Il giardino di Amelia
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Recensione della Redazione QLibri
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Amelia Sybil Mel e il fascino inquietante di Migue
Attraverso tre personaggi femminili, Marcela Serrano affronta con il suo ultimo romanzo “Il giardino di Amelia” temi molto interessanti, alcuni di carattere sociale, altri di interesse politico, senza tralasciare quelli più specificamente letterari. Un intento, il suo, portato avanti con una semplicità narrativa che rende l’opera di facile lettura. Non si tratta certamente di un capolavoro, ma vale la pena considerare i punti più salienti del romanzo dai quali possono scaturire interessanti riflessioni.
La storia si dipana apparentemente intorno al personaggio di Miguel, giovane mandato al confino durante la dittatura di Pinochet per la sua attività contro il regime. In realtà intorno a lui emergono figure di donne portatrici di principi e valori che sembrano coincidere con quelli conservatori delle classi più abbienti, mentre in realtà esprimono idee solidamente sostenitrici dell’emancipazione femminile.
Amelia la signora proprietaria de La Novena, latifondo nel quale Miguel trova rifugio e ospitalità nei momenti più drammatici del suo confino, è una ammiratrice di Elizabeth Gaskell, autrice di un romanzo”Mary Barton” pubblicato nel 1848, che possiamo giustamente annoverare tra i romanzi di carattere sociale. Quello che a prima vista potrebbe sembrare un dettaglio insignificante diviene, a mio avviso, un importante spunto di riflessione. I dialoghi infatti tra Miguel e Amelia vertono spesso su questioni sociali, sulla differenza di classe imperante ai tempi di Pinochet, sul conservatorismo sprezzante delle classi abbienti. Eppure Amelia si sente spiritualmente vicina a Mary Barton, le cui vicende la portano a prodigarsi per i più deboli, così come è nello stesso rapporto tra Mary e suo padre che Amelia rivede in parte la sorte toccata al suo genitore, relegato nell’angolo più remoto del suo cuore durante la sua giovinezza. E qui subentra un altro tema, affrontato nuovamente verso la fine del romanzo, e cioè il tema del perdono. “ In nome di chi o che cosa si può negare la benevolenza del perdono?”
E il perdono distinguerà Amelia, anche quando si sentirà tradita da Miguel e per causa sua subirà le torture del regime. Qui, ovviamente, si potrebbe discutere sulla opportunità di confessare un crimine o un reato commesso, se questo travolge persone innocenti. Qui la politica mostra il suo lato più feroce, poiché pone innanzi l’eventuale salvezza di molti contro la salvezza di un singolo innocente. La scelta non è solo difficile, è drammatica e coinvolge la coscienza del singolo. Difficile giudicare.
Altre due donne, Sybil, cugina di Amelia, con la quale Miguel viene a contatto dopo la sua fuga a Londra, e Mel, figlia di Amelia, subiscono il fascino inquietante e un po' ambiguo di questo giovane.
Proprio Mel, nel tentativo di capire meglio la personalità di Miguel, gli chiederà: “ Sei sempre di sinistra?” E lui: “È difficile smettere di essere di sinistra, una volta che lo sei stato. È una questione chimica, direi. Appoggio tutte le cause giuste, tutte, senza distinzioni. E mi scende una lacrima ogni volta che sento L’Internazionale, non so se mi spiego.” L’ambiguità, tuttavia, permane.
Dal punto di vista più specificamente letterario, la Serrano si affida a diverse tecniche narrative: il racconto procede in terza persona, quando l’autrice vuole mantenere le distanze dai personaggi e dare un’ illusione di imparzialità nel racconto dei fatti, mentre la narrazione di Miguel in prima persona fa sì che il linguaggio si adegui al personaggio, e faccia uso di termini anche volgari, rivelando un aspetto intimo, più nascosto del carattere. Infine i fatti ci giungono filtrati attraverso gli occhi e il giudizio di Mel, della quale risalta la spiccata femminilità. Tutto ciò per offrire al lettore una narrazione quanto più imparziale, basata su diversi punti di vista.
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La storia non decolla
Conoscendo l’autrice da “L’albergo delle donne tristi” mi aspettavo maggiore profondità nella storia, maggiore originalità nei personaggi e invece sono rimasta delusa.
Ho avuto la sensazione di una spiacevolissima superficialità, nella trama e anche soprattutto nel finale che mi è sembrato scontato. Ho sperato fino alla fine in qualcosa di migliore, in qualche passaggio sublime che giustificasse la lettura, ma non è arrivato. Dirò di più: se l’autrice volesse passare per femminista, a conti fatti non lo è. Basti pensare a questo Miguel Flores, dinanzi al quale capitolano tutte le donne importanti che ruotano attorno alla protagonista, Donna Amelia. L’unica che non lo porta a letto, scusate la brutalità.
Lo sfondo storico nel quale la storia si è ambienta è interessante: siamo in Cile, sotto la dittatura di Pinochet e Miguel Flores è un esule politico che trova asilo presso la ricca vedova latifondista donna Amelia, proprietaria della Novena, che lo accoglie sotto la sua ala protettrice.
Il luogo in cui lei abita è un locus amenus, natura, albe, tramonti, fiori magnifici, frutta rigogliosa da gustare e una ricchissima biblioteca.
Il paradiso. E lei è la regina incontrastata, servita, riverita, con una storia alle spalle interessante, intelligente, dai pensieri profondi che il lettore sottolineerà a profusione.
Interessanti le riflessioni sulla tortura come aggressione che toglie anima ed umanità, meravigliosi i passaggi sulla lettura e sull’infanzia come paradiso perduto.
Ma finiscono qui le note positive.
Miguel, molto più giovane di lei, tradirà la sua fiducia nascondendo nelle terre della Novena delle armi e, quando verrà scoperto, lui riuscirà a scappare, ma la sua povera benefattrice subirà le torture dagli scagnozzi del regime per colpa sua.
Dopo tanti anni di lontananza, Miguel, divenuto scrittore famoso di libri per bambini, vissuto completamente senza sensi di colpa in Inghilterra, preso dalla nostalgia e dalla gratitudine cercherà di tornare in Cile, ma… lascio a voi scoprire il resto.
Ho avuto la sensazione di girare come una falena impazzita attorno ad una lampadina, la lettura non mi ha dato soddisfazione e non mi ha lasciato quasi niente. Mi sento ingannata, perché le prime trenta pagine mi avevano incantata.
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Doña Amelia
Siamo in Cile, a metà degli anni ottanta, sotto la dittatura del generale Pinochet. A causa di un cane, due persone molto eterogenee si trovano a contatto.
Da una parte abbiamo il giovane sovversivo Miguel Flores che mentre è in fuga dalla polizia si ritrova a inciampare in un cane e quindi arrestato. La sentenza è delle più semplici, l’esilio. La sua metà è un paesino di campagna a qualche ora dalla città e li incontrerà la Signora Amelia, una ricca latifondista.
“E lei grandissima stronza, la oligarchia in odore di fascismo solo per questioni di classe, sfruttatrice di contadini, lei ti ha teso una mano”.
Marcela Serrano ci porta nella sua terra e ne racconta le ingiustizie e le sue incongruenze. La storia affronta temi importanti come l’esilio, la vita di campagna, la lotta di classe, la fiducia, la tortura e il perdono. A differenza di “Dieci donne” qui ho trovato una Serrano un po’ più superficiale. Sono molte le cose che dice, ma sono molte di più quelle che non dice. Se molte le possiamo immaginare grazie alla lettura di altri testi e quindi colmare le lacune con quelle, rimane comunque il fatto che la Serrano non mi ha mai fatto entrare nella storia. Alla fine della lettura la sua scelta può essere comprensibile quando i “nodi vengono al pettine”, ma non sufficiente per scusarla.
Mi aspettavo un testo diverso conoscendo “le corde” che quest’autrice è capace di toccare; questa volta sono poche le corde toccate, direi solo leggermente “pizzicate”. Importante come sempre l’argomento scelto, mai dimenticare un passato, poi così non proprio lontano..
“Ascoltami bene, gli aveva detto, ora ti leggo un pensiero di Imre Kertész, lo scrittore ungherese che poco tempo fa ha vinto il Nobel: “Nessuna persona torturata, nessuna, rimane senza macchia, lo so perfettamente e non chiedermi perché. Non potrai mai più parlare di innocenza, al massimo di sopravvivenza””.
Buona lettura.