Il cane nero
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Il cane nero affronta con leggerezza e ironia il tema del lutto e della perdita, e non ha paura di raccontarne gli aspetti più dolorosi. Quello che ci restituisce è un romanzo umano e profondo, che mette a nudo tutte le ambiguità del rapporto tra la depressione e le sue vittime, i silenzi, la vergogna, ma è anche un potente annuncio di speranza, l’invito a resistere eroicamente, a vedere nel male oscuro del nostro tempo una battaglia che si comincia a vincere nel momento stesso in cui si accetta di combatterla.
Rebecca Hunt è laureata in belle arti al Central Saint Martins College. Vive e lavora a Londra. Il cane nero, suo romanzo d’esordio, è stato selezionato per il Galaxy National Book Award e per il Guardian First Book 2010.
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Disgustoso affascinante Black Pat
Da due anni Esther vive sola nella sua villetta. Da quando suo marito Michael non c’è più è come se il suo mondo si fosse ripiegato su se stesso, isolandola dagli amici e dalla gente.
Forse per necessità, forse solo per avere compagnia Esther decide di affittare l’ex studio di Michael e l’inquilino che si presenta alla porta ha l’aspetto di un grosso, enorme, cane nero.
Cammina su due zampe, parla e dichiara di chiamarsi Mr. Chartwell, per gli amici Black Pat..
È un animale puzzolente, invadente, maleducato e disgustoso, ma ha un suo fascino.
Esther, incuriosita dalla situazione impossibile ma reale, cede alla richiesta e per cinque giorni ospita in casa il cane nero, che in così poco tempo invade la sua casa e la sua vita, tentando di isolarla ancora di più dal mondo.
Il cane nero è la metafora che Winston Churchill utilizzava per indicare la depressione, malattia di cui ha sofferto per quasi tutta la vita e che gli ha portato via, nei suoi ultimi anni una figlia molto amata.
Mr. Chartwell vive con Esther, ma passa gran parte delle sue giornate a casa di Winston Churchill, perché questo è il suo impegno, la sua missione, il suo lavoro: mantenere e incrementare la depressione dei suoi “protetti”.
Così anche Winston Churchill diventa un personaggio importante della narrazione.
Esther in un primo momento non si rende conto del baratro che il cane le scava davanti ma, quando finalmente comincia a capire, si chiede se non sia più semplice lasciarsi andare nella palude immobile della depressione piuttosto che continuare a lottare per una vita che le sembra ormai priva di scopo.
La forza del romanzo sta proprio nel proporre l’orrore di una malattia così diffusa e difficile da combattere in una forma vivente orribile che invade spazi e pensieri, ma si presenta come il mare calmo cui abbandonarsi, l’amico che ti raccoglie fra le braccia e spiana il groviglio della solitudine che imprigiona l’anima, e nel suggerire che per perdersi sia necessaria la nostra complicità.
Lo stile è elegante, in corretto equilibrio fra descrizioni e dialoghi, anche se talvolta prende un tono eccentrico e inutilmente pomposo:
“Sul pianerottolo Howells le fece strada, i passi che ghermivano tratti di prezioso tappeto, verso lo studio.”
ma si tratta di pochi casi isolati.
Nel complesso un romanzo piacevole, a tratti surreale, che ben disegna i contorni dell’angoscia di chi rischia di precipitare nella depressione e di chi (Churchill) nella depressione ha vissuto per tutta la vita.
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Black Pat stava parlando. “Credimi, è facile.” Glielo spiegò: era simile alla seduzione del sonno. Se avesse smesso di resistere, l’avrebbe fatta scivolare in un oblio oppiaceo, un abbraccio indolore. Lei si concentrò su di lui mentre le diceva: “Esther” la stava supplicando, “Esther, devi solo accettare”.
“Accettare la discesa.” Esher lo ripetè a entrambi in un sussurro atono.
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