Il giorno della locusta
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Le locuste divorano Hollywood
Per chi come me vive lontano da casa 10 mesi all’anno, tornare significa anche riscoprire la propria libreria, che ti aspetta insospettabilmente viva e seducente e scovare libri che magari ti eri dimenticato anche di avere. Come questo di N. West, “Il giorno della locusta”, comparso chissà quando e apparentemente molto distante dai miei gusti. Panoramica impietosa sulla Hollywood degli anni trenta, cinico e nichilista, il romanzo chiude la carriera sfortunata di uno scrittore poco apprezzato in vita e che invece oggi il Times pone tra i primi 100 del secolo scorso. Fitzgerald, amico di West (curiosamente i due morirono a un solo giorno di distanza), ha definito questo libro come il più bello scritto su Hollywood.
Quello che stupisce di più è come già nella prima metà del secolo scorso, l’idea della perversione dello spettacolo, della recita di cartapesta dei riflettori che abbagliano, ammaliano e portano alla perdizione orde di sfortunati invaghiti del sogno americano, fosse già così pervasiva e dell’acume con cui West ne intercetta i segni, le deformazioni, i lineamenti distorti. L’occasione è quella classica e semplice di un manipolo di uomini ammaliati da una donna capricciosa e bellissima proiettata all’ascesa e al successo. West è uno scrittore intelligente e anzi il romanzo, pur breve, è puntellato da scene memorabili, come quando Tod, il protagonista, rincorrendo la sfuggente signora, attraversa i set finti dei film in produzione, un regno di carta velina, plastica, trucchi, o come quando la sua ironia fa da controcanto ad una rievocazione della battaglia di Waterloo destinata a sopraffare la precaria stabilità della ricostruzione cinematografica, o ancora la crudele lotta tra galli, con becchi spezzati, ali tranciate, occhi cavati o la climax finale, con la descrizione di una massa informe pronta a mettere a ferro e fuoco Los Angeles, come nel quadro che Tod dipinge fin dal primo capitolo. Ora, pur tra tante scene belle, perché il libro non funziona? Sostanzialmente per l’incapacità di ricreare uno spazio credibile, di rappresentare personaggi con cui empatizzare, anche se negativamente, o in generale il gusto semplice del raccontare. Il giorno della locusta appare un po’ come un rosario: grossi grani separati da fili sottilissimi, con il baricentro tematico continuamente oscillante tra i personaggi e la critica sociale. Certo c’è continuità tra i protagonista e la folla che alla fine, come un banco di locuste affamate, mette a ferro e fuoco la città, ma il passaggio è troppo brusco, troppo studiato e consumato per essere accattivante. Quello che manca a questo libro è il collante, il non necessario, lo sfondo capace di ammaliare chi legge, un po’ come se dopo aver messo gli ingredienti in una planetaria, ci si fosse dimenticati di metterla in funzione. Non è un brutto libro, ma il senso è fin troppo chiaro, le svolte fin troppo strategiche e purtroppo il romanzo finisce per essere, un po’ come la gigantesca pantomima hollywoodiana, un esercizio ben imbellettato. Una maschera di Hollywood.
Morale: mai leggere libri che non vi chiamano. Lasciatevi scegliere.
P.s.: in questo libro compare, tra i personaggi, Homer Simpson, cui gli autori del cartone si ispireranno per il celebre personaggio oramai noto a tutti. Non a caso è anche il meglio caratterizzato e il più piacevole da scoprire.
Indicazioni utili
- sì
- no