Il diario perduto di Frida Kahlo
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FRIDA KAHLO IN TUTTE LE SALSE!
Alexandra Scheiman decide di scrivere la biografia romanzata della grande pittrice messicana cogliendone principalmente la dimensione gastronomica e onirica, in un’opera che riflette l’arte composita ravvisabile in ogni dipinto di Frida.
Il filo conduttore dell’opera è il patto con la morte (“la Madrina”) che Frida stipula sul letto d’ospedale, ove viene ricoverata perché vittima di un tragico incidente dal quale si salva in modo miracoloso (“Quando si sveglia, capisce due cose: che il suo destino era quello di sopravvivere, e che i suoi giorni saranno un calvario”): da quel momento, ogni anno – il giorno dei morti – un misterioso cavaliere torna a farle visita (“La Casa Azul è un luogo in cui gli amici e i conoscenti sono ricevuti con gioia, e il cavaliere è una vecchia conoscenza della padrona…”) e le offerte gastronomiche serviranno a rimandare di un anno l’appuntamento con la morte (“Ricorda anche che ogni anno dovrai portarmi un’offerta”).
Bambina strutturalmente fragile (“La poliomielite non paralizza Frida, ma la lascia con una gamba più piccola dell’altra”), figlia di genitori che non si amano (“Da papà Guillermo, il tedesco, la ragazzina ha preso la cocciutaggine, da mamma Matilde l’alterigia di tutte le donne della nobiltà messicana”), alla propria sfortuna Frida oppone vitalità, creatività (“Disegnare non è una novità per Frida, i suoi quaderni di scuola sono selve di volti, paesaggi, scenette spiritose, e più di una volta ha aiutato Guillermo a ritoccare le fotografie…”) e tenacia.
Incontri saffici (“la sua anima gemella, che tutti chiamano Tina” Modotti), il tormentato matrimonio con il più grande pittore muralista messicano, Diego Rivera (“Alla notizia che Diego ha chiesto in sposa la piccola Frida, Tina non sa se piangere o ridere”), la relazione con Trotsky e gli incontri parigini con i sureralisti (“Trotsky fa un brindisi, alzando il bicchiere di tequila. Diego tace e gli siede accanto… Il surrealista André Breton è arrivato dalla Francia…”) non inibiranno i dolori (“I suoi ritratti le ricordano che ormai è solo una caricatura della sposa che Diego ha posseduto alle pendici dei vulcani, una parodia della principessa azteca che ha conquistato gli Stati Uniti, una grottesca imitazione della donna che ha amato artisti, pittori e un rivoluzionario russo”) e il tormento, vistosamente ritratti nei suoi dipinti.
Il romanzo, pur essendo scorrevole e avvincente, a parer mio è troppo ibrido: ogni capitolo si chiude con ricette etniche messicane (“Ecco, sono già dentro lo stesso mondo fatto di spezie, peperoncini, zuppe”) che spezzano la tensione narrativa richiesta dalla vita intensa e travagliata di Frida Kahlo.
Bruno Elpis