Il diavolo in corpo
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Tormentato, possessivo e spregiudicato
IL DIAVOLO IN CORPO (Raymond Radiguet)
La lettura di Japrisot ("La cattiva strada") mi ha portato inevitabilmente a questo romanzo...
I libri sanno sempre come concatenarsi, praticamente decidono per te.
Anche Radiguet (come Japricot) scrisse questo libro non ancora diciottenne, ed anche lui ci racconta una storia di amore e di passione non socialmente accettabile a cavallo della Guerra Mondiale, stavolta la Prima.
Una storia forse parzialmente autobiografica, che vede nuovamente protagonisti un adolescente ed una donna più grande (benché la donna in questione abbia solo 18 anni, ma agli inizi del '900 era considerata già "adulta").
Stavolta niente tonaca per lei, ma un matrimonio ed un marito al fronte, e poi ancora il desiderio e la sfrontatezza che non viene meno neanche di fronte ai giudizi della gente, e poi di nuovo la guerra a fare da "complice" alla felicità degli amanti.
Radiguet scrive di un amore tormentato, sorpendentemente possessivo e spregiudicato se si considera la situazione e la condizione del ragazzo, un sedicenne con l'intraprendenza e il cinismo di un uomo maturo e l'egoismo smisurato proprio della sua giovane età.
Una storia intensa e intensamente tragica, dove ho percepito uno strano squilibrio ed una forma di amore "sottomesso" da parte di lei che, personalmente, ho trovato poco credibile.
Comunque un romanzo audace e, considerando gli anni in cui è stato scritto e quelli del suo autore, non mi sorprende fosse considerato scandaloso.
Purtroppo appena due anni dopo aver scritto quest'opera, Radiguet morì di febbre tifoide, a soli 20 anni...il ragazzino capace di scrivere come un adulto, il ragazzino amante di Stendhal, Rimbaud e Proust, il ragazzino fondatore (con Cocteau) della rivista d'avanguardia "Le Coq"...non diventerà mai un uomo.
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"Quell'imprudenza mi affascinò..."
E' la storia dell'apprendistato erotico-sentimentale del sedicenne François, personaggio che si racconta attraverso ghirigori psicologici dal sapore proustiano. Si tratta di un Proust più passionale ed egoista, certamente meno romantico, e sono solo poche pagine, ma dense di immagini emblematiche che si imprimono nella mente del lettore.
Innanzitutto, l'incontro fatale del protagonista con Marthe, che scende dal predellino di un treno ancora in movimento: “Quell'imprudenza mi affascinò. Il suo vestito, il suo cappello, erano la prova della sua poca stima per l'opinione degli estranei”.
E' la prima scintilla di una passione nascente che diventa fin dall'inizio complicità, mentre dietro dialoghi in apparenza banali già si consuma il tradimento della donna verso il suo uomo al fronte, sottilmente messo in ridicolo.
La Prima Guerra Mondiale - definita con candido cinismo già nell'incipit “quattro anni di grandi vacanze” - sarà complice della relazione adulterina, mirabilmente rappresentata dal gesto di Marthe, che getta nel caminetto le lettere del marito soldato davanti al giovane amante.
Lei, ebbra d'amore, tutto sacrifica ai capricci infantili dell'amato infischiandosene dei pettegolezzi, e intanto respinge con fastidio le tenerezze del coniuge tornato per pochi giorni in licenza.
La scoperta del sesso acuisce in François, anziché placare, un odio inconscio che nel suo animo va di pari passo con l'amore: “Ce l'avevo con Marthe, perché dal suo viso riconoscente capivo tutto il valore dei legami carnali. Maledicevo l'uomo che prima di me aveva risvegliato il suo corpo”.
E' l'apoteosi della bramosia amorosa, che tutto infiamma e brucia nel suo cammino tra luci ed ombre, bugie e un paio di tradimenti che non lasciano rimorso: “Quanto meno speravo di trovarci piacere, ma ero come il fumatore abituato ad una sola marca”.
L'inizio della fine è l'immagine dei due sotto una pioggia fredda, lei incinta ed esausta, lui che finge di cercare un albergo dove trovare riparo, preso in realtà da smanie crudeli, dalla voglia di infierire su un'amante schiavizzata: strano e patetico quadretto di Sacra Famiglia in salsa profana.
L'educazione sentimentale del ragazzo si concluderà con un dolore acuto, ma che si percepisce destinato alla guarigione, curato dalla madre “come se si fosse trattato di una scarlattina”. Cadrà in piedi, almeno lui, riservando all'epilogo drammatico di una pagina della sua vita parole venate di un egoismo quasi beffardo: “Capii che, alla lunga, l'ordine si dispone da solo nelle cose”.
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un amore egoistico
Non è scritto male, forse lo è solo l'idea d'amore proposto che è totalmente sbagliata. Chiarisco che non è sbagliata la coppia giovane adolescente e donna sposata, poiché lei non è molto più grande di lui. A quei tempi, le donne si sposavano molto giovani. Ad essere sbagliata nella visione di Pupottina è l'amore totale e devoto che lei dà a lui, che la ripaga con un amore egoistico e che le porta sofferenza. E' vero che i personaggi soffrono entrambi, ma sicuramente è lei quella che soccombe e che non potrà rifarsi una vita. Nonostante tutto lei, Marta, riesce a lasciare al marito in dono il figlio avuto dall'amante di cui è rimasto sempre ignaro. Al marito tradito è rimasto il senso di un amore assoluto che lei ha avuto verso di lui.
Non tutti alla fine sono stati felici e contenti. Certo è che l'ordine, a lungo andare, si ristabilisce da solo intorno alle cose.