I pescatori
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Recensione della Redazione QLibri
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Il faticoso cammino verso l'emancipazione
È un romanzo toccante e coinvolgente l’opera d’esordio di Chigozie Obioma, nato in Nigeria, ma insegnante di Letteratura negli Stati Uniti, presso l’Università del Nebraska.
È la storia di una crescita segnata dal dolore e dalla speranza, dalla perdita degli affetti più cari, in un paese, la Nigeria, che tenta faticosamente di avviarsi verso l’emancipazione, un paese dilaniato da decenni di lotte intestine e alla perenne ricerca di un’identità unitaria che superi gli inconvenienti del bilinguismo, elemento che accentua la discriminazione sociale con la distinzione tra lingua ufficiale e lingua nativa, un paese in cui la persistenza d’un paganesimo recidivo e impermeabile al vero messaggio cristiano costringe l’uomo a una condizione di soggezione nei confronti degli eventi naturali.
È nella città di Akure che ha luogo il dramma che colpisce la famiglia Agwu, composta da Padre Madre e sei figli. Sono i quattro maschi più grandi al centro degli eventi che vengono narrati con un’efficacia espressiva che raccoglie l’eredità della tradizione epica. Obioma sembra voler insistere sulla felice unità familiare che comincia a disgregarsi nel momento in cui il padre si allontana per lavorare in un’altra città . Il nucleo, più fragile, diviene facile preda delle più assurde credenze popolari e si convince d’essere oggetto di una maledizione lanciata dal pazzo Abulu. Il maleficio riguarderebbe in particolare Ikenna, il primogenito al quale si preannuncia una morte per mano del fratello Boja. Qui siamo davvero di fronte alla tradizione mitologica, così come l’abbiamo appresa attraverso i classici greci. La superstizione domina l’animo umano e conduce ad estreme conseguenze. La disgregazione della famiglia seguirà un percorso doloroso e inevitabile, dal momento che la volontà del singolo non riesce a prevalere sul mistero minaccioso che l’attende.
Il carattere quasi “naïf” della narrazione é determinato anche dal parallelismo personaggio/animale, personaggio/insetto, come se solo dall’analisi del mondo animale e naturale che ci circonda, potessimo meglio cogliere il carattere delle persone. In questa prospettiva Ikenna è dapprima assimilato a un pitone, noto per la sua forza, poi a un passero, noto per la sua fragilità . L’aquila rappresenta il padre, la sanguisuga è il male che toglie la vita.
La sventura che colpisce la famiglia distrugge i sogni del Padre, che avrebbe voluto vedere i figli affermarsi con successo nella vita. È il sogno di una realizzazione nel mondo occidentale, lontano dalla miseria, dalla sporcizia, dalle guerre locali, gli antagonismi religiosi, sempre più frequenti. È il sogno di un’emigrazione in Canada, che va in frantumi e trascina nel fango i giovani Agwu. Nelle parole del Padre ai figli il messaggio più bello, più dolorosamente disilluso: “Quello che voglio è che siate pescatori di sogni buoni, che non si arrenderanno finché non avranno catturato la preda più grossa. Voglio che siate dei Titani, dei pescatori minacciosi e irrefrenabili. Ragazzi che affonderanno le mani nei fiumi, nei mari, negli oceani di questa vita e avranno successo. Dottori, piloti, professori, avvocati. Questi sono i pescatori che voglio avere come figli.”
Un romanzo sulle grandi passioni che alimentano il cuore dell’uomo: sull’amore, sull’odio, sul desiderio di vendetta, sulla lealtà e soprattutto sui sentimenti che uniscono o dividono gli animi in seno ad una stessa famiglia.
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Opinioni inserite: 1
La paura
I pescatori, finalista al Man Booker Prize è un romanzo insolito per lo stile scarno, semplice, evocativo che richiama culture tribali e lontane dalla nostra, con un tocco esotico e magico vicino alla fiaba ma non proprio fiaba.
In passato mi è capitato di chiacchierare con seminaristi africani e di ascoltare storie in cui loro credevano ciecamente, di uomini politici locali che si trasformavano in pitoni e mangiavano esseri umani per aumentare il proprio potere. Questo romanzo ha lo stesso clima di quelle storie, infatti le due anime del romanzo sono la famiglia, unita e potente nell’amore, e nello stretto legame tra i suoi componenti e la maledizione che ha come suo esecutore un personaggio particolare: Abulu, doppiamente matto, matto in senso letterale ma non pericoloso e matto in senso di posseduto dal demonio e in quanto tale terribile.
La storia inizia con la partenza di Padre che sgretola l’unione famigliare permettendo alla maledizione di Abulu di infilarsi nelle maglie di quella famiglia perfetta e di attecchire nonostante l’amore che vi regna portando i suoi frutti di male. La figura di Abulu, il leviatano, la balena immortale è bella e tragica. Mi ha colpito il punto del romanzo in cui lui partecipa alla cerimonia per i due fratelli e piange per loro come se potesse vedere, solo in quel momento, il male che ha fatto. Io ho visto in questa scena la preparazione a quella successiva dell’aggressione con gli ami che altrimenti sarebbe inspiegabile. Certo, considerando la storia e il cambiamento nel modo di pensare dei personaggi, la maledizione ha attecchito in quella famiglia, legittimando odio e vendetta come strumenti necessari di difesa. Le parti si rovesciano sul finale in un certo senso e il volo salvifico e liberatorio degli aironi, i due fratelli piccoli è forse meno interessante della fine tragica di Abulu, che sa tutto, che è immortale, inattaccabile dal veleno, che ha reagito all’attacco di Padre prevedendolo ma non ha evitato la propria tremenda fine. La più terribile e improbabile tra quelle immaginabili.. Non ha voluto secondo me.