I rondoni
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Un anno
Una gran bella scoperta, per me, la scrittura di Aramburu, nome di spicco della letteratura spagnola (ed europea più in generale) odierna, del quale prima d’ora non avevo avuto occasione di leggere niente.
Una lettura, questa de “I rondoni”, che mi ha tenuto buona compagnia per diverso tempo, portandomi nella Spagna e, in particolare, nella Madrid dei nostri giorni. Ad animare le ben settecento pagine del libro, il dramma esistenziale di Toni, un professore ultracinquantenne di filosofia delle scuole superiori che, al culmine della delusione, prende la decisione di suicidarsi pianificando a poco a poco, in modo razionale, la propria dipartita che fissa a distanza di un anno. Dodici mesi per disfarsi di ogni cosa materiale della sua vita pregna di solitudine, ma anche per scavare a fondo nei suoi ricordi; infatti, la narrazione, sotto forma di memorie in prima persona annotate meticolosamente alla fine di ogni giornata per un anno intero, procede su più piani temporali poiché, oltre a raccontare la quotidianità del presente vissuta tra il lavoro a scuola e le chiacchierate al bar di Alfonso con l’amico Bellagamba, torna indietro nel tempo per ripercorrere il periodo in famiglia dall’infanzia alla giovinezza e quello della travagliata quindicina d’anni di matrimonio con l’ormai ex moglie Amalia, prepotente e piena di rancore. Tutti ricordi che, ovviamente, sono spesso assai dolorosi, ma che si rivelano necessari per “tirare fuori tutta la sporcizia accumulata dentro”.
La penna dell’autore è molto abile a intrecciare in maniera armonica piani temporali diversi, rendendo il lunghissimo e dettagliato racconto dell’esistenza del protagonista particolarmente coinvolgente per il lettore che, alla fine, si affeziona a questo aspirante suicida di mezza età e cerca di comprenderne il vissuto tormentato da cui emergono anzitutto affetti e odi familiari. La trama è ricchissima di episodi in cui si muovono personaggi molto ben caratterizzati che, a seconda dei casi, ispirano simpatia, avversione, compassione; tra loro, a pieno titolo, anche la cagnolina Pepa, fedele compagna di Toni alla quale sembra che manchi soltanto il dono della parola.
Un romanzo che cerca disperatamente il senso dell’umano vivere tra gioie (poche) e dolori (tanti), mentre il volo dei rondoni, dopo aver svernato in Africa, solca una volta ancora i cieli dell’anima seppur disillusa e diviene simbolo di profonda libertà.
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Cancellare il passato
Pur avendolo comprato appena uscito, nel 2021, solo da poco ho affrontato e letto le oltre 700 pagine de “I rondoni” di F. Aramburu. Inconsciamente, forse, avevo timore di restare deluso dopo aver tanto amato il precedente romanzo, “Patria”. In realtà i due romanzi sono totalmente (e giustamente) diversi: per ambientazione, per la storia, per il periodo e la realtà in cui sono calati; un libro tanto corale, storico e plurale il primo quanto individualista e introspettivo il secondo. Toni è un cinquantacinquenne docente di filosofia di un liceo madrileno, deluso da sé stesso prima ancora che dalla vita; volontariamente e caparbiamente solo dopo un matrimonio fallito. Le uniche presenze che con lui condividono attimi di vita sono l’amato cane Pepa, il suo amico Bellagamba (è il soprannome che a sua insaputa gli ha dato Toni dopo che Bellagamba ha perso un piede nell’attentato terroristico di Atocha), l’unico a conoscenza del suo proposito; poi c’è Tina, la bambola gonfiabile che gli ha regalato Bellagamba, e, da un certo punto in poi, appare pressoché dal nulla una sua ex, Agueda, incontrata casualmente nel mercatino sotto casa con una teiera che Toni aveva abbandonato nel mercatino stesso. Di tanto in tanto si fa vivo anche il figlio essenzialmente per bussare a soldi. È in questo quadro che Toni decide di programmare la sua dipartita perché “…cinquant’anni mi sembrano sufficienti. Ciò che fino ad allora la vita non ti ha dato è molto improbabile che te lo dia dai cinquanta in avanti”.
Ma Toni prima vuole prendere commiato dal suo passato e da sé stesso. Pertanto il suicidio – l’unico problema filosofico davvero serio come dice l’amato Camus – “il mio limite ultimo”, viene meticolosamente programmato perché avvenga esattamente dopo 12 mesi, la sera del 31 luglio dell’anno successivo. In questi 12 mesi, da agosto 2018 in poi, (a simboleggiare il tempo che passa e l’avvicinarsi della fatidica ora, i 12 capitoli del romanzo prendono il nome dei mesi che mancano), Toni programma, con grande serenità e freddezza, senza alcun dramma, di liberarsi fisicamente e metaforicamente del suo passato. Auspicando in cuor suo che possano essere utili ad altri – tanto a lui non serviranno più – comincia ad alleggerirsi delle sue cose lasciando gli oggetti di casa e i volumi della sua notevole libreria ovunque capiti: per strada, sulle panchine, negli androni dei palazzi, o gettandoli da qualche ponte cercando di farli cadere sui camion che passano sotto. Ma liberarsi della zavorra del suo passato è un po’ più difficile e per la prima volta decide di mettere a nudo sé stesso attraverso una sorta di diario personale in cui, alternando passato e presente, razionalizza senza infingimenti, senza ipocrisia ma con estrema lucidità e un pizzico di cinismo, la sua vita. Con una narrazione asciutta, propria di chi non ha più nulla da chiedere alla vita, con estrema sincerità, a volte con brutalità, spesso con ironia, Toni ripercorre le tappe della sua esistenza. Conosciamo così la sua famiglia di provenienza con un padre, temuto e ammirato più che amato, frustrato docente universitario di sinistra (il nonno era stato torturato durante il franchismo), manesco e alcolizzato; una madre che silente in apparenza rispetto alle violenze domestiche sputava nella minestra del marito; un fratello più piccolo, Raulito, se non odiato certamente mal sopportato; una ex moglie, Amalia, donna bellissima e “radical chic di sinistra”, commentatrice radiofonica di successo con cui ha ancora contatti per il figlio in comune; un figlio, Nicolas (Nikita), un po’ fuori di testa, oggettivamente limitato e per questo amato ma certo non stimato. Descritta così, sinteticamente, la vita di Toni sembrerebbe quasi giustificare il gesto finale che egli stesso ha programmato. In realtà questo dissacrante memoir è una rievocazione leggera del suo passato che presenta anche piccoli momenti di felicità che compensano quelli amari. È il bisogno, per Toni, “…di tirare fuori tutta la sporcizia accumulata dentro di me. Non voglio che mi ci seppelliscano, voglio essere in pace con me stesso e sentirmi pulito dentro nei miei ultimi istanti”. Nel momento in cui si appresta all’ultimo estremo atto Toni sente il bisogno di essere libero, libero dalle zavorre del passato, libero come gli amati rondoni che volano senza pause, senza tormenti esistenziali, pronti a migrare e a ritornare quando è il momento, senza altro impegno che quello di volare: eternamente liberi.
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La scelta di Toni
A caldo, dopo aver chiuso le oltre settecento pagine del libro I rondoni, è difficile descrivere la potenza di questo romanzo.
Vorrei chiarire che io non sono una letterata o una esperta, sono solo una a cui piace leggere e mi è capitato di leggere anche letteratura russa, non tanta, qualcosa, e da quando è successo, mi sono resa conto che riconosco gli scrittori che in qualche modo ne sono conoscitori e ne sono fortemente influenzati perché credo sia impossibile non esserlo. Aramburu è tra questi.
Durante la lettura mi ha ricordato Le memorie del sottosuolo di Dostoevskij e La morte di Ivan Il'ic di Tolstoj.
Così come l’uomo del sottosuolo, la forma è principalmente un lungo monologo. il protagonista, Toni, professore di filosofia, decide di cominciare il suo monologo interiore che proseguirà per tutto l’anno di tempo che lo separa dalla sua “morte volontaria”, così come chiama il suicidio l’amico Bellagamba.
Cito dall’introduzione di Malcovati alle memorie del sottosuolo, una parte che calza a pennello per il nostro aspirante suicida e il suo diario, perché meglio non si potrebbe dire;
Fausto Malcovati, Introduzione a Memorie del sottosuolo, Edizione Garzanti, Milano maggio 1992.
«Memorie del sottosuolo è un'opera fondamentale per Dostoevskij: d'ora in poi tutti i personaggi dei suoi principali romanzi avranno un sottosuolo, e vi penetreranno per poi risorgere rigenerati o per affondarvi senza speranza, senza soluzione. Certo, sottosuolo è negazione, è distruzione delle abitudini sociali cristallizzate, è rifiuto delle fissità convenzionali, è maledizione della solitudine.»
Ed è questo che fa Toni, scava nei ricordi più sordidi e in una lunga confessione, se ne libera. Si libera anche delle cose materiali a cui è stato più legato, si alleggerisce del peso di tutto ciò che lo ha portato fino lì, persino dei testi dei pensatori più amati nei suoi studi filosofici.
Del romanzo di Tolstoj , le considerazioni sulla morte e il fare i conti con le relazioni famigliari fallite, e non manca la figura salvifica e lo stupore di ricevere cura e attenzione in maniera del tutto gratuita e solo per bontà di cuore, così come Ivan Il’ic le riceve dal suo servo.
Non mancano le considerazioni politiche nel romanzo, il totale disincanto nei confronti proprio di questa, e non manca, tema caro allo scrittore, un accenno al dramma e all'orrore del terrorismo con le sue inevitabili conseguenze sulle persone.
Un romanzo destinato ad essere un classico, tanto quanto Patria, premio Strega europeo del 2018
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Confessioni di un aspirante suicida
“Non mi piace la vita. La vita sarà pure tanto bella come afferma qualche cantante e poeta, ma a me non piace. Che nessuno venga a tessere le lodi al cielo del tramonto, alla musica o alle strisce delle tigri. Al diavolo tutti quegli ornamenti. Per me la vita è un’invenzione perversa, mal concepita e peggio realizzata. Mi piacerebbe che Dio esistesse per chiedergliene conto. Per dirgli in faccia quello che è: un pasticcione (…). L’unica scusa di Dio è che non esiste”. (p.13-14)
Un altro Aramburu, lontano mille miglia da quello di “Patria”, con cui l’avevo conosciuto. Per me uno scrittore che si reinventa sperimentando tematiche, idee e forme nuove dopo un enorme successo letterario, è degno di interesse.
E ogni romanzo nuovo di Aramburu va letto come esperienza a sè, senza confronti e senza inutili aspettative generate dall’aver letto un libro colossale (non solo per la mole) come quello che gli ha fatto meritare lo Strega europeo.
“I rondoni” è un libro che celebra la vita…attraverso il suicidio programmato. Che paradosso!
L’ironia, le rivelazioni crude, i pensieri che tagliano e scavano dentro ferendoci nel profondo qui sono ancora più forti e sono inseriti all’interno di una narrazione intima che segue la struttura di un diario scritto ogni giorno in maniera quasi maniacale dall’agosto di un anno imprecisato al mese di luglio di quello successivo.
L’espediente del diario, così come quello dell’ epistolario, ha il pregio della confessione senza filtro, senza ipocrisie e senza reticenze. E quasi sempre fa affezionare il lettore al protagonista.
Chi non riuscirebbe a provare empatia per Toni, il professore di filosofia cinquantaquattrenne, con un matrimonio frettoloso e fallito alle spalle, con una ex moglie che lo ha tradito per una donna, con un figlio problematico? Come non affezionarsi al suo amico Bellagamba - nomignolo appioppatogli in segreto dopo l’impianto di una protesi al posto del piede destro perso in un incidente - alla sua ossessione stramba per le visite ai cimiteri, alle sue idee sulle modalità di suicidio che animano le discussioni con Toni al solito bar di Alfonso?
Come non amare la cagnetta Pepa, compagna inseparabile, silenziosa e comprensiva come un essere umano?
Il (falso)focus dell’opera è organizzare al meglio il proprio suicidio: Toni e Bellagamba le hanno pensate veramente tutte, dall’impiccagione, considerata poco elegante, alla polvere di cianuro. Il nostro professore ha però deciso di lasciare questo mondo con calma: ha bisogno di un anno per i preparativi, vuole andarsene senza lasciare nulla di sè , tranne che qualche bene di valore al figlio Nikita.
Tutto fa tranne che vivere i suoi giorni come se fossero gli ultimi. La sua principale preoccupazione è disfarsi degli oggetti (libri compresi, ahimè) e dei ricordi: i primi li lascia in giro per la città, in un angolo della strada, sotto la panchina del parco…i secondi li elabora e li “digerisce”nella scrittura, che a questo punto direi quasi terapeutica. È un prepararsi al distacco, con lucidità e consapevolezza, dalle memorie, dai libri amati: un procedimento di cui Toni ha tutto sotto controllo. È un uomo che non ha mai vissuto nulla di eccezionale, è inacidito dalla vita, dalle vicende familiari, dal rapporto poco fraterno col fratello, dall’ amarezza che il matrimonio gli ha riservato, dal piattume dei suoi studenti, dalla sua vita sessuale squallida. Prima sesso a pagamento poi la rassicurante e disponibile Tina: la sua love doll. Toni arriva a caricare di umanità una bambola, a considerarla parte dell’ultima fase della sua vita, una ‘donna’ ideale che gli assicura piacere senza tanti rituali e sceneggiate, sicura e affidabile.
“Le donne hanno ormai l’accesso al mercato del lavoro, la capacità di prendere decisioni e l’indipendenza economica. Alcune più di altre, ovviamente, come noi, i loro eterni rivali oppressori, nati per non ascoltarle né comprenderle. Bene, molto bene. Se lo meritano. (…) Noi adesso abbiamo le love dolls. Presumo che se le avessero inventate prima, la storia dell’umanità avrebbe percorso strade meno sanguinose”. (p.234-235)
Eppure non possiamo considerare Toni un nichilista. Una delle sue frasi preferite è di Cioran “Il suicidio è un pensiero che aiuta a vivere” (p.388) ovviamente annotata nella sua Moleskine, raccoglitore di preziose citazioni, che ogni tanto dispensa anche a noi curiosi lettori. Ma non si esime dal disprezzarsi per questa sua necessità di legittimare alcuni suoi pensieri ricorrendo a citazioni “In materia di pensiero, sono come gli scarabei stercorari, che vivono nella merda altrui”.(p.670)
Toccanti, nelle ultime pagine, i ricordi legati alla madre, che ha sempre visto come dispensatrice nostop di calore, protezione e nutrimento, “tetta incessante” , “un essere che serve e che dà”(p.671) . Attraverso le memorie, sparse alla rinfusa man mano che scrive nel suo diario, scopriamo la storia familiare di Toni, i suoi traumi, i suoi dispiaceri, le sue prime esperienze amorose.
Scritto in prima persona, in uno stile che è talvolta pirotecnica verbale, l’opera apre spesso piccole finestre metaletterarie che ho apprezzato: considerazioni sulla talvolta discutibile qualità dei libri vincitori di premi letterari e di successo editoriale, giudizi personali sulle opere dal finale aperto, dichiarazione d’amore verso certi libri che hanno significato molto nella sua vita. Tuttavia mi sento di avvertire certi lettori che hanno apprezzato “Patria” per lo stile e per la storia: stavolta ci troviamo di fronte ad un libro diverso, per certi versi accostabile al romanzo postmoderno americano per l’assenza di filtri sia nel linguaggio che in alcune descrizioni, senza però esagerare e senza tuttavia far risultare queste caratteristiche estranee all’economia dell’opera.
I rondoni, che danno il titolo al romanzo, appaiono come messaggeri di speranza, insieme alla primavera, sono fortemente attesi da Toni e non compaiono molto spesso come mi sarei aspettata. Sono figure misteriose, che si mostrano quando meno te le aspetti e a volte, se le aspetti, non si fanno vedere: sono gli angeli dell’ateo che spera di salvarsi dalla noia del vivere, sono imprevedibili, incarnano il suo ideale di vita.
“Se avessi potuto scegliere tra nascere uomo e nascere rondone, visto come è andata avrei deciso per la seconda opzione. Dico sul serio. Ora starei divorando insetti nei cieli dell’Africa anziché respirare il fumo di automobili (…) Che bella filosofia esistenziale: uscire da un uovo, solcare l’aria in cerca di cibo, vedere il mondo dall’alto senza tormentarsi con domande esistenziali, non dover parlare con nessuno, non pagare le tasse né le bollette della luce, non credersi il re del creato, non inventarsi concetti pretenziosi come l’eternità, la giustizia, l’onore, e morire quando ti tocca, senza assistenza medica, né onoranze funebri “. (p.92-93)
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A chi ama le confessioni, i diari.
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“L’inconveniente di essere nati” (Cioran)
Come può essere la vita di un individuo che pianifica di mettere fine alla sua esistenza nel giro di un anno? Perché questa scelta non dettata da situazioni estremamente dolorose e laceranti?
Il tema centrale dell’ultimo romanzo di Aramburu, “I rondoni”, è appunto il suicidio come atto di libertà assoluta. Non a caso l’autore fa riferimento, nel corso della narrazione, a una citazione di Max Frisch, drammaturgo svizzero, che afferma: “Il suicidio dovrebbe essere un gesto giudizioso”, gesto inteso come amore per la vita, come necessità di abbandonarla con eleganza, senza subire l’umiliazione e il degrado della vecchiaia. Questo convincimento spinge il protagonista del romanzo a scegliere di finire i suoi giorni proprio 12 mesi dopo aver maturato questa decisione. Egli sogna di trasformarsi in un rondone, di cui invidia la leggerezza e la libertà. Ciò lo induce a separarsi dalle cose più care che gli appartengono, tra cui i suoi libri, che semina ovunque, per la strada, in luoghi pubblici, nei cassonetti dell’immondizia: un progressivo distacco dagli uomini, dagli affetti e dalle cose. In più di settecento pagine Aramburu ci descrive la vita del suo protagonista, in forma autobiografica, nei dodici mesi che lo separano dal suo meditato suicidio, con tutti i salti temporali, necessari alla memoria per ripercorrere un’intera esistenza. Così ieri e oggi si sovrappongono con la stessa efficacia enunciata da Bergson nel suo concetto di durèe. Poiché la vita di ciascun individuo non è avulsa dal mondo che lo circonda, Aramburu riesce a inserire nel contesto lucide considerazioni sulla situazione politica della Spagna contemporanea, sullo stato dell’insegnamento nelle scuole, sull’evidente problema dei cambiamenti climatici, sulle problematiche interfamiliari, con particolare riferimento ai rapporti genitori figli. La difficile relazione tra esseri umani, il valore dell’amicizia, il piacere e la delusione che possono scaturire dall’amore e dal sesso sono parte importante della narrazione, come importante è il rilievo che Aramburu attribuisce al rapporto con l’animale domestico per eccellenza, il cane, al quale è concesso che si ponga fine alla sua vita senza dolore, con l’eutanasia, mentre all’uomo spetta spesso una morte dolorosa. Tutto ciò fa parte de “L’inconveniente di essere nati”. (Cioran).
Un romanzo che affronta temi filosofici con tale leggerezza e tale ironia, che ne compensano l’eccessiva lunghezza.