I quarantuno colpi
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Immagini dalla Cina
La Cina ha due premi Nobel per la letteratura: il primo è l’eretico Gao Xingjian, voce critica che dalla lontana Francia agita lo spettro degli eventi di piazza Tienanmen, il secondo è invece Mo Yan, romanziere esperto, esaltato in patria, il cui successo si deve anche al regista Zhang Yimou, che ha tramutato in immagini il libro più celebre di Yan, “Sorgo Rosso” (1988). Anche “I quarantuno colpi” (2003) è un romanzo che ben funzionerebbe come sceneggiatura di un film: le immagini che il romanzo evoca sono “eloquenti”, vivide, corpose, forti e talora viscide; dalla carta esala l’odore acre della carne e spesso s’alza un nugolo di mosche, assettate di morte. “Grande monaco dalle nostre parti quando i bambini fanno gli sbruffoni e raccontano bugie si dice ‘che sparano cannonate’, ma ciò che le racconterò è la verità, pura e semplice”: è così che Luo Xiatong, protagonista del romanzo, inizia il suo lungo tuffo nel passato che gli permetterà, sotto la supervisione di un silente monaco, di poter iniziare un percorso di purificazione e di affrancamento.
La storia di Xiatong è l’ennesima storia inscritta nel grande oceano dell’esistenza, il samsara, un oceano di sofferenze dove i pesci si divorano reciprocamente a piccoli morsi: vissuto nella miseria più nera, Luo subisce l’allontanamento del padre, che fugge con l’amante Ye Luozi, e gli improperi dell’arcigna madre, che lo costringe a una vita di stenti; il ricongiungimento dei genitori e l’amicizia con la sorellastra Jiaojiao si rivelano essere soltanto degli illusori momenti di tranquillità, che anticipano la completa rovina. La famiglia di Luo, infatti, si affida al capo-villaggio Lao Lan, che ha intenzione di dar vita a una vera e propria industria della carne, in grado di soppiantare le macellazioni “artigianali”, e finisce stritolata da giochi di potere, tradimenti e indifferenza. Luo Xiatong trova il balsamo di tutti i suoi mali nella carne, nonostante sia corrotta, piena d’acqua o di formaldeide; essa gli sembra vibrare, contorcersi e piangere di piacere stretta fra i suoi denti. È la sua proverbiale ingordigia a renderlo una vera e propria divinità agli occhi dei suoi compaesani. Ma quando si rende conto che persino l’amata carne è ricettacolo di sofferenza (la piccola Jiaojiao morirà per un’indigestione di carne avariata), Luo Xiatong non può che constatare che la mondanità in cui è conficcato è un cancro che dissipa e assorbe ogni energia positiva. È per questo che egli tenta (o sogna?) di distruggere il villaggio e di uccidere il temibile Lao Lan. È per questo motivo che si rivolge al monaco. Eppure il romanzo si conclude con il protagonista che, una volta terminato il racconto, non s’immerge nel vuoto buddhista, ma guarda l’orizzonte popolarsi di tutte le figure, amiche e nemiche, che hanno accompagnato la sua esistenza: una scena che non poteva non ricordarmi quel capolavoro di “Otto e mezzo” di Fellini, il cui finale è un caleidoscopico girotondo di fantasmi del passato.
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Un grottesco inno carnivoro
I quarantuno colpi - Mo Yan
Ho iniziato a leggere questo romanzo perché spinto dalla voglia di scoprire di più sulla Cina, le sue tradizioni e soprattutto la sua trasformazione da economia contadina a super potenza industriale; ci aggiungerei anche che il fascino di leggere un’opera di un premio Nobel ha giocato la sua parte, purtroppo questa somma di fattori ha dato un risultato non proprio in linea con le mie aspettative.
Il romanzo si sviluppa lungo due piani temporali: il presente, scritto in corsivo, dove Luo Xiaotong il protagonista del libro, racconta ad un monaco la sua vita. Il racconto si svolge all’interno di un tempio in rovina ed è continuamente interrotto da accadimenti al di fuori del tempio dove si sta organizzando una pacchiana festa della carne; il passato invece scritto in caratteri normali narra i ricordi del piccolo Luo, di quando era solo un bambino che voleva mangiare carne più di ogni altra cosa e che piano ma costantemente fa carriera nell'industria locale di produzione di carne.
Il romanzo è scandito in 41 capitoli, come i colpi di cannone a salve che si sparano in occasione di feste e inaugurazioni e che nel romanzo rappresentano una pirotecnica quanto fantasiosa fine. Lungo questi capitoli si racconta di una Cina dove il benessere tarda ad arrivare nonostante le recenti riforme agrarie e dove in nome del progresso si produce senza rispettare qualità e sicurezza. Il villaggio dove è ambientato infatti è un centro di produzione di carne, in piena crescita dove non ci si fa scrupoli a riempire gli animali d’acqua o a iniettare nei prodotti formalina per farli conservare meglio. Seguendo i ricordi del piccolo Luo e della sua famiglia si rincorrono gli anni dove la Cina è diventata quella potenza capitalista di oggi che insegue il profitto a scapito di qualsivoglia principio morale e qualitativo, e si assiste all’ascesa del protagonista caratterizzato da una proverbiale capacità di mangiare carne in quantità inimmaginabili fino alla sua altrettanto inimmaginabile caduta.
Una storia che personalmente non mi ha appassionato molto, che ho trovato grottesca e poco affascinante che non mi ha coinvolto e che mi ha dato non poche difficoltà per portarla a termine. Posso solo immaginare cosa potrebbe succedere se questo libro venisse letto da un vegetariano, non penso che sarebbe apprezzato data la maniera in cui vengono trattati gli animali. La parte più interessante delle vicende narrate è senza dubbio la parte “tecnica” dove si spiegano i vari processi di infiltrazione e macellazione degli animali e di quanto si infischiano delle conseguenze sulla salute delle persone che poi mangeranno tale prodotto.
Uno stile di scrittura di buon livello che fa onore al premio Nobel che ha ricevuto ma anche unica cosa da salvare di un romanzo pesante e poco interessante. Spesso definito come affresco della Cina del recente passato io lo definirei piu` come una fotografia di quello che ci aspettiamo dai loro prodotti.
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Ossessione carnivora e desiderio di purificazione
Luo Xiatong è un bambino spensierato, vissuto e cresciuto con il mito della carne, di cui è fan devoto e consumatore instancabile, tanto da considerarlo un proprio particolare talento.
È originario del villaggio dei macellai di professione, e, sin dalla culla, ha posato il suo sguardo su carne viva ed animata, morta ed inerte, pulita, insanguinata, fumigata, infiltrata d' acqua, appartenente ad ogni genere di animale.
Per lui diviene presenza costante, ossessiva, una creatura viva e parlante della quale scrutare i movimenti, ascoltare la voce, apprezzare ed assaporare gusto e profumo.
Ha vissuto una storia famigliare di sofferenza che lo ha privato del consumo di carne per ben cinque anni, una vera tragedia per un bimbo sottratto al proprio amore viscerale, e la colpa non sta nell' assenza di materia prima, ma nella frugalità della madre, novella pater familias, improvvisamente abbandonata dal marito per una donna di facili costumi.
A distanza di dieci anni, ormai ventenne, nei primi anni ' 90, Luo Xiatong, rovinata e dissolta la propria vita, ridotto in assoluta povertà, costretto ad elemosinare, privo di affetti, sogni, speranze, decide di cambiare indirizzo per farsi monaco buddista discepolo del Grande maestro Lan.
Rifugiatosi in un tempio abbandonato, rievocherà la propria storia in un monologo irrefrenabile intriso di cruda realtà, sadismo ed umorismo viscerale.
La sua è una confessione-redenzione, l' espiazione dei propri atroci peccati alla ricerca di una via salvifica, più semplicemente il racconto di una lunga storia inserita in quella che ha consegnato la Cina alla modernità.
Cresciuto nel villaggio dei macellai, le continue carneficine hanno annientato in lui il concetto di uguaglianza tra le creature viventi, ma ora il non uccidere è divenuto uno dei capisaldi della propria confessione.
Una vita segnata dall' abbandono paterno, dal suo pentimento e ritorno, dalla furia cieca della gelosia, dal desiderio di ricchezza e potere di Lao Lan, capo del villaggio, dalla cessazione della produzione artigianale e del consumo locale a vantaggio della costruzione di una grossa fabbrica per il trattamento e la vendita della carne a livello industriale, di cui Luo Xiatong, genio precoce, viene nominato direttore.
Vicende pubbliche e private si intersecano, tra ingordigia, astio famigliare, amoralita', corruzione, crudeltà, vendetta.
I " 41 colpi " è palesemente un testo allegorico ( del 2003 ) che si nutre e tratta in ogni dove di un unico elemento, la carne, considerata sommo e irrinunciabile bene di consumo, ignorando cinicamente il senso dell' esistenza, la sofferenza, la tortura e l' ininterrotta carneficina nei confronti del regno animale.
In realtà si parla di molto altro, di una terra dai profondi cambiamenti storico-culturali, governata dalla massificazione e mercificazione dell' oggi, di un mondo contadino famigliare, tradizionale, conservatore, patriarcale, con tratti feudali, in cui il consumo della carne è sinonimo di benessere e si muore intossicati dal botulino. Si affrontano vicende e complesse relazioni private, inserite in un profondo desiderio di redenzione ed autocritica, risvegliando una dimensione purificata dell' esistenza.
C'è la denuncia di metodi produttivi letali utilizzati dalla grande industria globale ( l' imbottire la carne di acqua, medicinali, antibiotici, ormoni ), di una violenza cieca ed indifferenziata, del consumismo acritico e smodato ( da parte degli esseri umani ), della forbice sempre più allargata ricchezza-povertà, insomma di tutti i mali della contemporaneità.
Come nel " Paese dell' alcool " anche qui l' eccesso è sinonimo di distopia, e quelle infinite ed insaziabili abbuffate di carne, fino alla nausea, al vomito, alla contorsione delle budella, inscenano un disgustoso e smodato edonismo, una crudeltà inspiegabile ( si pensi alle gare tra i maggiori mangiatori di carne ) condita da odori acri e sapori pungenti.
Per contro si respira la soave leggerezza di un mondo monastico e spirituale che si nutre di attimi, di bellezza, lievita', digiuno, ascolto, silenzio.
Al di fuori del tempio ( nel presente ) a sua volta viene inscenata una fiera della carne, si alternano figure mitologiche, bizzarre, un variegato e stupefacente universo carnevalesco, tra fantasia, sogni e ricordi svaniti in dolori e gioie soffuse, ma forse è solo una tentazione che ritorna o una estrema prova di sopravvivenza.
Luo Xiatong racconta, si commuove, soffre, impara, rivede e reinterpreta la propria storia, dopo dieci anni, con tutti gli errori ed orrori commessi, desiderando evadere da un mondo ormai ossessionato dal solo desiderio.
Tra le pagine tocchi di poetica sublime, tra aspre e crude descrizioni d' insieme.
Di certo Mo Yan rimane un narratore d' eccellenza, e ce lo mostra, in quella continua sospensione tra sogno e magia, realtà e satira, alternando e miscelando mondi complessi, riuscendo comunque nel proprio intento, anche se quel tema ripetuto ed ossessivo ( la carne ) sbandierato in ogni dove ed in tutte le salse finisce per essere stomachevole e nauseabondo ( convertendoci definitivamente ad un ideale vegetariano ).
L' autore ci consegna una riflessione ragionata e critica dell' oggi con vista sul passato in un romanzo di grande coralità e tratti di indiscutibile bellezza.