Il commesso
Editore
Recensione Utenti
Opinioni inserite: 10
Umane incertezze e desiderio di altro...
In una intervista Bernard Malamaud dichiarò: “ …. sono americano, sono ebreo, ma nella mia vita c’è’ molto di più del mio essere ebreo. Io scrivo per tutti coloro che vogliono leggere “….Ed inoltre…” il romanzo “ Il commesso “ è ispirato soprattutto alla vita di mio padre, al suo lavoro di droghiere, se non necessariamente alla figura di mio padre”…
Una iniziale connotazione autobiografica e religiosa, rappresentazione di se’ e del proprio mondo, per approdare ad altro, in primis a quell’ amore sconfinato per letteratura ed insegnamento, passioni di una vita e sguardo allargato ad abbracciare essenza e fragilità della condizione umana e ad oltrepassare ciò da cui tutto ebbe origine.
Trama ed intrecci del romanzo abbracciano la sfortunata esistenza del commerciante Morris Bober, uomo onesto e buono, ebreo nella espressione quotidiana di se’, affranto per tutta la vita dalla certezza di averla sprecata e da una condizione di povertà, impossibilitato ad offrire una esistenza dignitosa alla propria famiglia, inseguito ed oltraggiato da un destino crudele, dalla malasorte e dalla propria ingenua passività e benevolenza, sepolto per sempre nel proprio negozio.
La sua condizione da sempre lo ha illuso di potersi fidare ed affidare ad ambigue e losche figure, in primis a Frank Alpine, un vagabondo di origine italiana insinuatosi subdolamente nel suo negozio e nella sua famiglia condizionandone ed indirizzandone i destini con alterne fortune consegnandosi all’amore sofferto per la giovane e tormentata Helen, figlia di Bober.
Un intreccio narrativo costruito su relazioni interpersonali e tratti caratteriali specifici in una comunanza di essenza e desiderio per un destino al quale i protagonisti si ribellano ma che puntualmente ritorna.
Una realtà malinconicamente presente e descritta nell’ incedere quotidiano, velata di ironia, solitudine, sofferenza, un passato ed un presente di stenti, l’ incertezza del vivere, la miseria, ma anche sogno, speranza, volontà di riscatto.
Una trama umanamente profonda con una sensibilita’ stupefacente, indubbiamente tragica e con tratti paradossalmente comici, uno stile essenziale, realistico, scarno a rappresentare disuguaglianze e separazioni che si fanno condivisione e senso di appartenenza a dispetto di istanze e precetti socio-religiosi.
Ed allora è più importante conservare ideali di fede o avere ideali comuni, tenersi il meglio di se’ o ravvivare l’ amore nelle proprie esistenze?
In ciascuno dei protagonisti convive un duplice se’, tratti di sensibilità e fragilità estrema, sospensione del desiderio, illusione e speranza, inseguiti dal proprio passato e da una coscienza che ossessivamente ritorna ma che stenta ad affermarsi, sospesi tra inganno e onestà, confessione e silenzio, salvezza e perdizione.
Un dubbio pervade l’ opposizione e complementarietà bene-male insita nell’ umano agire ed una conversione religiosa ( quella di Frank ) avvenuta per amore, riparazione di un danno, espiazione di una colpa, o essenza accompagnata dalla coscienza di una sofferenza divenuta propria.
Un filo comune che segue vicende e tragicità supera l’ egocentrismo per identificarsi con l’ altro, semplice essere umano guidato da passioni e desideri e dalla propria fragile istintualita’.
Indicazioni utili
L’ideale dell’ostrica a Brooklyn
Bernard Malamud è considerato uno dei padri della letteratura ebraico-statunitense del secondo dopoguerra, accanto a nomi come Saul Bellow, Norman Mailer, J.D. Salinger e altri, cui seguirono autori ancora attivi quali Philip Roth, Chaim Potock e Paul Auster, tanto per citare i più noti.
Tra la fine degli anni ’40 e il decennio successivo gli Stati Uniti vissero, in seguito alla vittoria della guerra e a tutto ciò che questo comportò in termini economici, lo straordinario boom che avrebbe cambiato per sempre la società: furono anni in cui venne confezionato il sogno americano di una nazione in grado di offrire a tutti una possibilità. Questo sogno era però basato, esattamente come ora, sull’esaltazione della competizione, sulla colpevolizzazione e sull’abbandono di chi non ce la faceva, oltre che sull’instillazione scientifica della paura del diverso, soprattutto del comunista, al fine di esercitare un rigido controllo politico volto a estirpare qualsiasi voce che mettesse in discussione seriamente il sistema.
Anni esaltanti, per certi versi, ma anche crudeli per una parte non indifferente della popolazione. Il disagio sociale e esistenziale che quel modello di società – in tumultuosa evoluzione e basato su un darwinismo sociale appena mitigato dalle nascenti politiche di welfare – creava, colpiva maggiormente quelle componenti del melting pot provenienti da aree diverse e legate a tradizioni culturali non identificabili con quella dominate, di matrice anglosassone.
Non è un caso, quindi, che proprio in questo periodo – dopo sporadici antefatti quali 'Chiamalo sonno' di Henry Roth (1934) o le opere di Nathanael West – si sviluppi una specifica letteratura ebraico-statunitense i cui autori, quasi sempre emigrati o figli di emigrati dall’Europa, hanno in comune il tema dell’analisi delle contraddizioni che la società nordamericana apre rispetto all’essere ebreo, tema esplorato ovviamente a partire dalla diversa sensibilità e con le svariate modalità espressive di ogni autore. Ovviamente il fatto che questa generazione di autori si trovi a scrivere pochi anni dopo la shoah non è irrilevante nel determinare il tono complessivo della loro opera.
Bernard Malamud si inserisce in questa corrente narrativa con una propria, pacata specificità. La sua opera, fatta di alcuni romanzi e numerosi racconti, non presenta la profondità analitica di Saul Bellow o la visionaria violenza di Norman Mailer: si caratterizza piuttosto per un realismo desolato che rifiuta qualsiasi sperimentalismo espressivo e mette in scena attraverso una prosa piana e attenta ai dettagli storie di ordinaria solitudine e desolazione, storie di vinti dalla società ma anche storie di possibilità di una redenzione, legata per lo più al riconoscimento e all’accettazione della propria condizione.
In questo senso 'Il commesso', secondo romanzo dell’autore, edito nel 1957, è a mio avviso un’opera paradigmatica della poetica di Malamud, e può essere letta in continuità con i suoi maggiori racconti, non a caso scritti negli stessi anni.
Il romanzo narra di Morris Bober, ebreo immigrato decenni prima dalla Russia zarista, che ormai sessantenne è proprietario di un negozio di alimentari in un quartiere popolare di Brooklyn abitato quasi solo da gentili. Il negozio, piccolo e poco fornito, va molto male, perché nei dintorni ne sono stati aperti di nuovi, tanto che Bober pensa di venderlo, anche se sa che vi ricaverebbe ben poco. Bober ha una moglie, Ida, che lo aiuta nella gestione del negozio, e una figlia ventitreenne, Helen, frustrata sia perché deve fare la segretaria per aiutare la famiglia, mentre vorrebbe andare all’Università, sia perché sente il tempo scorrerle via senza riuscire ad avere una vita sentimentale degna di questo nome.
La situazione peggiora ulteriormente quando Bober viene rapinato da due giovani mascherati, uno dei quali lo colpisce alla testa ferendolo seriamente. Pochi giorni dopo, tornato giocoforza in negozio seppure ancora debole e fasciato, Bober conosce un giovane vagabondo che da poco frequenta la zona, un venticinquenne italiano di nome Frank Alpine, proveniente dall’ovest. Nei giorni successivi scopre che Frank dorme nella cantina del negozio, rubandogli latte e pane per fare colazione. Frank, per farsi perdonare, si offre di lavorare gratis in negozio, e Bober accetta nonostante la diffidenza della moglie, commosso dalla povertà del ragazzo e dalla sua volontà di riscatto.
Frank si dimostra un ottimo commesso, affabile e competente, tanto che gli affari del negozio vanno meglio. Ida però continua a diffidare di lui, sospettando che miri ad Helen, prospettiva a cui è nettamente contraria essendo il giovane uno spiantato e per di più un 'goy'.
In effetti, dopo un periodo di indifferenza da parte di Helen, alle prese con un senso di colpa per una sua precedente relazione, tra i due nasce una amicizia che presto si trasforma in qualche cosa di più profondo.
Quando gli affari del negozio ricominciano ad andare male, a causa della concorrenza di un nuovo esercizio, Frank si sfinisce di lavoro per ridurre le perdite, rivelandosi però incapace di gestire sia la relazione con la fragile Helen sia il rapporto di fiducia con Bober, per cui viene scacciato dal negozio.
Bover, ormai disperato, cerca di svendere il negozio e di trovare un nuovo lavoro, senza riuscirvi: in breve tempo muore di polmonite. Frank, dopo essere stato al suo funerale, si reinstalla nel negozio, da dove Ida e Helen non hanno il coraggio di scacciarlo di nuovo. Gli affari vanno un po’ meglio e Frank, ancora innamorato di Helen, cerca di riallacciare il rapporto, scontrandosi con il suo rifiuto. Nel repentino finale, Helen riconsidera ciò che è accaduto tra lei e Frank, e quest’ultimo prima si fa circoncidere poi si converte all’ebraismo. Non sapremo mai se i due si rimetteranno davvero insieme.
Sono stato costretto, come altre volte, a raccontare la trama, sia pure elidendo quanto possibile, perché senza alcuni elementi della storia non è possibile commentarla e analizzarla facendo intendere ciò che ritengo essere i tratti essenziali del romanzo.
A mio avviso 'Il commesso' è essenzialmente la storia di una 'redenzione' che avviene, se così posso dire, per convergenza unilaterale.
Il romanzo ruota infatti attorno ai due personaggi principali: Morris Bober e Frank Alpine.
Morris è un vinto, e la sua condizione esistenziale ci è rivelata sin dal nome: Bober, in yiddish, significa infatti persona da poco. Ha perso tutte le battaglie della vita: costretto ad emigrare dai pogrom della Russia zarista, avrebbe voluto fare il farmacista ma si è dovuto sposare, divenendo commerciante; ha perso il figlio maschio; verremo a sapere che ha perso molti soldi venendo truffato da un socio in affari, ed ora sta perdendo il suo negozio e la precaria sicurezza economica a causa del cambiamento della struttura del commercio, con l’esplosione dei supermercati e dei negozi di lusso. Emblema del suo fallimento, ma anche del suo orizzonte esistenziale, è lo squallore, evidenziato da Malamud con tocchi da maestro, del negozio – con il suo gelido retrobottega nel quale Bober passa la gran parte del suo tempo – e della casa in cui abita, situata sopra il negozio; egli simbolicamente non esce praticamente mai da questo spazio chiuso, se non quando va a cercare un altro lavoro, trovando solo porte chiuse; da notare che significativamente Malamud conclude il capitolo dedicato a questo unico, inutile peregrinare di Morris Bober con uno dei rari interventi diretti dell’autore nel testo: la notazione "Ecco l’America".
Morris però è vinto perché non ha rinunciato alle sue basi morali. Innanzitutto è di una integerrima onestà: rifiuterà la proposta di Frank di adottare trucchetti usuali nel commercio, e con i clienti si comporta sempre in modo irreprensibile. È anche buono e tollerante, come dimostra tutto il suo atteggiamento nei confronti di Frank ed anche il fatto che ha ormai perdonato l’ex socio in affari che lo ha truffato. Muore per un atto di generosità, spalare la neve dal marciapiede per i cristiani che vanno a messa. Sono proprio queste sua qualità che hanno determinato la sua sconfitta sociale, come pensa lucidamente Helen al suo funerale: ”Che valore aveva la sua onestà se non gli permetteva di esistere in questo mondo? […] Povero papà. Era onesto per natura e non credeva che per gli altri essere disonesti è una cosa altrettanto naturale. […] Non era un santo. In qualche modo era un debole”.
Per molti versi contrapposto a Morris è Frank Alpine. Oltre ad essere giovane, quindi con una prospettiva di vita diversa rispetto a Morris, è un 'goy' italiano (quindi presumibilmente cattolico, come si può dedurre dalla sua ammirazione per San Francesco), ma soprattutto non è onesto, anche se la sua disonestà è conseguenza della povertà: ha dimestichezza con il crimine, e anche nei confronti dello stesso Morris, nonostante le opportunità che questi gli offre, non si comporta irreprensibilmente. È però conscio della necessità di cambiare, e più volte, nel corso della narrazione, si descrive come uno che ci ha provato, sbagliando però qualcosa quando era vicino al traguardo.
Vive quindi l’opportunità che gli fornisce Morris come un ulteriore, definitivo tentativo di redenzione, e tutta la sua vicenda nel romanzo è il racconto dei suoi passi avanti e degli errori che compie sulla via di questa redenzione esistenziale, prima ancora che sociale. Il suo amore per Helen è in questo senso la prova più impegnativa a cui si sottopone, perché farsi accettare da lei significa essere disposto ad entrare in un mondo nuovo, a lui del tutto sconosciuto, come ben testimonia l’episodio dei libri ella gli presta e che lui fatica a capire. Nonostante tutti i tentativi e la buona volontà Frank sembra però fallire ancora una volta, venendo scacciato sia da Morris sia da Helen: prevalgono infatti in lui gli 'istinti ancestrali', che lo fermano sulla soglia del traguardo, costringendolo per l’ennesima volta a ricominciare daccapo.
Nel finale aperto il percorso di redenzione di Frank si completa, e quello che era stato un cammino, sia pur accidentato e con molti rinculi, di avvicinamento di Frank a Morris, ai valori espressi da Morris, diviene immedesimazione: Frank diventa Morris, come si può intuire anche dall’episodio (forse l’unico impregnato di humor ebraico del libro) della sua caduta nella fossa aperta al cimitero; diventa Morris perché lo sostituisce, ormai di nuovo accettato dalla famiglia, in negozio. È significativo infatti che l’ultima mattinata nel negozio descritta nel libro ripeta le medesime situazioni della prima: la polacca che compra le sue poche cose, Nick Fuso che vergognandosi va a fare la spesa in un altro negozio: nulla è cambiato, tranne il fatto che dietro al banco non c’è più Morris ma Frank. Ma Frank diventa Morris soprattutto perché si fa ebreo, condizione necessaria per essere davvero redento. Non sapremo, come detto, se questo sarà sufficiente a fargli riconquistare l’amore di Helen ma, anche se tutto lascia supporre di sì, non è forse questo l’importante. L’importante è che il vinto Morris Bober diviene alla fine il vero vincitore, perché i valori su cui ha basato la propria vita, non compresi neppure all’interno della sua famiglia, rivivono in un altro-da-sé che è divenuto di fatto lui. La sua vittoria non è sociale – il negozio presumibilmente continuerà ad andare male – ma morale, perché ha potuto trasmettere a Frank sé stesso.
La convergenza unilaterale di cui parlavo sopra è quindi quella di Frank, che partendo da posizioni sociali ed umane lontanissime si avvicina sempre più al mondo di Bober sino ad entrarvi completamente. Morris, come tutti gli altri personaggi del libro, rimane uguale a sé stesso per tutto il romanzo: l’unico che cambia è Frank, convergendo unilateralmente verso Bober, verso un vinto che però esprime un universo valoriale ricco anche se misconosciuto.
Ecco quindi che secondo Malamud lo scontro con la società della competizione e del successo a tutti i costi non deve essere combattuto con le sue stesse armi, ma opponendole un sistema di valori che egli individua nell’essenza dell’ebraismo, fatta soprattutto di accettazione serena del proprio destino (“Cadde senza un grido. […] Era il suo destino, altri ne avevano uno migliore”, dice di Morris quando viene colpito dai rapinatori). È una posizione che potrei definire, con una mezza bestemmia, analoga all’ideale verghiano dell’ostrica, e che se ha il pregio di evidenziare il valore di una sorta di resistenza passiva da mettere in atto contro una società ingiusta e crudele evidenzia a mio avviso lo stesso grado di problematicità della concezione verghiana quanto a capacità di fornire risposte efficaci ai problemi che pone. Prova ne sia che Ecco l’America possiamo dirlo, con ancora maggior sgomento, anche oggi.
Indicazioni utili
I romanzi di Verga
Miscelare con cautela
Il romanzo americano è stato spesso alimentato e nutrito nel corso del Novecento dalla potente voce narrativa di scrittori di origine ebraica. Immediato il riferimento a Isaac Bashevis Singer il cui tratto peculiare fu il recupero della lingua yiddish e con essa di un mondo e di una cultura scomparsi, o al fratello Israel Joshua Singer, meno osannato. L’elenco potrebbe proseguire con nomi quali Saul Bellow o Chaim Potok passando per Malamud e Roth in una evoluzione che la critica letteraria evidenzia essere, anche tramite la voce degli stessi scrittori, tesa ad una narrativa sempre più e solo americana in cui la componente ebraica, pur esistente, non rappresenta ora una connotazione di identità ma veicola l’universalità della condizione umana.
Malamud con Il commesso rappresenta appunto la realtà americana nella quale l’ebreo è cittadino al pari di un immigrato qualsiasi, al di là della sua origine. Anzi, entrambi i protagonisti del romanzo, Morris Bober, l’ebreo e il suo assistente di negozio Frank Alpine, italiano, l’uno complementare all’altro, sono le vittime di quel sogno americano che tanta umanità ha nutrito, americani compresi. Le loro esistenze si incrociano e si fondono nella periferia di New York, ai margini di un grande sogno, entrambi stranieri alla vita. Il concetto di estraneità è alla base dell’intera narrazione, alimenta i loro vissuti e le loro scelte: entrambi, quasi simbolo della irrisolta coabitazione del bene e del male che miscela ogni animo umano, forzano un territorio, un ambiente, un gruppo, imponendo la loro presenza. Lo fa Morris quando decide di aprire un negozio in un quartiere abitato da gentili, lo fa Frank quando si insinua in quello stesso negozio con fare subdolo e circospetto.
Tutto il romanzo punta a questa evoluzione, a questa complementarità, al possibile riscatto ( tipico dei personaggi malamudiani) e procede lento e ipnotico fino all’ennesimo finale aperto. Come in Una nuova vita anche qui l’arco temporale della narrazione, rigorosamente scandito dalle manifestazioni meteorologiche e da un intimo sentimento del tempo, meno di un anno ma dilatato e agognato, involve in se stesso e va a richiudere quella breccia aperta dal narratore come per capriccio, lasciando il lettore a immaginare sviluppi futuri.
Rimane un grande messaggio di fondo, lo stesso forse suggerito già a suo tempo da Shakespeare ne Il mercante di Venezia: l’uomo non è bene e non è male, né è la sua religione a certificarne l’essenza, tantomeno l’ortodossia o la meticolosità nell’osservarne riti e precetti. La bontà e la cattiveria sono trasversali all’animo umano, la differenza è il dosaggio tra le parti: non a tutti può riuscire.
Indicazioni utili
Fotografia color seppia di un uomo d’altri tempi
Una penna delicata ci accompagna nella quotidianità di una piccola bottega di generi alimentari dove Morris Bober, negoziante ebreo di mezza età, lavora in modo zelante, onesto e gentile per sopravvivere alle difficoltà economiche. Si alza all'alba per vendere tre centesimi di pane, fa economia, si trova costretto a chiedere alla figlia Helen parte del suo magro stipendio e ne soffre. A questa sofferenza risponde nell'unico modo che il suo cuore buono conosce: con lavoro, fatica, rettitudine. Si riallaccia il grembiule con gesti ripetitivi. E non manca neppure di far credito e dar da mangiare a chi è ancor più misero di lui.
Come lo ripaga il destino, o meglio, come lo ripaga Dio? Una nuova bottega alla moda di specialità gastronomiche dall'altro lato della strada che ne compromette i già magri affari, una polmonite, un vicino trafficone ed egoista che sembra sempre baciato dalla fortuna, una rapina proprio per essere l'unico esercizio rimasto aperto a tarda sera nel tentativo di racimolare qualche cliente ritardatario. Tragica comicità.
La strada di questo splendido personaggio, di una ricchezza interiore unica e malinconica, si incrocia così con quella di Frank Alpine, giovane italiano senza arte né parte, orfano dal passato difficile, rapinatore dell'ultima ora che ha cercato nella malvivenza l'accesso alla fortuna che da sempre gli è stato precluso. Frank finisce per lavorare come commesso nella povera bottega di Morris, apprezza la sua ingenua generosità, vuole confessargli di essere lui il ladro che l'ha rapinato per liberarsi la coscienza, per cambiare, per portare la sua vita su una strada diversa ma alla fine non resiste alla tentazione e continua a raccontare frottole e rubare dollari dalla cassa.
E' un'atmosfera triste e malinconica quella che avvolge quest'ambientazione anni '50 dove non si respira il sogno americano di prosperità ma le disillusioni, gli sforzi per sbarcare il lunario, le attese passive in una sorte che non fa regali. E' la vita della gente comune, degli umili, di Morris aggrappato alla sua incrollabile moralità, di Frank che lotta tra bene e male, di Ida piena di rimpianti per quello che non è stato e di Helen, che forse spera ancora e intanto trova rifugio nei libri della biblioteca.
Questo romanzo ha il dono della narrazione in punta di piedi, delle sfumature, della profondità. Parla di persone semplici, cesellate con sensibilità e delicatezza, della loro vita di bottega e famiglia, più vera e più vicina a noi di quanto non possano esserlo mille avventure. Parla di sensazioni che proviamo o abbiamo provato, di una quotidianità sofferta e combattuta che viviamo o abbiamo vissuto. E se è vero che non lascia speranze, non offre ricette per la felicità o promesse di riscatto, non c'è neppure amarezza, astio o ira, ma tutto è permeato da una sensazione di commovente dolcezza e dignità.
E' un romanzo piacevole? Forse no ma è capace di parlare al cuore e di restarci.
Per questo lo consiglio di certo a tutti.
Indicazioni utili
Aspetterò, sognerò. Qualcosa succederà.
“Il commesso” di Bernard Malamud è un romanzo che narra la lotta condotta da un avventizio per l’autoaffermazione in una società imbevuta di pregiudizi e dominata da forze che contrastano il desiderio di riscatto dell’individuo.
L’ebreo Morris gestisce il suo negozio in condizioni di sussistenza minima, al punto che la bella figlia Helen (“Aspetterò, sognerò. Qualcosa succederà”) è costretta a rinunciare agli studi e a convertire parte del suo stipendio allo scarno bilancio familiare.
Due malfattori rapinano i magri incassi di Morris e lo feriscono; poco dopo compare sulla scena Frank Alpine un giovane immigrato (“Il suo aspetto la colpì; gli occhi erano allucinati, affamati, tristi; credette che sarebbe entrato a chiedere l’elemosina e decise di dargli dieci cents, ma Frank scomparve”), che si propone come commesso in cambio di ospitalità e benevolenza.
Il nuovo venuto combatte per affrancarsi da un passato di stenti ed emarginazione (“Io passo da una cosa sbagliata a un’altra e finisco sempre in trappola”); con il proprio lavoro risolleva le sorti del negozio (“La ragione del miglioramento del negozio era… perché questo abitante di cantine… non era ebreo”), ma vive in perenne conflitto tra le tentazioni del denaro (“Gli scrivo una bella letterina dicendogli chi ha fatto la rapina il novembre scorso”) e della carne, soprattutto quando s’innamora di Helen (“Non ti vergogni di aver baciato un goy?”) e la spia (“Pensò che avrebbe potuto puntellarcisi per guardare nel bagno”).
“Mi dica, Morris, se qualcuno le chiedesse in che cosa credono gli ebrei, cosa risponderebbe?”
“Tutto quel che occorre è un cuore buono… Quel che conta è la Torah… un ebreo deve credere nella Legge”
Dopo alterne vicende, quando alla famiglia di Morris la sorte sembra arridere con la promessa di vendita del negozio, un lutto si abbatte e, in questo momento, Frank è chiamato ad opporsi ai preconcetti (“Fetente giudeo”), per affermare la sincerità dei suoi sentimenti e fornire una prova definitiva del proprio amore.
“Il commesso” è una storia condotta con stile lucido e minimalista, per dimostrare come l’individuo possa prevalere con l’autodeterminazione e con la volontà sui meccanismi soffocanti della società.
Bruno Elpis
Indicazioni utili
Il commesso di Malamud, il ladro e l'uomo probo
Nella dedica scritta per me, Marco Missiroli ha definito “il Commesso”, di cui ha curato la prefazione per Minimum fax, “il libro più bello di tutti i libri”.
Io non penso che sia il più bello in assoluto, ma che sia un grande libro non ci sono dubbi.
Con apparente semplicità stilistica Malamud ci introduce nel grigio scenario di una Brooklyn degli anni ’50, ma l’ambientazione è così claustrofobica che ci si dimentica di essere nella spaziosa America dalle mille possibilità.
Anche Morris Bober credeva di avere grandi occasioni, e altrettante ne aveva intraviste la moglie Ida. Ma il loro destino è segnato a partire dal cognome, Bober, che in yddish significa persona di poco valore. Una prima disgrazia li colpisce con la morte del figlio maschio, mentre gli affari vanno sempre peggio, tanto da impedire a Helen, la figlia, la prosecuzione degli studi. Anzi, la sopravvivenza della famiglia è addirittura affidata al suo magro stipendio. Tuttavia, la loro misera condizione non impedisce a Morris di conservarsi onesto e giusto, anzi addirittura generoso con chi ha meno di lui. Proprio questa generosità lo porterà ad assumere come commesso Frank Alpine, un italiano dalla dubbia moralità colto in flagrante nell’atto di rubargli pane e latte. E continuerà a rubare, tanto da costringere Morris a licenziarlo.
Ma a partire dal loro traumatico (per Morris) incontro, la sua sorte è ormai legata a quel negozio e a quella famiglia, tanto da divenire l’alter ego di Morris, incarnando tutte le pulsioni negative cui l’ebreo non dà sfogo per mantenersi nella sua rettitudine. Non è un caso che Frank cada sulla bara di Morris nella scena del funerale, come a sancire una continuazione anche corporea della sua vita.
Il rabbino dice a proposito di Bober “Quando un ebreo muore, chi si preoccupa di sapere se è veramente un ebreo? È un ebreo, non ci chiediamo altro. Ma ci sono molti modi di essere ebrei. Così, se viene da me uno e mi dice: “Rabbino, posso chiamare ebreo quel tale che è vissuto e ha lavorato tra i gentili, vendendo loro carne di porco, trayfe, robaccia che noi non mangiamo, uno che neanche una volta in vent’anni ha messo piede nella sinagoga; un uomo così è un ebreo, rabbino?” Io gli risponderei: “ Sì, per me Morris Bober era un autentico ebreo, perché viveva nell’esperienza ebraica, di cui custodiva il ricordo, e con cuore da ebreo”.
Allo stesso modo di Giobbe, l’uomo giusto Morris Bober si è comportato per tutta la vita come Dio gli ha chiesto, anche se per tutta la vita Dio ha disatteso le sue aspettative di un’esistenza migliore. Ma non insegue le risposte a questa ingiustizia, lui possiede quelle risposte per il fatto stesso di essere un vero ebreo.
Ed è là, nella Bibbia, che anche Frank Alpine cercherà il senso della sua vita, nella bottega di Bober, al posto di Bober. Sarà per quella famiglia il figlio maschio che ha perso, sarà come Morris stesso nel cercare di costruire per la sua Helen un futuro migliore.
Indicazioni utili
La dignità mal celata
Un negozietto, come quelli di una volta, dove si vendeva tutto e niente.
Un negoziante, ebreo, anche lui come quelli di una volta, che se ti doveva far credito lo faceva più come piacere personale che come un favore.
Una moglie sempre presente quanto critica e petulante verso tutto quello che l'inerme marito fa di giusto e di meno giusto.
Una figlia, ormai in età di matrimonio, ma che non ci pensa perché è più forte la voglia di realizzarsi che altro.
Morris Bober incarna l'ideale dell'uomo onesto e dignitoso sino alla fine.
Nonostante gli incassi vadano sempre peggio e il suo negozietto non riesca a stare al passo di quelli più moderni e più settoriali che gli spuntano intorno, egli va dritto per la sua strada, vivendo di ideali e di ricordi benché la sua salute precaria non gli consenta nemmeno più di stare dietro al bancone.
Provvidenziale sarà l'arrivo di Frank Alpine, non ben definito tuttofare che in cambio di vitto e alloggio si offre di dare una mano.
La narrazione presenta tratti di perfetto realismo, Malamud, il Maestro, ci dipinge con colori freddi l'America del primo secolo scorso fatta di tombini fumanti e strade spoglie, lontana da quello che è il sogno americano puro.
Le difficoltà e le imperfezioni risiedono in questa famigliola che non fa altro che vivere, a modo suo, quello che la volontà divina ha riservato od ogni singolo componente di essa.
E' la comparsa del commesso Frank a dare una svolta o forse addirittura un senso reale ad una esistenza che si era sino ad allora espressa solo a metà e che ci prende e ci porta pian piano con sé in un dispiegarsi narrativo come pochi.
Il mio primo Malamud; ora senza esitazione posso dare seguito a tutto il resto della sua opera.
Indicazioni utili
Le ceneri di Bober
Ambientato a Manhattan negli anni Cinquanta, il romanzo di Malamud narra la storia di Morris Bober e della sua famiglia, immigrati ebrei gestori di una piccola drogheria.
Le difficolta' sono molte, a maggior ragione quando il lavoro e' scandito al ritmo dell'incertezza, dal registratore di cassa che squilla sempre piu' di rado e dai magri incassi che a malapena coprono le spese.
Morris Bober e' un esempio inopinabile di correttezza ed onesta', un uomo ligio ai doveri e di indole caritatevole, eppure questa sua bonta' d'animo pare infierire sul suo destino invece che premiarlo. La moglie critica e rinfaccia, la bella figliola vaga per la strada con quello sguardo triste ed affranto di grandi occhi celesti invecchiati troppo presto.
La scrittura semplice e fluida ben si addice al contesto completando il quadro in un realismo piu' che mai verosimile, si tratta di una storia di vita comune che scopre la scena di un'America di terra certo, ma senza promessa.
Riconosco buoni sia la penna che il contenuto del libro, ma per la piacevolezza personale , dopo alcuni giorni di meditazione, confermo la mia perplessita'.
Grigio, nebbia, umidita', cenere questi sono i colori in cui mi ha affondata il romanzo per mezzo di una rassegnazione definitiva e mortificante . Dico io nella vita intera di un essere umano, tra le mille difficolta' incontrate , potra' mai esserci un minuto - e uno solo- di serenita' , di pace, di sorriso. In un intero libro potra' mai esserci una riga- e una sola- in cui lasciarci scaldare da un raggio di luce ?
Io francamente non l' ho trovato , e' stata una lettura piuttosto deprimente.
Buona lettura a coloro che sapranno entrare in sintonia con l'autore meglio di me.
Il capolavoro di Malamud
Una strada diroccata. Un negozio dismesso. Un uomo con il grembiule.
Di prima mattina trascina a fatica una cassa piena di bottiglie di latte. Sul volto la rassegnazione.
Una donna, lo sguardo arrabbiato per l'insoddisfazione, le rughe sul viso, la povertà negli abiti.
Una giovane ragazza, bella, dignitosa ma non più fiera. Cammina dritta, tenta di non spezzarsi.
Benvenuti nella famiglia Bober.
Dove ogni sogno si infrange, dove la vita è difficile, dove la quotidianità ha il sapore della sopravvivenza.
Benvenuti nelle pagine di Malamud.
Dove provi compassione e pietà, orgoglio e rabbia, malinconia. Tanta.
Ti prende la mano questo Scrittore e con il passo lento di un anziano bottegaio ti conduce nella realtà.
Quella triste, forse la più vera.
Nessun artificio, nessun colpo di scena, nessuna pretenziosità.
Solo talento e sensibilità.
Perché di questa materia è fatto Bernard Malamud.
Riesce a mettere in parole le tue sensazioni, da voce a quello che credevi di poter solo provare.
E non racconta di te.
Racconta di Morris e Ida e Helen e Frank.
E tu non puoi non essere Morris e Ida e Helen e Frank.
Perché loro, esattamente come te, stanno combattendo la vita.
Chi con onestà, chi con rabbia, chi con speranza, chi con redenzione.
Vivono.
Si dice spesso che un libro non sia fatto di quel che racconta, che una trama tutto sommato ordinaria possa essere resa straordinaria da una penna.
Questo autore ne è l'esempio perfetto. Riesce ad incantarti nel bel mezzo di una quotidianità.
Ed è per romanzi come questo che raramente definisco i libri capolavori.
Perché se svilisci quel termine, se lo attribuisci a chi non lo merita, poi come descrivi Il commesso?
E'un libro raro e potente questo.
Perché riesce dove quasi tutti falliscono: ti ricorda perché ti sei innamorata della lettura.
E'questo che fanno i capolavori.
Indicazioni utili
Lo scrittore fantasma
Questo scrittore l'ho conosciuto per caso dopo aver letto Lo scrittore fantasma, perchè mi è venuta la curiosità di sapere chi fosse il maestro tanto venerato da P. Roth. Da qualche parte ho sentito il nome di Malamud, un perfetto sconosciuto almeno per me. Eppure Malamud è uno dei più grandi scrittori americani. Dal punto di vista dello stile è un incantatore, uno che dalla prima o seconda riga ti attira nella storia, che il personaggio te lo fa vedere. E' il più grande narratore che abbia incontrato nella mia vita di lettore. Appunto per questo del commesso la cosa più sorprendente è stata la prefazione. L'editore ha espresso il dubbio che forse il lettore italiano avrebbe trovato sciatto questo scrittore. Sciatto? Il lettore italiano dovrebbe essere un cretino? Malamud soprattutto dal punto di vista dello stile è uno scrittore che non ha eguali. La sua scrittura ha vita e colore. Non è un esercizio sterile e formale di eleganza. Malamud ha la capacità di intrappolarti alla prima riga. La storia del commesso poi è bellissima. Ci si affeziona a tutti personaggi, al negoziante che non arriva a fine mese, alla bella e intelligente figlia e naturalmente al commesso.
Malamud ha solo un piccolo difetto che potrebbe alienargli la simpatia del lettore. Ti costruisce una storia che potrebbe essere un capolavoro. Ti porta a seguire le vicende dei personaggi, ad affezionarti a tutti i personaggi e alla storia, arriva a metà e oltre quando le possibilità della trama si assottigliano per cui le vie percorribili si riducono e ci si aspetta che gli avvenimenti prendano una certa piega o al limite un'altra o anche una terza. E invece no. A questo punto l'autore sembra che faccia un passo indietro, che guardi la sua creatura e il lettore coinvolto nella storia, che faccia una risata ironica e ... colpo di scena. E' un caso di schizofrenia letteraria! Questa originalità (decantata dall'editore) è il piccolo (ma davvero piccolissimo) difetto di Malamud. Sembra che non riesca a provare quell'attaccamento dell'autore per la sua creatura ma che si diverta a un certo punto a tirarsi fuori dalla storia e che la guardi con ironia, quasi con il desiderio di snaturarla E' come se dicesse ho fatto finta, quella storia era solo una storia, ci avete creduto e adesso beccatevi questa conclusione.
Comunque questo autore va letto. Vietato dimenticarselo.