratello, (fresco di divorzio), ex moglie, aspirante figlia, potenziali compagne di talamo permettendo. Intanto, cucina e scrive. Mentre cucinare è un rituale preciso, scientifico e rilassante, scrivere gli è assolutamente detestabile. Non di meno scrive. Odiando farlo e non riuscendo a farne a meno, come un guardiano del faro, abbagliato da troppa luce, ma ben conscio del proprio dovere. Hugo è caustico, cinico e, nei suoi deliri di controllo, si immedesima con Loki, dio del Caos, o con Erasmo, l' "oiseau compulsif" che vive sull'albero di fronte alla sua finestra preferita.
E per concludere, Hugo soffre e sta morendo.
Non ha nessuna intenzione di alzare un dito per impedirlo, ma pensa, questo sì, di fare una grandiosa uscita di scena.
Ho comprato questo libro l’8 maggio del 2008.
Senza nessun motivo.
Autrice mai sentita, titolo non così accattivante, quadro di Magritte in copertina senza infamia e senza lode, appiglio con “Lolita” in copertina ininfluente (non lo avevo letto).
Temo che il merito possa essere attribuito solo alla morbidezza delle copertina di Neri Pozza.
O più probabilmente ad uno degli scherzi di Loki.
In ogni modo, l’ho letto in poche ore e non appena l’ho finito l’ho ricominciato.
Non mi capita così di frequente.
Direi che Hugo Whittier, per me, è stato a metà fra l’identificazione assoluta e l’amore folle.
Con i suoi “autismi”, il suo umore “garum”, la sua misantropia, le sue manie, il suo avere sempre una parola “buona” per tutti: amore, famiglia, parenti, arte, maternità, religione, convenzioni sociali, non salva nessuno. Neppure Amleto (scoprire che non sono l’unica che non lo sopporta non ha prezzo).
Riuscendo a volte, fra una battuta pungente e uno schizzo di acidità a buttare lì qualche riflessione tutt’altro che banale.
Non è un libro di buoni sentimenti.
Ma si fa volere bene.
«Dai venti a trent’anni continuai a leggere, insaziabile come una termite. Quando tornai ad abitare a Waverley divorai piano piano tutta la biblioteca finche non ebbi la sensazione di aver viaggiato abbastanza con i miei antenati e imparato sufficientemente il loro mestiere da poter lanciare nella loro scia la mia vacillante flottiglia.
Così cominciai a scrivere. Non mi piaceva affatto ed è ancora così, ma non mi era mai parsa una questione di scelta, ma di assoluta necessità.»
(…)
«Be’, c’è sempre la scrittura. Odio scrivere, naturalmente, ma a quanto pare non riesco ad impedirmelo (…) Guarda caso oggi non mi passa niente. Proprio niente… ma se tengo la penna sulla carta le parole usciranno, se rimango seduto e la lascio fare la penna camminerà e parlerà. Magari non scriverò nient’altro che farfugliamenti per il resto della vita, ma se sembro impegnato a scarabocchiare la gente potrebbe avere il tatto e la cortesia di lasciarmi in pace, cosa che contribuisce in parte a risolvere il problema.»