I ragazzi della Nickel
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Un bel romanzo di denuncia sociale
“Dobbiamo credere nel profondo dell'anima che siamo qualcuno, che siamo importanti, che meritiamo rispetto, e ogni giorno dobbiamo percorrere le strade della nostra vita con questo senso di dignità e di importanza.”
Premio Pulitzer per la narrativa nel 2020 e vincitore del National Book Award, “I ragazzi della Nickel” è un racconto di fantasia che prende però spunto da fatti veri (la storia di un istituto correttivo della Florida chiuso solo nel 2011 e nel quale si svolgevano fatti raccapriccianti, abusi e torture testimoniate da chi lo ha vissuto e dai resti ritrovati) ed è un romanzo di forte denuncia sociale.
Lo scopo del riformatorio sulla carta era aiutare i giovani a rimettersi sulla buona strada restituendo alla società persone migliori, di fatto era un luogo nel quale i continui abusi e le violenze che bambini e ragazzi dovevano sopportare, se resistevano e sopravvivevano, li rendeva persone ormai completamente finite e svuotate, destinate a una triste fine.
I racconti emersi dopo le denunce, anni dopo, hanno descritto questo riformatorio come un vero e proprio luogo degli orrori.
Se l’inferno esiste, questo era laggiù.
Siamo all’inizio degli anni ’60, quando la lotta per i diritti delle persone di colore si sta ormai espandendo in Florida come negli altri Stati ispirata dalle parole di Martin Luhter King. Ma tra le parole e la pratica ci vorrà ancora molto tempo per ottenere una vera parità di diritti, e forse ancora oggi questo tempo non è stato ovunque sufficiente.
Elwood, il protagonista, è un bambino mite e molto sveglio. Abbandonato dai genitori, vive con la nonna. Studia e allo stesso tempo svolge un lavoretto in un negozio riuscendo a guadagnarsi la stima non solo degli insegnanti ma anche del suo datore di lavoro che una volta intuitene l’attenzione e l’intelligenza se ne fida completamente.
Elwood ascolta e riascolta le parole registrate di Martin Luther King che divengono il suo faro e la sua fonte di formazione. In particolare coltiva la fiducia nel suo sogno in un mondo diverso nel quale finalmente tutti siano veramente uguali senza dover passare attraverso la violenza ma solo mediante l’amore.
Ottiene ottimi risultati a scuola e, ormai proiettato verso il college, che avrebbe iniziato nella stagione successiva, Elwood accetta un passaggio da uno sconosciuto per arrivare prima. Ad un controllo l’auto risulta rubata ed Elwood, che pure è estraneo al fatto, viene condannato al riformatorio, la Nickel appunto.
Si trova quindi catapultato in un universo di violenza e sopruso al quale cerca di fare fronte come può, da “resistente” e sognatore, come viene definito dal suo amico. Elwood rimane convinto che una vita migliore esista e che avrà la meglio sulle violenze. All’inizio lascia affiorare il suo senso di giustizia ed agisce di conseguenza. Questo non lo aiuta e viene destinato a forti punizioni corporali che lo fanno finire in ospedale. La vita, purtroppo, è talvolta molto diversa da come noi la vorremmo, ed Elwood cerca di mantenere un basso profilo con l’unico scopo di uscire il prima possibile.
All’interno del campo, come ovunque, i neri hanno un trattamento diverso dai bianchi: ricevono meno cibo e di minore qualità, gli alloggi sono peggiori, vengono puniti più spesso. Ingiustizia si somma a ingiustizia.
Alla Nickel fa amicizia con Turner che pur con meno convinzione, ne condivide idee e speranze e con lui la storia proseguirà.
Con la trama mi fermo non senza fare cenno al finale, pura poesia, che confesso di essermi riletta più volte non perché non fosse chiara ma per la bellezza di un cerchio che, finalmente e dopo tanta sofferenza, si chiude.
E’ un romanzo potente e di valore universale questo di Colson Whitehead che tiene attaccati alla pagina. La scrittura non cede mai alla facile retorica o alla lacrima, ma è asciutto e molto diretto mantenendo la barra sempre diritta sulla denuncia sociale di cui si fa portatore.
Questo però non vuol dire che si tratti di un pamphlet politico sociale: siamo invece di fronte a vera, grande letteratura.
La storia scorre rapida, trascinando il lettore in una vicenda che fa male ma dalla quale non si può prescindere. Un bel tratteggio dei caratteri, non solo del protagonista, con il quale il lettore arriva a congiungere quasi il respiro tanto si è coinvolti nella sua storia. Un disegno complessivo perfetto e che merita di essere letto.
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Storie di ordinario razzismo.
Premetto che ho scoperto tardi Colson Whitehead, infatti ancora non ho letto La ferrovia sotterranea, ma sono partito direttamente dall’ultimo suo romanzo, I ragazzi della Nickel, che gli è valso anche il premio Pulitzer ed il National Book Award.
Il libro racconta di un riformatorio, la Nickel Academy, dove il nostro protagonista Elwood, viene spedito per un puro errore giudiziario, o se volgiamo per puro caso, la classica persona sbagliata nel posto sbagliato al momento sbagliato. Da qui in poi però inizia la vera storia del libro, e cioè l’agonia di tutti questi adolescenti rinchiusi un quello che potrebbe essere definito un vero e proprio lager. I ragazzi neri venivano tenuti separato dai bianchi e come spesso purtroppo capito in certe strutture, subivano le angherie e le violenze delle guardie carcerarie.
Elwood inizialmente cerca di resistere e di essere “un bravo ragazzo” ma alla fine quando capisce che la sua vita lì dentro è destinata a peggiorare si lascia convincere dal tentare la fuga, così come aveva fatto un ragazzo prima di lui, o almeno così gli viene raccontato in quella che sembra più che altro una leggenda da ragazzi.
Alla fine Elwood, grazie all’aiuto di Turner, un amico del riformatorio, tenta la fuga.
Non vi dico come andrà a finire ma sicuramente la parte che viene dopo, che vede protagonista lo stesso Turner, è quella più bella e toccante di tutto il romanzo.
Il romanzo è scritto in un linguaggio, veloce e diretto e di legge molto velocemente (non è neanche troppo lungo, meno di 300 pagine). Gli argomenti trattati purtroppo sono di quotidiana crudeltà e molto attuali, oltretutto Whitehead è un attivista molto famoso in America e quindi sa bene di cosa parla.
Il libro mi è piaciuto molto, ma onestamente non so se gli avrei dato il premio Pulitzer, pur considerandolo comunque un ottimo romanzo infatti forse manca di originalità in diversi passaggi.
Detto ciò resta comunque un’opera da leggere e Whitehead un grande scrittore.
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Una riflessione forte e diretta
Frenchtown (Tallahassee), primi anni Sessanta. Edwood Curtis è uno studente modello. Vive da solo con la nonna essendo stato abbandonato dai genitori, tuttavia, ciò non gli impedisce di essere il prediletto tra i vari insegnanti e un grande detentore degli insegnamenti di Martin Luther King. Nonostante le sue origini e la sua etnia è tra i prescelti che verranno introdotti allo studio universitario, potrà cioè frequentare e con anticipo il college della città e cambiare le sue sorti, concedersi una rivincita su quel mondo così ostile che lo circonda. Ha un lavoretto con il quale contribuisce alle spese di famiglia nonché un’indole docile e dedita al rispetto delle regole che lo circondano. È ingenuo, fiducioso, ecco perché accetta un passaggio in macchina che mai avrebbe pensato potesse così cambiarne le sorti. Perché quella macchina è rubata, perché le sue origini non sono tra le favorite dalla società, perché quel fatto lo addita quale delinquente. Lui che nel suo avvenire vedeva tante possibilità e la speranza di una sorte rispettabile e onesta, si ritrova condannato. La Nickel Academy è la sua destinazione, il luogo in cui vengono sbattuti gli sbarbatelli per essere corretti, per essere muniti di quell’educazione di cui sono sprovvisti al momento del loro arrivo. Giunto nel riformatorio intesserà un rapporto con Julian l’unico che come lui è ancora umano. Tra quelle mura il protagonista sarà costretto a resistere ad ogni sorta di violenza, auspicando per la sopravvivenza, auspicando di poter tornare alla libertà, alla vita. Prova a resistere, a tenere un profilo basso, ad attendere che gli eventi facciano il loro corso, ma vuole anche giustizia. La sua onestà, la sua dignità gridano a gran voce dalle sue viscere.
Ispirato alla storia vera della Dozier School for Boys di Marianna in Florida, “I ragazzi della Nickel” è un elaborato che arriva in tutte le sue sfumature, un libro che deve essere letto, che coinvolge e che strazia. Ci sono delle parti davvero dure da affrontare, altre che invitano ad una riflessione sincera su tematiche ancora oggi attuali e a noi vicine (dal razzismo al riscatto sociale).
Un componimento con il quale meritatamente lo scrittore torna a vincere, per la seconda volta, il Premio Pulitzer narrativa 2020, uno scritto che ci parla di discriminazione, di diversità, di onorabilità, di rettitudine, di rispettabilità, di riscatto, di seconde possibilità, di apparenze e molto altro ancora. Da leggere.
«Ci sono grandi forze come Jim Crow, che vogliono tenere sottomessi i neri, e ci sono piccole forze, come la volontà degli altri, che vogliono tenere sottomesso te, e di fronte a tutte queste cose, grandi e piccole, devi drizzare la schiena e rimanere consapevole della tua identità. Le enciclopedie sono vuote. Ci sono imbroglioni che ti offrono il vuoto con un sorriso, mentre altri ti rubano il tuo amor proprio. Devi ricordarti chi sei. […] Non perché un torto fatto a suo fratello era un torto fatto a lui, come dicevano in chiesa, ma perché per lui non intervenire significava compromettere la propria dignità. Pazienza se il signor Marconi aveva detto che non gli importava, pazienza se lui aveva sempre taciuto quando gli amici rubavano sotto i suoi occhi. D’un tratto gli sembrava senza senso aver acquisito l’unico senso possibile.»
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Questo senso di dignità
Colson Whitehead vince nuovamente il Premio Pulitzer per la narrativa nel 2020 con questo romanzo, “I ragazzi della Nickel”. Ancora una volta un’opera che affonda le sue radici sul tema del razzismo e della violazione dei diritti civili. L’autore infatti aveva già vinto il Pulitzer nel 2017 con “La ferrovia sotterranea”, che raccontava la storia di una schiava in fuga per la libertà.
Questo romanzo invece è ambientato negli Stati Uniti negli anni Sessanta: le sfumature fantastiche de “La ferrovia sotterranea” sono scomparse ed anche quel certo distacco e freddezza che avevo percepito in quella precedente lettura. Stavolta la storia mi ha subito coinvolta anche emotivamente, pur nella sua crudeltà e violenza, pur nella sua estrema tristezza, è rimasta una storia capace di commuovere, una storia di dignità, di rispetto, di amicizia ed anche, sì, una storia nella quale la luce della speranza non viene definitivamente spenta.
Elwood è un ragazzo di colore che vive a Tallahassee, quattrocento chilometri a sud di Atlanta. E’ intelligente e capace, meticoloso, uno studente modello; lavora in una tabaccheria per aiutare la nonna e mettere da parte i soldi per andare al college.
Un giorno si trova nel classico posto sbagliato al momento sbagliato: fa l’autostop per arrivare al college e sale su un’auto rubata. Da quel momento il suo mondo, i suoi sogni e i suoi progetti precipitano. Viene rinchiuso in una specie di riformatorio, la Nickel. Non ha la possibilità di controbattere in alcun modo rispetto all’ingiustizia che ha subito. L’unica persona che costituisce la sua famiglia, la nonna Harriet, spende tutti i risparmi per pagare un avvocato che si dimostrerà un impostore.
Elwood, rinchiuso alla Nickel, subirà, come gli altri ragazzi, una serie di soprusi, abusi, violenze, pestaggi. La logica a quel punto è: sopravvivere mantenendo un profilo basso e aspettare di uscire in qualche modo. Eppure, malgrado il buonsenso e la razionalità gli suggeriscano queste semplici mosse, Elwood non si piega all’annientamento. Lui è resistente. Lui è umano, è onesto, vuole giustizia, vuole dignità.
Alla Nickel fa amicizia con Turner, un ragazzo molto diverso da lui ma ugualmente umano e non del tutto sottomesso all’ingiustizia.
Il libro è un’opera di fantasia ma è ispirato alla vera storia della Dozier School for Boys di Marianna, in Florida.
E’ un romanzo da leggere, coinvolgente, straziante, toccante. Per riflettere, per non dimenticare l’importanza dei diritti umani, per riaffermare il nostro senso di dignità.
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La scuola degli orrori
Ci sono libri che riescono a rimanere impressi nella nostra mente e nel nostro cuore, scavano nell’anima e sedimentano. Tra questi si può annoverare il nuovo romanzo di Colson Whitehead, noto al pubblico per “La ferrovia sotterranea” con il quale ha vinto il Premio Pulitzer.
Whitehead, prendendo spunto da una storia vera fatta di violenza e razzismo, ci racconta una tragedia americana ambientata nella Florida degli anni sessanta, all’epoca in cui la figura del reverendo Martin Luther King era un imprescindibile punto di riferimento per la lotta della popolazione di colore contro la segregazione razziale per l’ottenimento di quei diritti civili così spesso negati.
Al centro della vicenda la Nickel Academy, scuola–riformatorio nella quale, senza troppe preoccupazioni, vengono spediti dalle autorità locali ragazzi minorenni -bianchi o neri indistintamente anche se il colore della pelle è spesso un aggravante- considerati disagiati, oppure perchè orfani o vittime di famiglie violente o perché accusati di piccoli reati. L’obiettivo della scuola sarebbe quello di educare e recuperare gli adolescenti in difficoltà ma dietro le sue mura vengono compiute, da parte dei sovrintendenti reggenti che godono di parecchie immunità, le più terribili rappresaglie: punizioni corporali ingiustificate, episodi di segregazione prolungata, sfruttamento del lavoro minorile. Partendo da questa cornice Whitehead racconta queste atrocità attraverso la salda amicizia tra due ragazzi di colore Elwood e Turner, finiti alla Nickel il primo a seguito di una falsa accusa per furto d’auto ed il secondo a causa di un episodio di teppismo nei confronti di un bianco. I due giovani sono perfettamente complementari, si completano a vicenda: Elwood è acculturato, fervido sostenitore dei movimenti di protesta dei neri, ma allo stesso tempo piuttosto ingenuo ed incline a mettersi nei guai. Turner è invece fortemente disilluso, cinico, dotata di scarsa cultura ma abile nel comprendere come un nero deve comportarsi in quell’ambiente “razzista di brutto”, in cui “la metà della gente che lavorava li probabilmente si metteva il cappuccio del Klan nel fine settimana”.
Un ambiente in cui il male penetra fin nelle fondamenta e rimane indelebile nella mente delle sue vittime per tutta la vita (“Ecco cosa ti faceva la scuola. Non si fermava quando uscivi. Ti storceva in tutti i modi finché non eri più capace di rigare dritto, e quando te ne andavi eri ormai completamente deformato”).
Un romanzo che colpisce e che a tratti, nello stile narrativo, ricorda una triste e drammatica cronaca di eventi rimasti oscuri per troppo tempo, grazie anche alla complicità del governo della Florida, lo Stato dove era localizzata la "scuola degli orrori" realmente esistita. Whitehead ha avuto il merito di capire che non era più possibile tacere davanti a tutto questo, soprattutto davanti alle improvvise scomparse di molti di quei ragazzi, che venivano troppo spesso eliminati e sepolti in cimiteri improvvisati all’interno della scuola.