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Il caso Malaussène Il caso Malaussène

Il caso Malaussène

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"Un giorno di tre o quattro anni fa in cui firmavo copie in libreria, un'anziana signora mi ha chiesto se avrebbe ancora sentito parlare della tribù Malaussène. Aveva letto i romanzi su consiglio della nipote, una ragazzina venuta lì a farsi firmare tutti i titoli della serie per il fidanzato. A sua volta, lei li aveva letti su consiglio della madre, alla quale erano stati suggeriti dal compagno dell'epoca, diventato poi suo marito. Avevo le tre generazioni davanti agli occhi: la figlia, la madre e la nonna. Tutte e tre mi chiedevano ardentemente notizie di Malaussène. Ho promesso che gliele avrei date. Quelle tre lettrici mi hanno fatto scattare il desiderio di sapere che fine avessero fatto Verdun, È Un Angelo, Signor Malaussène e Maracuja. È quel che scoprirete ne 'Il caso Malaussène'".



Recensione della Redazione QLibri

 
Il caso Malaussène 2017-05-07 08:32:26 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    07 Mag, 2017
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Bentornato Benjamin Malaussène..!!

“Io sottoscritto Benjamin Malaussène vi sfido, oggi, chiunque voi siate, ovunque vi nascondiate, quale che sia il vostro grado di indifferenza alle cose di questo mondo, a ignorare l’ultima notizia appena uscita, la notiziona che farà discutere la Francia e crepitare i social”: Georges Lapietà, uomo d’affari nonché ex ministro e consulente del gruppo LAVA, è stato rapito e sarà “restituito” al mittente soltanto a seguito della corresponsione della somma di Ventidue milioni ottocentosettemiladuecentoquattro Euro a titolo di riscatto.
Ma dove eravamo rimasti e da dove ripartono le vicende? Precisiamo innanzi tutto che il rapimento del politico è solo uno dei misteri che si susseguono nell’ultima opera di Daniel Pennac. Benjamin, che lavora ancora per le Edizioni del Taglione, casa editrice votata al vero e diretta dalla Regina Zabo, ha realizzato il suo sogno d’amore con Julie, figlia del governatore coloniale Correcon nonché giornalista d’assalto, e trascorre spensierato le sue vacanze nel Vercors ove è sita la casa di famiglia. Nei periodi in cui soggiorna a Parigi, ad accoglierlo vi è la vecchia ferramenta, luogo dove tutti i pargoli sono cresciuti. Verdun è diventata un giudice di grande fama e terrore specializzata nel diritto dello sport, mentre E’ un angelo, detta Nange, Maracuja, detta Mara, e il Signor Malaussène, detto Sigma, sono partiti con delle ONG per aiutare i popoli del quarto mondo (li riscopriamo, a tal proposito, rispettivamente in Africa, in Asia, in Sudamerica). Ed ancora, Rabdomant, commissario in pensione che vive nel sud della Francia, è stato sostituito dal genero Legendre e sta scrivendo il libro “Il caso Malaussène”, opera/trattato di filosofia del diritto che analizza l’errore giudiziario partendo dall’episodio Malaussène. Alceste, scrittore di punta delle Edizioni del Taglione, a sua volta sta scrivendo di nascosto in un fienile del Vercors un libro; un libro molto pericoloso (che ha già arrecato diversi problemi a lui e alla sua famiglia) dal titolo “Mi hanno mentito”. Ritroviamo ancora, inoltre, il cane Julius, di razza molteplice, di odore sostenuto e temperamento indipendente, che non sarà certamente il primo Julius nella vita dei Malaussène e neanche il secondo, eppure a guardarlo camminare sembra proprio lui…
Nato dalla penna di Daniel Pennac nel 1991, Benjamin Malaussène, torna in libreria con una nuova appassionante avventura. Una settima indagine, questa, che lo vede alle prese non solo con il mondo del crimine, non solo con il rapimento di Georges Lapietà ma anche con tutte quelle diavolerie di cui la modernità ha fatto voce portante. Ed è così che tra personaggi adulti ed invecchiati, colpi di scena ed ambientazioni straordinarie, il buon caro Malaussène dovrà vedersela con social, smartphone, talk show, scomparse, mazzate, forze dell’ordine e Giustizia che procedono mano nella mano in un contesto dove tutti mentono a tutti e reciprocamente, e chi più ne ha più ne metta.
Una settima investigazione non così scontata viste e considerate le ferme posizioni tenute dall’autore negli anni, posizioni che lo vedevano risolutamente convinto nel suo non voler proseguire le avventure di una della tribù più note al grande pubblico. Fortunatamente, per gli appassionati, il francese ha ceduto alle richieste e all’insistenza dei lettori che attendevano con desiderio il ritorno in libreria di questi multiformi protagonisti.
Con “Il caso Malaussène. Mi hanno mentito”, primo volume di una duologia, vi troverete di fronte ad un testo colorato, in continuo movimento, caotico; uno scenario ove la confusione regna sovrana. Irriverente, rutilante, e talvolta ai limiti del fuori tema, l’opera scorre rapida tra le mani dell’avventuriero conoscitore il quale, è condotto e guidato tra le vicende, da uno stile accattivante, teatrale, sfacciatamente goliardico.
L’enigma si articola grazie a tre protagonisti indiscussi: poliziotti, giudici e ladri. La trama si snoda quindi tra un giallo e un mistero (che fa acqua da tutte le parti) all’interno del quale si insinua Benjamin Malaussène, il capro espiatorio perfetto. In tutti i romanzi firmati Pennac ed aventi quali protagonisti questa strampalata combriccola (Il paradiso degli orchi, La fata carabina, La Prosivendola, Signor Malaussène, La passione secondo Thérèse), infatti, tema centrale delle vicende era un’inchiesta in cui i bombaroli, i rapitori e i ladri puntualmente riuscivano a farla franca a spese di Benjamin e del suo essere sempre al corrente dei fatti, volente o nolente, a causa di quell’immancabile coinvolgimento determinato da quella turbolenta famiglia che ora ritroviamo cresciuta.
In conclusione, un testo dove il caos regna sovrano, dove apparentemente non vi è una logica espositiva e dove dietro l’aspetto esilarante e ironico si celano molteplici spunti di riflessione sulla società attuale. Tra le righe si evince, in merito, un’ottima descrizione/analisi di questa e dei suoi corollari.
Adatto a chi conosce la saga e a chi non nutre remore nei confronti del “disordine” narrativo. Detta caoticità è di fatto il punto forte e debole dello scritto. Quest’ultima può indispettire chi non conosce il personaggio, può far perdere il filo e portare il lettore a chiedersi quali siano le reali intenzioni del creatore degli eventi, può dunque sdubbiarlo tanto da indurlo all’abbandono di un elaborato stilisticamente di qualità o, al contrario, può conquistarlo indiscutibilmente.

«[..]Ascoltate i ragazzi senza scoraggiarli. In fondo adesso tocca a loro. Lasciare che si godano le loro illusioni, senza dirgli che sono le erbe aromatiche di cui è cosparso il grande abbacchio finanziario» p. 34

«La prospettiva immensa e silenziosa che si apre sull’intero massiccio ha fatto di me, uomo da asfalto e da decibel, un amante del silenzio, del cielo e della pietra. Julie e io abbiamo regalato questo paesaggio ai bambini per tutti gli anni della loro crescita. L’immensità si addice all’infanzia, che è ancora abitata dall’eternità. Passare le vacanze a oltre mille metri di altitudine e a ottanta chilometri da qualunque città significa alimentare i sogni, aprire le porte alle storie, parlare con il vento, ascoltare la notte, entrare in contatto con gli animali, dare un nome alle nuvole, alle stelle, ai fiori, alle erbe, agli insetti e agli alberi. Significa dare alla noia la sua ragione di essere e di durare» p. 41

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Il caso Malaussène 2017-06-03 19:57:31 cesare giardini
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cesare giardini Opinione inserita da cesare giardini    03 Giugno, 2017
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Un sequestro a fin di bene fallito

Ritorna Daniel Pennac, con la sua variopinta e imprevedibile tribù ed una nuova avventura : fulcro di tutta la vicenda è il sequestro operato da alcuni componenti della famiglia di Benjamin Malaussène , in combutta con il figlio stesso del sequestrato, di un noto facoltoso imprenditore e faccendiere, Georges Lapietà, aduso a traffici e ricatti d’ogni tipo. Il riscatto chiesto è di 28 milioni, proprio la cifra che il Lapietà avrebbe intascato come buonuscita di fine attività. Ma le cose non vanno come dovrebbero, cioè con la consegna del malloppo ad uno strano prete sul sagrato di Notre Dame e la devoluzione dei soldi a varie opere di soccorso a poveri e bisognosi: sequestratori veri irrompono sulla scena, si portano via il Lapietà e chiedono un riscatto astronomico, pena la rivelazione (sono probabilmente d’accordo con il sequestrato) di malefatte d’ogni genere di politici e politicanti, con tanto di date e dati esposti minuziosamente. Il titolo del romanzo ( “Il caso Malaussène”) non è altro che il riferimento all’incriminazione del povero Banjamin (con tanto di arresto e manette) per avere di sfuggita, durante una conversazione, difeso i primitivi sequestratori in nome di una istintiva solidarietà nei riguardi di chi sopravvive con quel poco che ha. Riemerge il Benjamin ben noto capro espiatorio dei romanzi di Pennac, che si serve di tutta la complicata e sorprendente storia per elargire perle di saggezza, con mano leggera ed una visione acuta, sofferta e lungimirante dei mali della società d’oggi: la malversazione, i ricatti, l’ingiustizia sociale, le contraddizioni e gli errori della giustizia, il tutto analizzato non banalmente , ma con l’amara consapevolezza che ben pochi siano i rimedi leciti per raddrizzare l’andazzo delle cose. C’è poi un’altra storia nella storia: la scrittura di un romanzo che, in totale isolamento e per ordine della direttrice della Casa Editrice ove lavora Benjamin, tale Alceste Fontana sta portando a termine (“Mi hanno mentito”) stigmatizzando i guai di un’educazione falsa e buonista. Il romanzo avrà un seguito (“ La loro grandissima colpa”), che probabilmente sarà l’oggetto di un prossimo lavoro di Pennac, che termina infatti il libro sul “Caso” con uno svolazzante “continua…” scritto a penna.
L’opera segna il ritorno di uno scrittore che ho sempre letto con piacere, apprezzato e stimato. Daniel Pennac, alias Benjamin Malaussène, alias il capro espiatorio di tante storie, alias il fantomatico Alceste Fontana, scrive e contemporaneamente insegna, con occhio scevro da pregiudizi e false verità: e lo fa con l’aiuto della sua scanzonata tribù, uno spaccato di mondo che sopravvive apparentemente felice all’invadenza dell’incultura e della sopraffazione.

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