Il cacciatore di aquiloni
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C'è un prima e un dopo, sempre
Leggere il cacciatore di aquiloni tocca le corde del cuore. Hosseini ci trasporta in una terra, l'Afghanistan, prima dalla tempesta di guerre violente, a partire dalla seconda metà degli anni '70.
Il giovane ragazzino, Amir, vive nella Kabul dei privilegiati, cresce senza madre, con il padre Baba ricco e prosperoso. La villa ha ben due servi, Ali e il figlio Hassan, dal labbro Leporano, gli occhi a mandorla ed il viso da bambola. Intimi amici di Baba, il cui amore è causa delle gelosie di Amir.
Il nostro protagonista studia e sa leggere ma tutti i pomeriggi dell'infanzia trascorrono nei giochi con Hassan. Molte le scorribande, le gare di aquiloni e le merende con l'amico Hassan, analfabeta ma che lo ama senza limiti.
L'infanzia però cessa velocemente, le prime guerre e una grossa colpa che macchia l'animo di Amir fa chiudere il sipario dell'amicizia fraterna. Baba è sconvolto della irreparabile rottura, tiene molto ai due servi ma il destino èsegnato.
Nell'arco di pochi anni Baba e Amir diventano profughi, fuggono con molte difficoltà a San Francisco. Dalla ricchezza di Kabul alla vita umile negli Usa, dalle feste sfarzone, alla vendita di oggetti nel mercatino delle pulci.
Amir cresce, il padre muore e la vita segue un evolversi inatteso che lo riporta alle radici afgane, tra segreti scoperti e molta sofferenza.
La guerra ed i talebani hanno trasformato la terra che conosceva da bambino. Le brutture, la sofferenza, la distruzione, gli orfani sono ovunque.
La devastazione dei luoghi arriva fino al cuore dei bambini afgani, in special modo in Sohrab, figlio di Hassan ed orfano di entrambi i genitori.
Un amore che nasce timidamente, fatto di silenzi e sofferenze nella non facile adozione del bambino. Un racconto intenso e che fa riflettere su cosa lascia la guerra, sullo strascico di desolazione fisica, morale ed etica nelle persone, senza scampo.
Mi sono posta molte domande su una terra poco conosciuta, per me. Mi sono infatti imbattuta in una lettura chiara, scorrevole e dilaniante che sfiora molti sentimenti umani. Dall'amore, all'abbandono, alle menzogne, alla malattia, alla lotta. Non c'è un bianco né un nero ma sfumature che avvolgono la realtà deturpata che viene descritta.
"C'è un solo peccato. Uno solo. Il furto. Ogni altro peccato può essere ricondotto al furto. Se uccidi un uomo gli rubi la vita. Rubi il diritto di sua moglie ad avere un marito, derubi i suoi figli del padre. Se dici una bugia a qualcuno, gli rubi il diritto alla verità. Se imbrogli, quello alla lealtà. Capisci?"
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La vita è come un aquilone trasportato dal vento
Questo romanzo ci racconta la vita di un ragazzo cresciuto senza la madre, che cerca l’affetto di un padre il quale sembra non comprenderlo, e non apprezzare il suo carattere tranquillo, né il suo amore per i libri. Ma la distanza di un genitore e i suoi silenzi hanno radici profonde a cui soltanto il tempo potrà dare risposta.
Questa storia di Khaled Hosseini, pubblicata nel 2004, è intensa e a tratti dolorosa, e mostra l’amicizia profonda fra due ragazzini, Amir e Hassan, socialmente troppo distanti.
I due ragazzi giocano da sempre insieme, e insieme hanno imparato a far volare gli aquiloni. Ma il loro destino sarà quello di separarsi, e con il sopraggiungere della guerra le loro strade non potranno più incrociarsi.Le esperienze di ogni bambino segnano un percorso, avvenimenti che determinano le scelte successive e che indirizzano chi si diventerà da adulti. Il Cacciatore di AquiloniLe paure possono trasformarsi in rigidi vincoli, e può accadere di commettere uno sbaglio di cui pentirsi per il resto dei propri giorni. Così il protagonista di questo romanzo, Amir, diventa un uomo che deve imparare a costruire la fiducia in se stesso, con la consapevolezza di non poter tornare indietro nel tempo.
Ma la vita è come un aquilone trasportato dal vento, la cui direzione è imprevedibile, e il cui filo si può spezzare. Eppure, quando un filo si spezza, è ancora possibile seguire con lo sguardo l’aquilone e talvolta persino ritrovarlo, fin dove il vento lo ha trascinato. E chissà, forse è possibile riannodare il filo proprio dove ha ceduto, per farlo volare ancora.
Un romanzo sul senso della famiglia, sulla cultura afghana, sul legame dell’amicizia. Un romanzo la cui bellezza risiede nella sensibilità dell’autore nel coinvolgere il lettore e nel farlo sentire parte del racconto stesso.
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Una storia che resta impressa
“Per te questo ed altro”, gridò Hassam, rivolgendosi ad Amir nella gelida giornata invernale del 1975, in cui tutto cambiò.
Il cacciatore di aquiloni è il primo romanzo scritto da Khaled Hosseini, uno straordinario caso editoriale presto tradotto in più di trenta Paesi.
In Italia ha venduto quasi due milioni di copie, un successo spontaneo e inatteso che ha portato la critica a definirlo il “miracolo del passaparola”.
Khaled Hosseini nasce nel 1965 a Kabul, in Afghanistan, quinto di cinque fratelli, figlio di un'insegnante e di un diplomatico.
Con l’arrivo dei Russi, ottiene asilo politico negli Stati Uniti trasferendosi con la famiglia a San José, in California, dove tuttora vive con la moglie e i suoi due figli.
Laureato in medicina, nel 2004 pubblica il suo romanzo d’esordio, Il cacciatore di aquiloni che riscuote molto successo. Nel 2007 dà alle stampe Mille splendidi soli e infine, a diversi anni di distanza, esce il suo terzo libro E l’eco rispose.
Il cacciatore di aquiloni racconta la storia di Amir, Hassan e quella di un popolo, quello afghano; fondato su tradizioni, come quella del volo degli aquiloni, e su valori, quali l’onore, l’orgoglio e il coraggio. Un popolo d’altronde invaso e profanato di tutte le sue bellezze dalla cattiveria dell’uomo.
Amir, il protagonista, all’età di 13 anni, si fa carico di una colpa terribile in uno stretto vicolo di Kabul, il cui senso di colpa lo affligge da ormai 26 anni nonostante il suo trasferimento negli Stati Uniti.
Tale angoscia lo avrebbe continuato a tormentare se non fosse stato per la telefonata di un caro amico, il quale gli confida un modo per tornare ad essere buoni e porre fine al rimorso.
Il romanzo ha inizio con il flashback di Amir che, ormai trentanovenne, narra le vicende della sua vita a Kabul in compagnia del suo inseparabile amico, nonché servo hazara Hassan.
Anche le cose belle che sembrano essere destinate a durare per sempre hanno però una fine, così come l’amicizia di Amir e Hassan. Infatti i due ragazzi, a causa della guerra, sono costretti a non rivedersi mai più per seguire strade differenti che li porteranno lontani dalla loro città natia.
Un legame così profondo non può non avere ripercussioni sul futuro, infatti Amir torna a Kabul 26 anni dopo quando viene a conoscenza dell’esistenza di un bambino, figlio di Hassan, chiuso in un orfanotrofio. Il protagonista decide quindi di sottrarlo dagli abusi sessuali a cui sono sottoposti gli orfani di Kabul, ad opera dei talebani che occupano la capitale afghana.
Coloro erano stati ritenuti dal popolo veri e propri liberatori dopo la cacciata dei mujaheddin, i quali in passato avevano sottratto il potere dalle mani dei sovietici. Poco tempo passò prima che gli stessi applicassero nel Paese un regime basato sulla Sharia che riversò l’Afghanistan in condizioni di assoluta povertà e degrado.
La maggior parte della narrazione è costituita dal flashback del protagonista e arricchita da numerose prolessi o flashforward che introducono avvenimenti, spesso negativi, che devono ancora verificarsi.
Il linguaggio è chiaro, scorrevole e ricco di descrizioni, le quali sono focalizzate sull’aspetto esteriore dei personaggi mentre quasi completamente assenti sulla caratterizzazione psicologica degli stessi.
Tale accuratezza si riscontra anche nella descrizione dei luoghi, tradizioni e usi e costumi afghani; il che ha suscitato in me notevole interesse per questo popolo la cui nomea oggi è legata esclusivamente alla guerra che lo ha afflitto e continua a farlo.
Nonostante la narrazione in prima persona permetta di stabilire un’empatia con il protagonista e captare le sensazioni da lui stesso provate, un narratore esterno avrebbe fornito una visione più ampia sulle vicende descritte e una maggiore caratterizzazione psicologica degli altri personaggi coinvolti.
Dai vari temi proposti da Khaled Hosseini ne Il cacciatore di aquiloni, il messaggio da me particolarmente percepito è che la risoluzione ai sensi di colpa dovuti ad un errore commesso, non si ottiene con il trascorrere del tempo, bensì dal riscatto, anche indiretto, del male conferito.
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"Esiste un modo per tornare ad essere buoni…"
Il cacciatore di aquiloni è la storia di tutto il popolo afghano.
Le tradizioni del popolo afghano appaiono ovunque nel libro e, sebbene quest’ultimo emerga in certi tratti come superficiale, con usanze a volte arcaiche e basate su apparenza , è indubbio che il libro sottolinei e ci introduca in un’atmosfera permeata di tradizioni, onore, rispetto del prossimo e coraggio; valori che nella nostra cultura sembrano purtroppo sbiadire di fronte ad una superficialità galoppante.
L’Afghanistan ha una nomea piuttosto negativa, basi solo pensare all’ 11 settembre, ai talebani e al terrorismo in generale. Il libro racconta la storia di questo paese ed è una storia (un passato attualissimo) che andrebbe raccontata e raccontata, perché violenze e bestialità simili non accadano più.
Il libro racconta della nascita di regimi totalitari in Afghanistan e del diffondersi di fanatismi verso i quali l’occidente non è vittima ma concausa: i talebani che hanno distrutto Kabul e riportato l’Afghanistan in una situazione quasi medioevale (donne oppresse, nessuna libertà e violenze alla luce del giorno) non sono altro che una conseguenza dell’ invasione brutale del paese da parte dell'URSS nel 1979.
La guerra con i mujaheddin (i patriottici afghani che furono finanziati, armati e addestrati da Stati Uniti, Pakistan e Arabia Saudita) fu infatti lunga e cruenta e al suo termine il fronte dei mujaheddin era talmente frammentato e disunito che ciò consentì la presa del potere da parte della fazione dei talebani.
Proprio i talebani applicarono al paese una versione estrema della shari'a e ogni deviazione dalla loro legge veniva punita con estrema ferocia.
“Amir agha, purtroppo l'Afghanistan della nostra infanzia è morto da tanto tempo. La gentilezza non abita più nel nostro paese ed è impossibile sfuggire alla morte. Kabul è in preda al terrore.”
Questa è la storia raccontata in prima persona da un bambino - poi diventato adulto – di come il fanatismo abbia prosperato a Kabul, degenerando fino alle atrocità più impensabili e di come violenza generi violenza, sempre.
Tanto il paese è sfortunato, tanto il protagonista (Amir) è tormentato da demoni, paure, scotti da pagare.
Amir rischia di passare tutta la sua vita con il rimorso di non essere intervenuto per salvare il suo amico Hassan e si porta dietro colpe orribili fino a quando: “Amir, esiste un modo per tornare ad essere buoni…”.
E noi assistiamo alla sua straordinaria avventura d’amicizia, coraggio, espiazione dal peccato e amore.
Il delitto che esige sempre il castigo.
Non bastano i sensi di colpa, la soluzione per ritrovare la pace perduta è impegnarsi in qualcosa che ci renda buoni di nuovo, perché si ottiene il riscatto e la pulizia della propria coscienza solo facendo del bene ad un'altra persona. Ecco il potere della confessione e del fare del bene.
Non si tratta di religione cristiana ma di religione delle religioni, di ricerca della felicità e di dare un senso a questa vita.
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“Il tempo degli aquiloni è finito…”?
Prima di addentrarmi nei dettagli del mio commento vorrei sfatare un mito, o almeno credo che lo sia, dato che lo ho constatato di persona. Molti vedono “Il cacciatore di aquiloni” come un libro “pesante”, forse per il titolo o chissà cos’altro, perché un motivo ben preciso non c’è. Lo ammetto, anche io avevo questa immotivata impressione e ora, dopo averlo letto, posso affermare con certezza l’esatto contrario. E’ un libro che scorre veloce, per niente pesante.
Khaled Hosseini riesce a tenere un buon ritmo e si lascia leggere bene, in certi tratti quasi come un autore da thriller o poliziesco, seppure la trama di questo libro sia quanto di più lontano esista da questi generi e debba molta della sua efficacia al gusto personale del lettore.
“Il cacciatore di aquiloni” è la storia di Amir, di Hassan, di Baba, di tutto un popolo: quello afghano. Un popolo alla ribalta negativa della storia recente di questo mondo; in un modo o nell’altro il fanatismo e i difetti umani hanno trovato terreno fertile per prosperare nei confini di Kabul, degenerando fino alla ferocia più nera. Eppure non si può dire che il popolo afghano sia colpevole di qualcosa.
La storia di Amir è la storia di un essere umano come tutti gli altri, diverso soltanto per certi tratti esteriori e insignificanti, e altri che fanno parte di una cultura diversa; ma diverso non vuol dire peggiore, anzi, nella maggior parte dei casi è sinonimo di bellezza. Quest’uomo è in fin dei conti uno come gli altri, che ha nel suo passato la storia tormentata di sé stesso e di un intero paese sfortunato, ma in fin dei conti è un uomo come tanti, con i suoi demoni, timori, prezzi da pagare, amori. E noi assisteremo alla sua curiosa storia d’amicizia, coraggio, rimorso, amore.
Hosseini ci fa conoscere l’Afghanistan e la sua cultura. Quando sentiamo il nome di questo paese, non riusciamo a fare a meno di pensare alla guerra, all’11 settembre, ai talebani, al terrorismo; ma non bisogna dimenticare che oltre a questo c’è molto altro, e Hosseini ce lo mostra chiaramente. Dietro l’apparenza c’è un paese brutalmente raso al suolo e privato di qualsiasi prospettiva; c’è una cultura ricca di tradizioni, fatta d’onore, rispetto e coraggio e che dalle cose semplici costruisce la sua infinita bellezza. Cose semplici come far volare un aquilone. Un popolo che si è visto strappato alla propria terra, costretto a fuggire o a morirci, e che deve sopportare che essa venga denigrata all’unanimità, senza avere una colpa globale. Un popolo che pensa al passato con gli occhi lucidi, e continua a sperare che gli aquiloni possano tornare a volare.
"Mi sedetti contro un muro della casa. Mi stupii di scoprire dentro di me un attaccamento così profondo alla mia terra. Era passato molto tempo, quanto bastava per dimenticare ed essere dimenticati. Nel paese in cui vivevo adesso, la mia terra sembrava appartenere a un’altra galassia. Pensavo di averla dimenticata. Ma non era così. E nel chiarore biancastro della luna sentivo sotto i miei piedi la voce dell’Afghanistan. Forse neppure l’Afghanistan mi aveva dimenticato."
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Commerciale al punto giusto...
Adesso che il successo è via, via scemato mi sono detto: “perche non affrontare il cacciatore d’aquiloni ?”
Che dire, è sicuramente un bel romanzo scritto per il grande pubblico: intenso e commovente. Scritto bene, in uno stile diretto e immediato. Forse un po’ troppo americano. E per certi aspetti poco affine alla realtà.
Il difetto più grande è anche il suo più grande pregio: l’essere scritto come memorie autobiografiche di Amir. Tale scelta pone il lettore ad osservare la storia a farla propria grazie al fattore empatico che si viene a creare nei confronti del protagonista, ma anche a percepirla da un unico punto di vista, in classico stile USA. (Ricordiamoci che l’Afghanistan è ridotto così proprio grazie a loro, gli Usa, che hanno permesso , dopo l’aiuto logistico fornito ai ribelli, ai Talebani di prendere il potere)
Io personalmente avrei preferito una narrazione in terza persona, con un approfondimento sui vari personaggi e vicende emotive di ognuno di essi: questo avrebbe restituito a mio parere un romanzo completo scevro da condizionamenti.
Il testo in se è avvincente, in particolare la parte centrale. Ma avrebbe potuto dare molto, molto di più, spesso è frammentario a tratti superficiale. L’aspetto positivo è stato forse proprio l’aver mostrato al mondo quello che il mondo già sapeva, ma non voleva accettare. In sintesi un romanzo/fiaba piacevole, che ha la capacità di rapire, l’impressione ancora una volta è che dietro a tutto questo c’è un gran lavoro di editing e marketing, che immancabilmente finisce poi a storcere ciò che è il reale valore dell’opera.
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Il cacciatore di aquiloni
La storia di una vita in un paese che subisce drastici cambiamenti politici, religiosi, sociali; un’infanzia spensierata che finisce presto a causa dell’invasione, della guerra, del fanatismo. La vita continua ammantata da un forte rimorso che si riesce ad attenuare solo rischiando in prima persona al fine di fare un’opera di bene, un’ammenda che deve essere, in qualche modo, risolta. E’ la prima volta che leggo un romanzo di Khaled Hosseini; la narrazione è molto semplice anche se, a tratti, cruenta; accadimenti di un adolescente, poi diventato adulto, che si intrecciano con gli il sentiero percorso dall’Afghanistan dall’inizio degli anni ’70 fino allo sbocciare del XXI secolo. L’epilogo è indirizzato alla speranza di una nuova vita, di un nuovo inizio.
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Una storia ben costruita
Il cacciatore di aquiloni di Khaled Hosseini, uno dei best seller internazionali più amato in Italia, è una storia molto coinvolgente a livello emotivo, con personaggi che si imprimono bene nella mente e che affronta temi che da sempre abitano il cuore umano e catturano l’attenzione dei lettori, in una ambientazione tanto affascinante quanto drammatica come l’Afghanistan degli ultimi decenni.
Si può provare a spiegare il successo del libro proprio con questa felice combinazione: i grandi ed eterni valori su cui l’uomo si interroga (il coraggio, la fedeltà, il tradimento, l’amicizia, la colpa, la famiglia) interpretati in un contesto che è allo stesso tempo lontano e vicino. Lontano quanto basta per poter offrire al lettore occidentale un viaggio in una civiltà diversa e affascinante, ma anche assolutamente vicino e presente nella vita di tutti, dalle Torri Gemelle in poi.
E’ un libro scritto benissimo, che commuove, indigna, stupisce nonostante alcune banalizzazioni che non saprei dire se siano dovute più ad un difetto o a un eccesso di mestiere. Propendo per la seconda ipotesi, ma trovo che la furbizia non è qualità necessariamente censurabile in un romanziere.
Per dire, il “cattivo” che fin da piccolo ammira Hitler e poi diventa un capo talebano (nascondendo i suoi freddi occhi azzurri dietro occhiali alla John Lennon) fa un po’ sorridere, ma non è da escludere che abbia contribuito anch’esso a trainare le vendite. Lo stesso cattivo, preparandosi al duello finale con il suo antagonista, annuncia ai suoi giannizzeri: “uno solo tra noi due uscirà vivo da questa stanza: se è lui ad uscire, lasciatelo andare”. Una frase che nell’immaginario collettivo evoca chilometri di pellicole “western”.
Anche la preveggenza di papà Baba, che nel lontano 1975 si augura che il suo Paese non debba mai essere governato dai mullah, non sembra molto credibile: però è affermazione di sicura presa su noi occidentali, abituati per anni a considerare la barba di Bin Laden come l’autentica bandiera dell’Afghanistan.
Si potrebbero fare altri esempi di scarsa “autenticità”, ma si rischierebbe di fermare lo sguardo al dito invece che rivolgerlo alla luna.
Perché Il cacciatore di aquiloni è romanzo che funziona e lascia il segno. Si sente il profumo di culture, di tradizioni e di popolazioni antiche, a cui viene spontaneo calcare ogni zolla della loro terra con una fierezza, un’intensità e una consapevolezza di sé da suscitare grande rispetto e ammirazione. Noi occidentali non ci siamo più abituati, non si può dire che sia il tratto dominante dei nostri pensieri e dei nostri sentimenti.
Partecipiamo alle vicende di Amir, di Hassan, di Ali e di Baba con grande trepidazione, in qualche punto tratteniamo il fiato, proviamo sgomento, angoscia, stupore, meraviglia. Ci lasciamo trasportare dalla poesia degli aquiloni in volo, una poesia resa più struggente per il fatto che sappiamo bene in che modo l’incanto sia stato spezzato. E poi si piange, in qualche pagina il groppo in gola si fa troppo forte.
Libro che fa anche riflettere? Non più di tanto. Sui temi di cui tratta non si va molto sotto la superficie. Hosseini li utilizza per caratterizzare i personaggi che, non a caso, tendono ad avere poche sfumature. E quando finalmente compare una contraddizione dentro uno di loro, una di quelle di cui è piena la vita, la storia avverte una sorta di potente movimento tellurico. E’ il caso di Baba, prima e dopo la grande rivelazione.
Chiudo con un dettaglio (i dettagli a volte spiegano molte cose): Sanaubar, la madre di Hassan, mi ricorda un po’ la madre di Esmeralda in Notre-Dame de Paris. Fatte le debite proporzioni, c’è più di un’ analogia nei due personaggi e soprattutto nei melodrammatici ritrovamenti della prole perduta, anche se all’infelice e scellerata Sanaubar è stata data in sorte una fine più dolce (e almeno le è stata risparmiata l’esecuzione del figlio). Le invenzioni letterarie, come le ricette di cucina, sembrano infinite, ma gli ingredienti no. E dunque spesso si rielabora, si ricompone, si toglie una spezia qua, si aggiunge una salsa là, si trovano abbinamenti nuovi e originali.
Con semplicità e gusto per la narrazione, Hosseini è riuscito a darci emozioni, a farci viaggiare e conoscere luoghi e persone che ricorderemo. Senza la pretesa di entrare nella grande letteratura, ma con l’ambizione di piacere a molti.
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"la tristezza poi ci avvolse come miele"
C’è una canzone di Guccini che, ieri sera mentre pensavo a questa recensione, mi sbarluccicava nella testa. Si tratta di “Incontro” dove, due ex amanti, si incontrano dopo 10 anni e, come se il tempo e il mondo intorno a loro si fermasse, rimangono soli nella scena ripercorrendo le strade della memoria. Ma non è tanto il senso della canzone che mi ha portato a legarla al libro di Khaled Hosseini “Il cacciatore di aquiloni” [ PIEMME 2004] quanto l’atmosfera che si crea intorno a chi legge il libro, la sensazione che il mondo si fermi intorno, e alla strofa “la tristezza poi ci avvolse come il miele…”
Tristezza e miele… sembrano quasi un ossimoro, sopratutto se si pongono sullo sfondo di una storia ambientata negli anni più crudi dell’Afganistan, invece racchiudono le verità di ogni vita dove la tristezza e il miele si uniscono in un unico gusto da assaporare fino al giorno in cui, con una visione d’insieme che solo l’età ti può dare, puoi trovare miele nella tristezza e tristezza nel miele.
Così è la storia del piccolo Amir che si fa compagna di vita la paura di non essere all’altezza delle prospettive del padre, la non capacità di contraccambiare l’amicizia del “servo” Hassam, la vita da estraneo tra i suoi fino a che, l’aspirale che lo porta lontano da se stesso, non gli ripropone la sua stessa storia a ritroso in modo da chiudere ogni porta lasciata aperta e concedere, alla sua stessa vita, quella chiusura che rende tutto perfetto come un cerchio.
In un romanzo crudo come questo, dove le figure dei talebani vengono dipinte nella loro assurda osservanza a qualcosa che neanche conoscono, anche l’Islam può essere letto nella sua forma più profonda e veritiera. Gli estremi, anche in questo caso, si contorcono ma lasciano intravedere quell’umanità profonda propria di questa confessione che, ponendo al centro l’uomo, lascia i terreni dell’ortodossia cieca e muta per camminare, con Amir adulto, sui campi dell’amore e della misericordia.
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The Kite runner
Lo avevo letto molto tempo fa, ma non so bene il perché inizialmente non mi ero sentita di recensirlo anche se questo romanzo mi era piaciuto tantissimo.
Questi giorni mi sono decisa e dopo molte riletture mi sono messa a scrivere alcune righe su questo testo.
L’autore è Khaled Hosseini uno scrittore americano di origine afgana e questa è la sua prima grande opera.
Questa storia parla di Amir il quale non ha avuto un passato facile e purtroppo anche se è trascorso molto tempo la sua ferita è molto profonda e non si è mai rimarginata.
La vita di Amir è cambiata quando il suo amico Hassan ha avuto un brutto incontro in uno stretto vicolo di Kabul.
Amir è da molto tempo che non abita più a Kabul, ma il suo passato si ripresenta ed un giorno riceve una strana ed inattesa chiamata nella sua casa a San Francisco.
Pondererà bene la sua scelta e deciderà di partire per Kabul per riparare agli errori di gioventù, ma scoprirà che Kabul non è più lo stesso posto.
I bellissimi aquiloni che prima si libravano tranquillamente nei cieli ora non ci sono più e la felicità non abita più nel suo paese natale.
Mi è piaciuto moltissimo il modo in cui è stato scritto questo libro, attraverso i flash back che si formano nella mente del protagonista principale, ed attraverso questi viene raccontata tutta la sua storia, inoltre è un libro molto avventuroso e ricco di suspense.
Attraverso questo libro si viaggia per il mondo in un posto ricco di culture e tradizioni a noi poco note.
L’autore ha deciso inoltre di utilizzare spesso parole arabe per farci entrare con più enfasi nel vivo della sua storia.
Che altro posso dirvi?
Mi sento di consigliare a tutti questo emozionante libro, non ve ne pentirete assolutamente.
Buona lettura!