Il dottor Zivago
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Due cuori spezzati
Una delle scene che mi fanno più sognare è quando i due amanti, dopo mille vicende, si ritrovano in una casetta sperduta dentro a un boschetto e in cui vivranno gli ultimi istanti felici della loro esistenza, prima che la vita li riporti alla triste realtà.
In questa parte centrale del romanzo, lo scrittore finalmente libera tutta la propria arte e crea un quadro idilliaco, descritto in ogni minimo particolare (una menzione speciale va al bucato e ai profumi che diffonde nell'aria dando alla scena un idea di pulizia e di tranquillità assoluta.....lo so par strano esaltare una scena in cui si lavano dei vestiti, ma in quel dato contesto dove fino a poco prima c'erano caos e sporcizia ovunque, in questa scena invece si ricrea un immagine finalmente in cui le persone tornano a uno stato umano).
Il libro ha avuto fortune contrastanti nel corso dei decenni, è stato per molto tempo messo al bando in Russia.
La lettura è abbastanza scorrevole e non sempre l'artista riesce a tenere alta l'attenzione di chi legge, ma oltre alla suddetta scena c'è ne sono altre, con anche lo sfondo della guerra che sono vivide e potenti, come la scena del soldato torturato ma lasciato in vita come monito.
La guerra fa da sfondo a questa controversa storia tra due anime tormentate che si perderanno e poi ritroveranno in un crescendo di amore e terrore.
E' un libro che non lascia indifferenti, poichè la grande capacità di Pasternak è quella di riuscire a calarci completamente nelle vicende narrate, di farci provare il sapore amaro di stare in prima linea contro il nemico.
Si hanno infinite rappresentazioni teatrali e cinematografiche di questo capolavoro senza tempo, ma difficilmente si può mettere in scena e rappresentare la grandiosità della mano dello scrittore russo, che ha fatto della guerra un quadro vivido e atroce e in mezzo al delirio delle armi è riuscito a creare un momento di poesia e di felicità che sono una speranza per chi vuol credere che comunque e malgrado tutto, c'è sempre un po di bellezza che ci salverà.
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Stile comunista?
Romanzo dalla storia editoriale nota, censurato in patria, osannato nel mondo, viatico per un Nobel, a mio avviso meritato. È un romanzo imperfetto eppure bellissimo, perfetto compendio di vita e di storia, sintesi di queste arcane forze motrici la cui mobilità non è dato scorgere nel suo divenire, venendo invece a palesarsi in un breve attimo, quello capace di rendere consapevoli dei cambiamenti.
Si poggia su un nutrito e complesso sistema di personaggi, ruota però intorno al suo protagonista, vera forza centripeta. Si può provare un senso di smarrimento rispetto alla gestione di questi personaggi anche perché l’autore nella prima parte del romanzo li presenta, li mette in scena, li fa interagire fra di loro e ne intreccia le relazioni presenti e gli sviluppi futuri per poi tirare sapientemente le fila, regista mirabile, nella seconda parte. Un altro scoramento nel lettore può derivare anche dalla ripartizione interna delle due parti, suddivise in grandi sottosezioni a loro volta scandite da brevi capitoletti che possono giungere anche al numero trenta. Eppure, proprio questa struttura permette di superare la prima parte per immergersi poi nella seconda, stupenda, incalzante, decisiva.
È la storia personale di Jurij Andrèevic Živago, un uomo dentro la Storia, con la Storia, contro la Storia, inghiottito da essa e sputato, vuoi per il suo sapore disgustoso, vuoi per la sua essenza indigesta. Un orfano di padre ricchissimo , caduto in disgrazia e morto suicida; entra in scena bambino quando gli sta morendo la madre, cresciuto grazie allo zio che gli instilla un certo tolstoismo, una matrice pacifista, uno spirito indipendente e avulso da ogni velleità rivoluzionaria. È il racconto della sua evoluzione come uomo fuori e dentro la Storia, da essa segnato e forse anche vinto, dei suoi grandi amori, impossibile ridurre tutto a Lara, della sua passione per la scrittura, del suo slancio creativo disperso nel nulla storico, della sua misera fine e della sua bella vita.
La realtà storica è quella che vede svanire i sogni utopici, tramutati in abominevoli e cruente violenze, senza che si riesca a fermare l’apparente immobilismo della Storia stessa: le prime barricate del 1905, la guerra mondiale, la rivoluzione, la guerra civile. Si vive storditi nella grandezza storica del momento, incapaci di aderire al nuovo stile, lo stile comunista. Tutto è cambiato, soprattutto per chi dall’agiatezza è sprofondato nella miseria più nera, come gli altri, come tutti. Qualcuno nel frattempo sogna invece di fare la Storia, ma nessuno fa la Storia, nessuno la può fare, ci si ritrova solo in mezzo. Intanto la Natura segue i suoi ritmi, supera le stagioni, ne insegue delle altre, e su tutte trionfano i rigidi inverni, impietosi o le brevi primavere incapaci di far maturare un germe di grano e la terra è rotta, sconquassata, attraversata da lupi famelici. Quale forza può far sopravvivere un uomo in tali circostanze, se non viene ucciso dalla più pericolosa minaccia che altro non è se non la razza umana?
Semplice! L’amore.
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L'AMORE AL TEMPO DELLA RIVOLUZIONE
Se si volesse stabilire qual è l’ascendente letterario più diretto del “Dottor Zivago” di Pasternak ci si imbatterebbe in una impresa non semplice. In primis, è fin troppo scontato trovare analogie con i grandi romanzi tolstojani, soprattutto con “Guerra e pace”, vuoi per il comune carattere di romanzi storici (là l’invasione napoleonica, qua la rivoluzione russa), vuoi per il tipo di narrazione ad ampio respiro, che attraversa come un fiume maestoso interi lustri e generazioni, vuoi ancora per il modo di tratteggiare i personaggi, ricchi di sfumature psicologiche eppure inequivocabilmente destinati a diventare figure archetipiche. Ciononostante l’equivoco non reggerebbe a lungo. Pasternak, lungi dall’essere un epigono di Tolstoj, ha uno stile, un modo di rapportarsi ai suoi protagonisti e soprattutto una concezione della Storia molto diversi. Per quanto riguarda quest’ultima, ad esempio, Zivago stesso rileva come la Storia non è diretta solamente da forze e disegni che trascendono l’uomo e lo riducono (vedi Napoleone e Kutuzov) al ruolo di mera marionetta del destino, ma, similmente ai mutamenti della natura, essa è in perenne, inavvertibile trasformazione, alla quale partecipa con il suo insostituibile contributo l’umanità intera, anche la più infima, e anzi solo personaggi mediocri e perniciosi ne forzano improvvidamente il corso ineluttabile e regolare facendo deviare gli eventi verso repentine trasformazioni e rivolgimenti come le guerre o le rivoluzioni.
Per ciò che concerne lo stile, invece, Pasternak è molto meno regolare, classico, di Tolstoj. Non è tanto un problema di sintassi, quanto di equilibrio interno dell’opera: la stessa suddivisione del libro in capitoletti brevi consente una prosa più spezzettata, ellittica (vedi il modo in cui il lettore scopre, a cose ormai fatte, che Lara è diventata l’amante di Komarovskij), ricca di diversioni narrative (tutta la parte intitolata “La grande strada” lascia ad esempio in disparte i protagonisti per dedicarsi a figure minori, destinate a scomparire presto, eppure degne per lo scrittore di un interesse per così dire manzoniano), che non sarebbe improprio definire impressionista. Il ritmo del romanzo non è affatto monocorde: a volte si concentra per lunghe pagine su singoli episodi, altre volte scivola come se niente fosse attraverso interi anni, in alcuni casi prevale la terza persona del narratore, in altri (le pagine del diario di Zivago) prende direttamente la parola il protagonista, in altri casi ancora sono i dialoghi a dominare. Le numerose parti dialogate del “Dottor Zivago”, che spesso costituiscono dei veri e propri momenti di sospensione della trama introducendo dei temi apparentemente incongrui come l’arte, la filosofia o la politica, gli conferiscono un carattere inconfondibilmente ideologico, che ricordano le appassionate conversazioni presenti nei capolavori di un altro grande scrittore russo, Fedor Dostojevskij.
Né Tolstoj, come si è visto, né Dostojevskij sono comunque i modelli cui fare riferimento per interpretare in maniera corretta Pasternak. A distinguerlo dai due sommi maestri, e ad apparentarlo invece ad altri autori dell’800 come Cechov e soprattutto Puskin, è una caratteristica che non mi sembra sia stata finora messa sufficientemente in evidenza dai critici, fuorviati dall’aspetto peculiarmente politico del romanzo: intendo riferirmi alla descrizione appassionata della natura (e più ancora del suo effetto sugli esseri umani e sulle loro azioni) che contrappunta tutta la storia di Lara e Zivago. E’ possibile riscontrare questa caratteristica fin dalle prime pagine del romanzo: dalla tormenta di neve di pag. 8 (“dal cielo, sdipanandosi giro su giro da matasse senza fine, un bianco ordito cadeva sulla terra avvolgendola in un sudario. Non era rimasta che la tormenta al mondo, sola e incontrastata”), cui assiste il piccolo orfano Jurij, al disgelo di pag. 39 (“Il tempo migliorava faticosamente. ‘Tac, tac, tac’, insistevano le gocce sulla lamiera delle grondaie e dei cornicioni. Ogni tetto batteva messaggi al tetto accanto come in primavera”), che accompagna la disperazione di Lara al rientro a casa la notte in cui ha perso la verginità; dal gelo di pag. 64 (“Il freddo gelava. Un ghiaccio nero, erto come fondi di bottiglie di birra, ricopriva le strade. Faceva male respirare. L’aria densa di brina grigiastra pizzicava”), la sera in cui Lara tenta di uccidere Komarovskij con la rivoltella, alla notte di luna piena di pag. 114 (“La notte illuminata dalla luna era stupefacente come la misericordia o come il dono della chiaroveggenza”); dalla natura respirata in treno da Jurij a pag. 126 (“Per tutto il tragitto fu sempre la stessa cosa. Dappertutto folla che rumoreggiava, dappertutto tigli che fiorivano. L’incessante alitare di quel profumo sembrava precedere il treno in corsa verso il nord, come una voce di popolo che volava sui caselli, sulle stazioni spopolate”) alle innumerevoli altre pagine (come l’arrivo della primavera durante il viaggio di Jurij e della sua famiglia alla volta degli Urali) in cui non si sa se è più la natura a influenzare l’animo dei protagonisti o è invece l’acuta sensibilità di questi ultimi a sentire la natura in quel modo. “C’era come una segreta corrispondenza fra il mondo morale e il mondo fisico”, afferma Pasternak, e perfino, aggiungo io, tra i colori della natura e i colori del mondo. E alla fine, più che la storia d’amore tra Lara e Jurij, a rimanere impresso nel lettore è soprattutto il monotono eppur lirico avvicendarsi delle stagioni, in quello sterminato, generoso e sovrabbondante paesaggio russo che si riverbera magicamente in mille sfumature sempre diverse, implacabile, spesso ostile, ma capace di ammaliare chiunque.
Resta da dire di ciò che ha determinato la fortuna del romanzo e che ha aperto a Pasternak la strada del premio Nobel. La storia di Zivago, uomo idealista e sognatore, si sviluppa parallelamente a quella della rivoluzione russa, dai moti del 1905 fino allo stalinismo, e non è difficile scorgere nelle sventure e nelle omeriche peregrinazioni del protagonista, il quale all’inizio, come molti, aderisce istintivamente alle istanze rivoluzionarie come un’occasione di giustizia umanitaria ma in seguito rimane deluso dagli esiti nefandi del bolscevismo fino ad essere visto con sospetto dalle autorità al potere, un riflesso individuale di quella che è stata una delle più immani tragedie collettive del secolo scorso. L’abnegazione totale e incondizionata con cui egli dedica le sue energie migliori all’arte e all’amore diventa così, di fronte alla resa opportunistica e vigliacca di gran parte della società del tempo, l’unico grido di protesta possibile nei confronti di un sistema prevaricatore e illiberale, che come un famelico Moloch esige sull’altare del materialismo più ottuso la rinuncia ad ogni autonoma volontà del singolo e il sacrificio delle istanze spirituali dell’uomo.
La scelta di mettere in primo piano la semplice e romantica storia d’amore tra Lara e Zivago per raccontare in forma di epopea la tragedia di una generazione non è però scevra di rischi. A lungo, soprattutto nella prima parte del romanzo (quella, tanto per essere più precisi, che culmina nel soggiorno di Meljuzeev), aleggia uno spirito non troppo dissimile a quello di un “drammone” tipo “Via col vento”, e non è un caso che il film di David Lean che contribuì negli anni ‘60 a fare la fortuna del romanzo ne abbia privilegiato le componenti più melense e melodrammatiche. C’è poi una certa meccanicità da racconto d’appendice nel modo in cui avvengono incontri, agnizioni e snodi narrativi, così come un che di forzato si ritrova nei personaggi secondari, i quali ci vengono tutti presentati con dovizia di particolari all’inizio del romanzo e che ritroviamo poi invariabilmente in ruoli chiave, non solo della vicenda ma persino della Storia (per giunta, come l’Antipov-Strelnikov marito di Lara, con un ardito coup de theatre degno di un Dumas), enfatizzando così oltre ogni ragionevole misura il loro ruolo simbolico (si veda a questo proposito il misterioso fratellastro di Zivago Evgraf il quale, apparendo nei momenti più critici della storia a tirare fuori dai guai il protagonista, diventa un chiaro emblema della provvidenza divina). Al di là di questi ovvi limiti, “Il dottor Zivago” è capace di raccontare un periodo cruciale della storia del XX secolo senza pregiudizi politici e semplificazioni ideologiche e, soprattutto, con una immediatezza emotiva che ci era finora sconosciuta, scoprendo il velo a un orrore così profondo e diffuso da assumere un’intensità a tratti quasi irrapresentabile.
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NON CONTA LA META, GODITI IL VIAGGIO
Prendere (o riprendere) un "classico" è sempre una emozione. Se non lo hai mai "avvicinato" probabilmente lo vedrai come un mostro sacro, altrimenti come fonte di ispirazione (almeno io).
Leggere Il Dottor Zivago ti fa capire che non conta la meta, conta il viaggio. Non ci sono enigmi da svelare, assassini da smascherare: c'è solo (si fa per dire) la piacevolezza del viaggio, della lettura. Ecco perché non li deve leggere con fretta ma con tutta la calma e la riflessione che richiede.
Zivago è un'opera immensa che sullo sfondo della tragica rivoluzione russa dipinge due personaggi che rimarranno nella storia della letteratura, ma anche una trama avvincente, innovativa. Mai noiso, mai banale. Una lettura che ti apre cuore e mente e sopratutto ti incuriosisce, ti stuzzica l'intelletto ad approfondire, conoscere o solo annusare altri classici.
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Amore e rivoluzione
I primi decenni del ventesimo secolo non sono certo un periodo tranquillo per la Russia: la prima guerra mondiale, una rivoluzione fallita, un'altra riuscita ma solo attraverso una vera e propria guerra civile, uno stravolgimento totale del modo di pensare e di vivere della popolazione. In questo contesto scorrono le vite dei due protagonisti del romanzo di Pasternak, il medico Jurij Andrèevic Zivago e la bellissima Lara. Due esistenze che procedono parallele senza entrare in contatto se non di sfuggita, finché un destino comune non le farà incrociare. Due personaggi uniti da una sorta di avversione rispetto agli eventi storici del momento da cui si vedono travolti loro malgrado, ma che in qualche modo sono complici di un incontro che farà nascere tra loro una grande quanto tragica passione. Testimonianza di un periodo di notevole interesse storico e politico, questo libro prova a conciliare cronaca e filosofia, amore e guerra, virtù e vizi, in parte riuscendoci, in parte un po' meno. Spiccano dal punto di vista stilistico alcuni passaggi particolarmente virtuosi e le bellissime e sempre varie descrizioni dell'inverno siberiano, ma per il resto l'amalgama dei vari elementi a disposizione dell'autore non appare del tutto riuscita. L'analisi storica si sofferma spesso su particolari poco rilevanti tralasciandone invece altri che probabilmente sarebbero stati di maggior interesse, quella politica esprime una velata critica alla rivoluzione bolscevica poco argomentata e in un certo senso scontata visto il palese spirito religioso che pervade l'opera. L'esposizione del pensiero filosofico dell'autore avviene attraverso tediosi brani che troppo raramente esprimono concetti veramente originali e stimolanti. La stessa storia d'amore tra Zivago e Lara appare piuttosto piatta, la consistenza della passione fisica e spirituale che li lega si percepisce appena e rarissimi sono i momenti in cui il lettore si sente veramente coinvolto. Certamente il valore dell'opera è fuori discussione ma da un libro che è considerato quasi unanimemente uno dei più belli e interessanti del novecento e che ha fruttato un premio nobel al suo autore ci si aspetta qualcosa in più.
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- sì
- no
Grande madre Russia
Classico della letteratura e del cinema. Del film ti rimane impresso il personaggio di Lara e la sua storia d’amore. Nel libro ti colpisce di più lo sfondo storico e paesaggistico. A tratti è un libro difficile da leggere e poco scorrevole, soprattutto nei primissimi capitoli; ci sono forse un po’ troppi monologhi che sono un po’ un pretesto per esporre il pensiero filosofico dell’autore, ed anche un po’ troppi personaggi, soprattutto troppi nomi da ricordare!!! Il ritmo è un po’ lento ed i dialoghi fra i personaggi non sono proprio entusiasmanti: lo stile di questo autore non risulta quindi molto immediato, però è decisamente un romanzo nobile, che può amare solo chi ama lo stile dei classici, perché va letto con estrema pazienza. La ragione per cui l’ho apprezzato di più è il fatto che si può definire un vasto affresco della vita sociale della Russia agli albori del secolo.