Il ladro e i cani
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La giustizia come ossessione
Said, protagonista del romanzo, ha ricevuto un grave affronto. La moglie nel periodo in cui lui era in carcere se ne è andata con il suo servo, un cane. A casa dell'uomo la figlia non lo riconosce e rifiuta il suo abbraccio. Il rifiuto della bimba è la molla che innesca nel suo cuore il desiderio di vendetta così come il tradimento "ideologico" dell'amico giornalista. Said ha perso tutto. Lui, il leone, è stato tradito dai cani. Con cani intende servi, gente che non ha la sua libertà di pensiero, schiavi della morale corrente, del buonsenso gretto, delle buone maniere stupide. All'amico giornalista rimprovera di non essere sempre stato un cane. Una volta aveva un'altra apertura mentale. A Said rimangono legate due persone: la prostituta Nur, da sempre innamorata di lui e l'oste. Ma di queste persone lui non ha nessuna considerazione perchè lo riamano come cani fedeli e non mostrano nessuna personalità. La moglie infatti era molto più "difficile".
Alla apparente apertura mentale di Said l'autore contrappone il mistico shaykh Ali Guanydi da cui Said si rifugia appena uscito di prigione. E' dal confronto con il santo alla ricerca di un pensiero veramente superiore che gli indica la via della pace del cuore, che anche Said si rivela un cane schiavo delle sue ossessioni di vendetta. Bellissimo il finale.
Indicazioni utili
La saggezza è sempre giustizia
Decisi di leggere qualche testo dell'egiziano Nagib Mahfuz, premio nobel per la letteratura, dopo aver scoperto, studiando dottrina islamica, che alcuni suoi libri erano stati oggetto di proibizioni e censure in Egitto dietro pressione della facoltà islamica di Al-Azhar. Sfogliando i suoi libri, fui catturato dalla trama: un tradimento, un desiderio di vendetta, la morte di innocenti. Devo ammettere di essere rimasto davvero soddisfatto dalla lettura.
Lo stile del libro è elegante e straordinariamente poetico in alcune sue parti, nonostante venga quasi sempre utilizzato il tempo presente. Molto belle sono soprattutto alcune immagini e paragoni utilizzate dall'autore per descrivere la profondità dell'animo dei personaggi. La traduzione italiana lascia trapleare un po' della bellezza che penso abbia l'originale arabo, lingua che si presta molto per essere impiegata in poesia (anche dal punto di vista storico).
Sebbene la storia non sia particolarmente originale, ci troviamo dinanzi a un libro di notevole spessore. Basterebbe la scena dell'incontro tra Said Maharan e la figlia Sana' che non vede da anni o la descrizione della celebrazione dello dhikr da parte del sufi Ali Gunaydi per farne capire la grandezza.
Al centro della storia troviamo il ladro Said Maharan, appena rimesso in libertà dopo diversi anni di carcere, intenzionato a vendicarsi di Alish Sedra, suo sottoposto nelle ruberie, e della moglie Nabawiyya. Costoro hanno denunciato Said, facendolo gettare in carcere, e si sono impadroniti delle sue ricchezze. Sono loro "i cani" contro i quali si lancia il ladro.
Il primo cane è Alish, il servo in cui Said riponeva la sua fiducia, che gli ha rubato la moglie e ne ha adottato la figlia. Con lui vive la ex moglie di Said, oggetto tanto del desiderio di Said di riappropriazione quanto di vendetta.
Il secondo cane è l'intellettuale e direttore di giornale Rauf Aluan. Corrotto dal denaro e ripiegato su uno stile di vita borghese, ha rinnegato le idee rivoluzionarie giovanili che avevano affascianto Said mentre costui studiava. Le sue azioni, tuttavia, lo rendono un personaggio ambiguo, che non si riesce a condannare brutalmente e immediatamente.
La principale vittima della storia è Nur, la donna eternamente innamorata di Said, disposta a fare qualsiasi cosa per lui con il solo desiderio di essere ricambiata. Il desiderio di essere finamente amata, la disponbilità a proteggere il ladro e assassino e il richiamo all'uscire dalla spirale di violenza e odio che agita il cuore di Said, rendono Nur un personaggio tragico, votato fin da subito alla sofferenza.
Ciò che maggiormente colpisce della storia è, infatti, la totale assenza di cambiamento da parte di Said: non ci troviamo dinanzi all'angosciante senso di colpa che sconvolge l'animo del dostoevskiano protagonista di Delitto e castigo, nè al pentimento e ai ragionamenti sulla liceità del delitto presenti in altri libri inerenti al desiderio di vendetta e alla morte ingiusta dell'innocente. Said Maharan è insensibile e sordo a qualsiasi altra cosa non sia il suo odio e il suo desiderio di vendetta. La volontà ferrea di vendicarsi trascina con sè ogni cosa: i due innocenti uccisi per errore, la donna che lo ama, la figlia che vuole riconquistare e che l'ha rinnegato, al punto tale da non poter più distinguere chi è realmente vittima e chi è colpevole. Chiuso nella convinzione di divenire un esempio per tutti gli oppressi che cercano giustizia contro il sistema corrotto, il ladro non si lascia nemmeno toccare dalla profondità dello shaykh Ali Guanydi.
Il vero gioiello del libro penso proprio sia l'interfacciarsi del ladro e del mistico sufi. Oltre alle domande e alle risposte che i due si scambiano, a colpire sono soprattutto i due volti: tanto il volto sereno e profondamente assorto dello shaykh rivelano un animo teso alla continua ricerca di Dio e di una vita retta, quanto la febbrile agitazione che caratterizza il adro, rivelano un uomo sordo a ogni richiamo e incapace di "interagire" con le risposte "aperte" dategli dallo shaykh. Alla pace proposta dal primo, raggiungibile solamente mediante l'abbandono a Dio e alla sua volontà, si contrappone quella del secondo, intravista solamente al compiersi della vendetta. E nella placida e provocante figura dello shaykh troviamo - ben saldate insieme - la bellezza letteraria e la profondità della mistica islamica.