I ragazzi Burgess
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Recensione della Redazione QLibri
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I ragazzi Burgess di Elizabeth Strout
Con I ragazzi Burgess, il suo ultimo romanzo, Elizabeth Strout (premio Pulitzer 2009) ci offre un’immagine quasi spietata nella sua obiettività della società americana dei nostri giorni.
La narrazione prende lo spunto dalla sgradevole vicenda che vede coinvolto uno dei più giovani membri della famiglia Burgess, il diciannovenne Zachary, che compie un improvviso e apparentemente inspiegabile reato, gettando una testa di maiale all’interno di una moschea dove si trovano riuniti in preghiera somali immigrati negli Stati Uniti. Siamo in una piccola città del Maine, Shirley Falls.
Il delitto commesso da questo giovane chiuso e introverso riunisce la famiglia ormai composta solo dai tre fratelli, Jim, brillante avvocato di successo, e Bob e Susan, gemelli. Insieme a loro si trovano inevitabilmente coinvolti, sia pure solo di riflesso, i coniugi o ex- coniugi.
Tra Shirley Falls e New York, i ragazzi Burgess si trovano a fare i conti con le falsità, le tensioni, le contraddizioni familiari, per troppi anni represse e volutamente ignorate. Il timore di vedere un membro della famiglia rischiare l’accusa di “crimine d’odio” e di finire in prigione, porta inesorabilmente allo scoperto la vera personalità dei fratelli: tre individui, tre solitudini unite da un vincolo di sangue che solo attraverso un doloroso percorso giungeranno a una probabile riconciliazione.
Questa in sintesi la trama: come Roth e Franzen, anche la Strout evidenzia la crisi istituzionale della famiglia che riflette al suo interno la decadenza dei valori della società contemporanea.
L’intreccio del romanzo serve da spunto a serie riflessioni e profonde considerazioni sulla società e sulla politica americana.
Il problema del razzismo è il primo e più evidente tema che viene affrontato ponendo l’accento in particolare sulla situazione politica della Somalia, sull’infruttuoso intervento degli Stati Uniti in quel paese. È il personaggio di Abdikarim ad affermare che “il suo paese era malato, in preda alle convulsioni. Coloro che avrebbero dovuto aiutarlo, erano infidi, sleali.” (Libro IV).
Un’affermazione durissima, che mette l’accento non solo sul problema dell’integrazione delle popolazioni migranti, ma ancor più sul machiavellico uso della politica che mostra sempre una duplice faccia.
Non è certo facile per chi sia rimasto legato a quell’immagine dell’America come il paese del “sogno americano”, il paese del self-made man, il paese di Lincoln, il paese che è riuscito ad eleggere un presidente di colore, accettare questo aspetto della realtà e questa versione dei fatti. Eppure la grandezza di una nazione consiste proprio nella capacità di prendere coscienza dei propri errori, e il concetto di democrazia impone la denuncia di tutto ciò che non rientri nei canoni della giustizia e del rispetto dei diritti umani.
È al personaggio di Bob che la scrittrice attribuisce una delle affermazioni più dissacranti: “….perchè in realtà, nel profondo, da quando sono andate giù le due Torri è proprio questo che vogliamo, noi ignoranti bambinetti americani. Avere il permesso di odiarli. (i musulmani).”
Elizabeth Strout compie con questo romanzo un atto di grande onestà intellettuale. E se è vero che la democrazia non è un valore esportabile, è vero tuttavia che il principio di denunciare i mezzi spesso discutibili usati dalla realpolitik può essere fruttuosamente diffuso per migliorare il mondo in cui viviamo.
Ed è attraverso scrittrici come la Strout che l’America può ancora affermarsi come un grande paese democratico, che ha il coraggio di affrontare le critiche più feroci e quantomeno discuterne.
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Passato ingombrante
…” I fatti non avevano importanza, erano le storie ad averne e ciascuna delle loro storie apparteneva soltanto a ciascuno di loro “…
Tre fratelli, due dei quali gemelli, legati a doppio filo da un fatto di cronaca che riallaccerà i fili di un nucleo famigliare da tempo disgregato che oggi vive di lontananza e diversità.
Ma se Jim e Bob, entrambi avvocati, l’ uno fascinoso, brillante, celebre, l’ altro incerto, buffo e bonario, trasferitisi a New York con differenti fortune lavorative ed affettive, continuano a frequentarsi, Susan si è completamente defilata e risiede ancora nel luogo natio, Shirley Falls, ( nel Maine ) insieme al figlio Zach, ragazzo schivo e silenzioso. Quest’ ultimo, accusato ( giustamente ) di avere gettato una testa di maiale isanguinata all’ interno di una moschea dovrà superare la gogna mediatica ed un rischioso processo penale in difesa della libertà e dignità delle minoranze etniche e religiose ( in questi casi i somali ).
Un fatto increscioso pretesto per il riavvicinamento dei fratelli Burgess dopo quella terribile sciagura famigliare che in un passato lontano ne ha deragliato l’ esistenza, la morte accidentale del proprio padre investito dalla sua automobile al cui volante si era messo accidentalmente Bob, che allora aveva solo quattro anni, insieme ai fratelli.
Fu un incredibile incidente ed un bambino non poteva essere accusato di omicidio, ma in quel momento gli equilibri interfamigliari cambiarono, introducendo sgomento e silenzio, odio e parole non dette, malgrado il tempo cercasse di guarire ferite invisibili e non rimarginabili.
La verità, celata dietro caratteri contrapposti, può riemergere improvvisa, sollecitata dagli eventi, da un senso di colpa vissuto ( più o meno consapevolmente ) per lunghi anni e da una rivisitazione di un reale che pare lontano, stanchi di mentire, a se stessi ed agli altri, inseriti in un mondo ed in un contesto lavorativo che non sentiamo più nostro.
La vita ricerca un senso ed è inutile e doloroso continuare a nascondersi, omologati dalla superficialità altrui, sovente con un destino segnato, in questo caso la morte del proprio padre. Ma se Bob e Susan, gemelli diversi, da quel giorno si sono separati e persi sulla strada del proprio fallimento, tra accuse e senso di colpa, Jim parrebbe il solo superstite della vita, circondato da popolarità, successo, ricchezza e da una bella famiglia. Eppure così non è perché l’ eccesso di visibilità, il desiderio di autocompiacimento e la continua ricerca del consenso spesso sottendono fragilità e vuoti incolmabili.
Bob si sente inutile, Susan una moglie ed una madre fallita, Jim ha perso tutto e l’ assoluzione di Zach non scaccerà i fantasmi del passato.
Ormai pare troppo tardi, ci si considera estranei nel luogo che per lungo tempo è stato la propria casa, completamente soli, conoscendo ciò che accompagna ogni perdita, la forza accecante del panico ed un bizzarro senso di liberazione, ma la verità nasconde dubbi e nuove certezze.
Ed allora scoperchiare e ridefinire un passato mai definitivamente sepolto segna l’ inizio di altro o la fine di tutto, con l’ incertezza su quello che realmente è accaduto. Oggi tutto e niente è cambiato, indirizzato per vie impercorribili, scoprendo quanto a lungo ci si è nascosti, quanto male si è fatto e si continua a fare per proteggere se stessi, ma anche quanto sia importante la propria origine e che i fratelli, oggi irriconoscibili e senza niente da condividere, rimangono sempre i propri fratelli.
Un bel romanzo ( pur non raggiungendo le vette di “ Olive Kitteridge “ ) che sottolinea temi di identità ed appartenenza, di multietnicita’, di razzismo, di libertà espressiva, il contrasto ( socioeconomico) provincia-metropoli, le menzogne della società americana, l’ essere e l’ apparire, insieme ai difficili ed imperscrutabili rapporti interfamigliari, in sostanza quell’ universo relazionale ed affettivo fragile e delicato che vede nella famiglia l’ incipit e l’ exitus di un certo mondo e delle proprie problematiche secondo un preciso profilo psicologico ed equilibri piuttosto precari.
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Nessuno mi può giudicare
“I ragazzi Burgess” è un piacevole romanzo di Elizabeth Strout, rilassante come guardare una commedia holliwoodiana anni ’50 alle cinque del pomeriggio.
Il prologo, nel quale due vedove, madre e figlia, amabilmente conversano e rievocano il passato, scostando indietro le tende per guardare le betulle, dà il tono all’intera narrazione, come se l’autrice volesse ammorbidire l’impatto degli eventi più drammatici, stemperandoli nella luce tiepida del suo stile confortevole.
Seguendo i personali ricordi delle due amabili signore, si fa velocemente amicizia con Jim, Bob e Susan Burgess, si conoscono i rispettivi coniugi e anche Zachary, il ragazzo ignorantello e impaurito che dà impulso alla storia e ne sostiene la trama fino almeno a metà.
Nella prima parte i personaggi sono vivi e credibili, pur riconducendosi ciascuno a qualche archetipo del cittadino americano, e sono ben inseriti in tematiche culturali e sociali appena tratteggiate, per non disturbare troppo i personaggi in primo piano, eppure rese con buona efficacia.
Da metà in poi, il romanzo ha una svolta, il motore iniziale della storia rallenta e si spegne e rimangono i personaggi, soli e nudi e senza maschera. “Nessuno mi può giudicare” potrebbe essere il titolo di questa seconda parte o, come la vedova più anziana afferma nel prologo, “nessuno conosce mai veramente qualcuno”.
L’eroe abile, disinvolto e pragmatico della prima parte, quello attento ai bisogni e alle debolezze umane (per prendersene cura, nel caso dei propri familiari, oppure per sfruttarli a proprio vantaggio, nel caso di avversari e ostacoli nella battaglia per la vita), il self made man che non sopporta i gretti razzisti ma è ugualmente allergico alle ipocrisie dei moralisti di professione e infastidito dal fanatismo del “politically correct”, l’uomo fuggito dall’ambiente chiuso del Maine e che riesce a non farsi fagocitare dalla Grande Mela, il professionista di successo, il marito invidiato, il padre che tutti vorrebbero avere ha un suo lato oscuro. Non sorprende che ci sia, perché ce lo aspettavamo e avevamo messo in conto che potesse essere esattamente “quello”. Sorprende piuttosto che questa scoperta abbia il potere di mandare in frantumi il personaggio e buona parte del mordente della storia.
Il romanzo funziona ancora, perché a questo punto il lettore è stato saldamente agganciato all’amo, però non c’è più la naturale scioltezza dell’avvio.
Una volta chiuso e rimesso il libro al suo posto sullo scaffale, ci capiterà di ripensare a Jim, Bob, Susan, Hellen, Pam e Zach come a persone incontrate in una lunga e piacevole vacanza, che ci hanno fatto divertire, ci hanno confidato qualche segreto e resi partecipi di qualche angoscia, senza tuttavia risultare mai invadenti, né noiosi. Tutti insieme ci hanno confermato che gli Stati Uniti d’America sono un posto dove è molto complicato nascere, crescere e vivere. Insomma, ce n’è di che rimanere soddisfatti, alle cinque del pomeriggio, tra un biscottino e l’altro, con il sole che filtra delicato dalle tende, mentre fuori il vento accarezza le betulle.
“Che cosa farò, Bob? Non ho più una famiglia”.
“Sì che ce l’hai”, rispose Bob. “Hai una moglie che ti odia. Tre figli che ce l’hanno a morte con te. Un fratello e una sorella che ti fanno impazzire. E un nipote che una volta era una nullità, ma a quanto parte ultimamente lo è un po’ meno. Questo è ciò che si definisce una famiglia”.
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Nessuno conosce mai veramente qualcuno
E' l'America contemporanea in particolare e l'umanità in generale ciò che la Strout scruta con occhio acuto e compassionevole, mentre racconta una storia che è un mix sapiente di quotidianità e profonde riflessioni.
“Nessuno conosce mai veramente qualcuno”, si legge nelle prime pagine, e sembra essere proprio questa la peculiarità del romanzo: ciascun personaggio è descritto in modo diverso a seconda del punto di vista di chi lo giudica e sta al lettore afferrarne la vera essenza.
Si entra subito in empatia con Bob, il fratello imbranato e strapazzato dalla vita, simile ad un grande orso di peluche, così diverso dal brillante Jim, quello che ce l'ha fatta.
C'è chi ha vinto e chi ha perso, fino a quando si scopre che qualcuno ha barato e che il passato presto o tardi presenta il conto: “Niente è mai tanto tempo fa”.
Situazioni e stati d'animo sono resi con realismo perfetto sullo sfondo di una cittadina puritana del Maine, lacerata tra diffidenza e tolleranza di fronte ai suoi nuovi abitanti provenienti dalla Somalia.
Poi c'è New York, affrescata in modo impeccabile, e la bolla immobiliare che di lì a poco scoppierà mettendo in ginocchio l'economia di una nazione “buona e generosa per un verso, sprezzante e crudele per altri”.
L'amore fraterno e coniugale è il sentimento predominante e attraversa la narrazione come l'unica certezza, come una corda robusta che si assottiglia ma non si spezza indicando sempre la direzione da prendere.
Andare oltre i pregiudizi senza fermarsi alle apparenze, accettare il semplice fatto che non esiste un modo perfetto di vivere e prendere consapevolezza del “carattere prismatico del nostro sguardo sugli altri” è il messaggio che passa tra le righe, anche tramite i pensieri di un uomo somalo che prima di arrivare negli Stati Uniti aveva immaginato che la neve fosse fredda e bianca:
“Ma la neve non era così. Era silenziosa, intricata, pieno di mistero”.
E' un romanzo da assaporare pagina dopo pagina, intenso e corroborante. Farà del bene a chi lo legge.
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istruttivo a livello personale
I RAGAZZI BURGESS- ELISABETH STROUT
Elisabeth Strout, autrice già di molti libri, tra i quali Olive Kitteridge, vincitore del premio Pulitzer 2009, torna nelle librerie con il suo nuovo lavoro, I ragazzi Burgess, edito da Fazi e tradotto da Silvia Castoldi.
Il romanzo è ambientato ai nostri giorni e narra di tre fratelli che si ritrovano nel loro paese natale dopo tanti anni a causa di un incidente provocato dal nipote. Jim, Bob e Susan Burgess sono cresciuti in un piccolo paese del Maine sotto le cure di una madre rigida e bigotta. Crescendo i tre hanno preso strade diverse: Jim, maggiore dei tre, avvocato di successo trasferitosi a New York vanta una magnifica famiglia composta dalla fedele moglie Helen e i tre figli che studiano al college; Bob, anche lui avvocato, al contrario del fratello non vive una vita serena, è pieno di paranoie, mezzo alcolizzato, divorziato e tremendamente intimidito dal fratello, abita anche lui a New York in un appartamento definito da Jim >. Susan è la sorella gemella di Bob ed è l’unica dei fratelli Burgess ad essere rimasta a Shirley Falls, vive in una vecchia casa senza riscaldamento, con suo figlio e una vecchia signora a cui subaffitta una stanza; sarà proprio suo figlio Zachary ad innescare la miccia che obbligherà i tre fratelli a ritrovarsi dopo tanto tempo.
Elisabeth Strout crea una trama nella quale rimangono coinvolti diversi personaggi oltre ai tre protagonisti, e per ognuno di loro, struttura un’analisi approfondita dei pensieri, delle sensazione e delle emozioni. La trama sembra quasi un pretesto per poter analizzare i diversi stati d’animo, appare incredibile come le descrizioni per ogni personaggio siano costruite in maniera minuziosa ed intima e trasmettano al lettore l’emozione direttamente sulla pelle. Il quadro iniziale raffigura uno stereotipo dell’America del giorno d’oggi ma alla fine del libro l’autrice riesce a stravolgerne l’equilibrio dipingendone un’immagine più veritiera e profonda. Sembra che la Strout abbia vissuto mille vite diverse per essere stata in grado di analizzare una così vasta selezione di emozioni. I ragazzi Burgess non è un libro che si legge velocemente ma, come per scalare una montagna, arrivati in cima la vista è mozzafiato.
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Sbagliando si impara
I ragazzi Burgess è caratterizzato da una scrittura molto chiara, semplice, diretta, la Strout riesce a delineare perfettamente il carattere dei protagonisti, l'avvocato di fama Jim Burgess, il fratello Bob anche lui avvocato ma di scarso successo e la sorella Susan . Quest' ultima vive con il figlio Zach il quale senza neanche essere in grado di spiegarne il motivo, getta una testa di maiale all'interno di una moschea durante la celebrazione del Ramadan.
Dopo che questo episodio diventa di dominio pubblico, tutti e tre i fratelli si ritrovano per cercare una soluzione e dare il proprio aiuto al giovane sprovveduto che nel frattempo viene arrestato, ma non dovranno fare i conti solo con il presente, anche dal passato torna lo spettro del tragico incidente in cui perse la vita il padre dei tre fratelli.
Un romanzo che come lo ha definito la stessa autrice :" parla di uomini e donne che sono costretti ad affrontare un dolore rimosso dal quale si sono illusi di poter sfuggire. E che ora possono crescere, sapendo che con ogni probabilità sbaglieranno di nuovo ".
Sicuramente uno dei migliori romanzi che ho letto nel 2013, consigliatissimo.
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I Burgess
Lo stato del Maine e la città di New York scorrono e si intrecciano vorticosamente nello scorrere delle pagine.
La quiete, le routine e le consuetudini consolidate di una minuscola cittadina americana si incontrano con la diversità e le problematiche dell'immigrazione, così come il rumore, la frenesia ed il benessere della grande mela si scontrano con la correttezza, la moralità e la felicità dei protagonisti.
Al di là degli eventi narrati, la Strout è un'autrice che costruisce il suo personaggio pezzo dopo pezzo, mettendo sempre in luce l'impossibilità della perfezione, smascherando certi meccanismi sociali ipocriti e meschini.
Gli uomini e le donne della Strout, sono peccatori, talora apatici e opportunisti, attratti per lungo tempo dalla strada più semplice per la serenità ed il successo personale, eppure non sono esenti dai colpi di coda del destino, costretti a tirare le somme del loro operato sia sociale che familiare.
A fianco alla tematica dell'integrazione e dell'accettazione delle differenze culturali e religiose , è forte anche in questo romanzo il tema della famiglia; dell'importanza delle origini, dell'impronta sull'individuo, dei rapporti tra fratelli, tra genitori e figli, tra coniugi.
Quelle raccontate dall'autrice sono storie di equilibri precari, di mancanze, di errori, di solitudini.
In quest'ultimo romanzo dell'autrice americana alberga tanta realtà odierna e le capacità espressive sono indiscutibili, tuttavia tra le ansie, le tensioni e le schiarite di queste pagine, non si ravvisa la brillantezza profusa in “Olive Kitteridge”.
All'appello manca un pizzico di magia nella narrazione e a tratti il racconto sembra patire un rallentamento; il tema immigrazione e le immagini che ne scaturiscono suonano talora stereotipate, seppure ottimi spunti per riflettere su situazioni sociali attuali.