Il caro estinto
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AMERICAN WAY OF DEATH
La storia de “Il caro estinto” è racchiusa all’interno di due emblematici suicidi, quello di un anziano sceneggiatore inglese trapiantato in America e quello di una ragazza americana di lontane ascendenze europee: entrambi vittime dell’assurdo e spietato sistema nel quale vivevano e lavoravano, ma non abbastanza innocenti da meritarsi la compassione del lettore, dal momento che di tale sistema essi erano in un certo senso conniventi, avendone condiviso e accettato senza riserve regole, leggi e soprattutto valori. Quanto detto dovrebbe essere più che sufficiente per capire perché Evelyn Waugh definiva il suo curioso romanzo in questi termini: “un piccolo incubo notturno, in qualche tratto, forse, leggermente orrido”.
Se mi viene concessa una citazione cinematografica, ci troviamo vicini non tanto all’innocuo umorismo di “Arsenico e vecchi merletti”, cui forse in un primo momento lo stile leggero e svagato di Waugh può far pensare, bensì al cinismo amaro e sulfureo di Billy Wilder. Si sorride spesso ne “Il caro estinto”, ma il romanzo va al di là della mera satira della società americana e di quella inglese, stigmatizzate, la prima, nei suoi aspetti di stolido conformismo e di ingenuo spiritualismo, la seconda in quelli di aristocratico snobismo e di finta supremazia culturale. C’è in primo piano, è vero, quell’autentico trionfo del kitsch rappresentato dal cimitero dei Sentieri Melodiosi, una gigantesca Disneyland dell’aldilà, dove i “cari rimasti” piangono a caro prezzo i “cari estinti”, impeccabili professionisti si adoperano per restituire ai visi dei morti un’espressione radiosa e coppiette di innamorati vanno a fare il picnic accanto alle tombe in aulici siti dai nomi di “Nido d’Aquila” o “Angolo dei Poeti”, tra cinguettii di usignoli e canti d’amore indù; e c’è anche il suo bizzarro equivalente animale rappresentato dal Campo della Beata Caccia, dove inappuntabili reverendi officiano le esequie di cani, gatti, caprette e pappagalli. Ma tra le righe si può leggere un messaggio molto più profondo ed inquietante. Quello che Waugh dipinge è infatti un mondo che, all’indomani della fine del secondo conflitto mondiale, ha perso l’innocenza (come i due suicidi sanciscono definitivamente con il loro gesto) e si è schizofrenicamente diviso tra il culto del potere, del denaro, del successo da una parte e il ricorso a una spiritualità tutta esteriore, in cui prosperano affaristi, psicoterapeuti e sacerdoti a provvigione, dall’altra.
Non è solo l’”american way of life” a essere messo in discussione, ma l’intero sistema di valori del mondo occidentale contemporaneo il quale, oggi assai più che nel 1948, tra edonismo selvaggio, materialismo egoistico e irrazionali slanci mistici, è un cadavere ben conservato che ha sacrificato per sempre la propria anima alle ragioni della mente e del corpo, senza neanche il conforto di un’ombra di rimorso (è esemplare, con il suo lucido e agghiacciante self control, il comportamento del giovane Dennis dopo il suicidio dell’ex fidanzata). Se si legge “Il caro estinto” in questa ottica, il riso si fa finalmente amaro, strozzandosi in gola, ed il breve e fin troppo veloce apologo di Waugh (che sembra inizialmente limitarsi a parodiare la letteratura di Henry James, con i suoi problematici rapporti tra Americani ed Europei) rivela tra le righe un beffardo ghigno di indicibile orrore.