I pesci non hanno gambe
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Dolce e amaro
Ho iniziato a leggere questo libro pensando che fosse un libro colorato, fresco, estivo, leggero...ebbene è tutto il contrario. Voglio cominciare dal finale, che lascia spiazzati e da una grande lezione di vita: che nulla è come sembra, la realtà non è ciò che noi vediamo con i nostri occhi, pigri ad indagare, e la nostra visione di vita, fatta dalle nostre idee, dalle percezione che riceviamo dall'esterno e dai nostri pensieri, non può mai essere uguale a quella di un'altra persona, ecco perché non ci capiamo mai tra di noi. A volte bisognerebbe lasciare più spazio al silenzio che alle parole, e apprezzarlo di più perché è più profondo. E l'autore da questa lezione in un modo abbastanza forte, che non te lo aspetti, come se all'improvviso ti facesse uno scherzo e tirasse con forza il tappetto che il lettore ha sotto i piedi.
L'io narrante (che ancora devo capire bene chi sia) espone una storia di tre generazioni, condotte parallelamente durante la lettura, tra neve, pioggia, vento, montagne, gelo, occupazione americana e pesca, attività economica principale dell'Islanda, paese d'origine dell'autore e dove il libro è ambientato. E' lui stesso, ad un certo punto, che spiega al lettore perché: per farci capire che tutto invecchia, che tutto si trasforma, che ciò che era un germe fresco, è sbocciato, bruciato di passione, appassito, invecchiato e poi sparito. La vita è questa, e bisogna fare molta attenzione alle nostre scelte, bisogna cercare di guardare nel migliore dei modi questa realtà oggettiva che ci circonda, perché tornare indietro non si può, e le scelte sbagliate non cadono nell'oblio, ma si trasformano in nostalgia, rimorsi e solitudine, che "sono sassi da portarsi dietro negli anni".