I grandi sognatori
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Storie di vita
«C’era la vecchia cassiera di un negozio di alimentari che, quando Yale era adolescente, lo guardava come se fosse la cosa più triste del mondo […] E poi c’era il signor Irving, l’assistente all’orientamento, che fronte aggrottata, gli aveva chiesto con prudenza se non pensava di cercarsi un college dalla “sensibilità cosmopolita”. Il giudizio di quei due lo aveva segnato più di quello dei coetanei che lo chiamavano “frocio”, che gli attaccavano assorbenti interni all’armadietto. Perché capitava anche ad altri ragazzini. Chiunque poteva vedersi buttare le mutande in piscina, chiunque poteva essere costretto a usare, sera dopo sera, un manuale di chimica che era stato innaffiato di piscio. Ma solo i froci veri erano guardati con compassione dagli adulti.»
Quante volte nella nostra infanzia o nel passato abbiamo sentito parlare della “malattia dell’amore” per poi scoprire successivamente che quello di cui sentivamo parlare non era un mal d’amore quanto un qualcosa chiamato AIDS e che per anni e anni ancora è stato bollato e confinato negli anfratti del non nominabile. Una malattia silente che spesso si annidava – ed annida – nel corpo, che spesso è stata definita come la malattia degli omosessuali, che non era altro che una condanna perché non si palesava, perché non dava segnali di sé. Ed è questo il tema centrale de “I grandi sognatori” di Rebecca Makkai. Siamo nel 1985 a Chicago e la comunità appunto gay è piegata da questo fardello. Lo scandalo di quella malattia mixata a quel che la vergogna accompagna pullula tra bar e strade della realtà americana.
Conosciamo così Nico, lasciato a se stesso in un ospedale, perché considerato una vergogna dai genitori e sostenuto solo dalla sorella Fiona. Yale e Charlie sono i suoi più grandi amici e sono una coppia in cui l’HIV striscia silente. Eppure, nessun sintomo sembra palesarsi nel malato, nulla darebbe a pensare che il male sia in incubazione. Tuttavia pochi mesi, una polmonite, una febbre e non solo si è marchiati ma si è anche morti. Perché la malattia non perdona e in poco pochissimo tempo ti porta via con sé. Charlie e Yale si aggrappano l’uno all’altra, sperano, si spronano, auspicano una sentenza di grazia.
Passano trent’anni e ci spostiamo di scena. Fiona sta volando a Parigi, il fratello è nel cuore. È alla ricerca della figlia finita nelle macchinazioni di una setta e che riuscirà a ritrovare per mezzo di un vecchio legame del fratello Nico, Richard, di professione fotografo e artista.
Una trama sospesa, un ritratto schietto e privo di fronzoli, un romanzo forte e capace di evocare contenuti e riflessioni è “I grandi sognatori” di Rebecca Makkai. Uno scritto che ci narra di un tempo non così lontano, di un’epoca fatta di pregiudizi, di sentenze ingiuste, di timori che portano a vedere chi ci circonda come appestati, di silenzi e sguardi che giudicano.
L’opera della Makkai è uno scritto davvero evocativo, un romanzo avvalorato da una penna fluida, magnetica ma schietta e diretta. Nulla risparmia, nulla concede. Siamo nel quotidiano, siamo in un mix di dialoghi e una dimensione anche distorta del vivere che però è stata e che per questo segna e delinea il nostro essere.
I personaggi, ancora, sono dei perfetti ritratti. Tratteggiati con cura e dovizia, curati nelle loro luci ma anche nei loro demoni. Vivono tra rimpianti e proprie leggi, tra una morale che li accompagna ma che si scontra con quel mondo circostante che invece condanna.
Un libro che parla di difficoltà, di disagi, di fragilità di vivere. Un titolo pulsante e vivido, uno scritto onesto e che ci tiene per mano sino a riportarci all’oggi e capace di suscitare empatia anche dal punto di vista pandemico.
«La malattia ha amplificato tutti i nostri errori. Le stupidaggini che si commettono a diciannove anni, l’unica volta in cui non si sta attenti. E si scopre che è il giorno più importante della tua vita.»