I complici
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L’unica via di fuga
Due amanti in auto, intenti a un gioco erotico (mentre lui con la sinistra tiene il volante, la destra è serrata fra le cosce di lei), il suono disperato di un clacson, l’auto che procede incontrollata e che solo in extremis il conducente riesce a raddrizzare, un autobus che la sfiora e va a finire contro un muro, prendendo fuoco. Quarantasei saranno i morti, quasi tutti bambini al ritorno da una colonia; l’uomo e la donna, un po’ per la frenesia del gioco erotico, un po’ per paura non si fermano a prestare soccorso, né chiedono aiuto, ma si preoccupano solo di eclissarsi.
Da quel momento, e solo per l’uomo (si tratta di Joseph Lambert, titolare, con il fratello, di una nota ditta di costruzioni edili), comincia un periodo in cui cerca di sviare ogni sospetto, comportandosi come sempre, ma c’è qualche cosa che finisce con il gravare come un macigno, e cioè il rimorso, che rode lentamente e senza rimedi, e con il rimorso la coscienza di essere colpevole, e da questo ad avere la sensazione di essere braccato il passo è breve, mentre cresce la paura di essere scoperto, una paura che diventerà terrore non appena cadrà quell’atmosfera di complicità, non solo sessuale, con l’amante Edmonde. I due, per quanto in apparenza diversi, si assomigliano non poco, con lei, di cui ignoriamo sentimenti e modi di pensare, enigmatica come una sfinge, ma altamente appassionata in un rapporto erotico quasi bestiale; lui è un tipico rappresentante di quella borghesia tanto detestata da Simenon, un uomo che conduce una vita piatta e noiosa e che cela un irrefrenabile e mai soddisfatto desiderio di libertà. Il rapporto con Edmonde poteva lasciar presagire il raggiungimento di una libertà senza limiti, ma nelle battute finali si scoprirà che la donna, in fondo, è inferiore alle aspettative di Joseph e che in effetti non è in grado di assicurare quella complicità indispensabile per il raggiungimento del fine. Ormai braccato, con il cerchio che si stringe intorno a lui, Lambert riuscirà tuttavia a trovare una via di fuga, l’unica ormai possibile a un uomo cinico che, nel fare i conti con la propria vita, non ha trovato nulla di soddisfacente.
I complici è un altro capolavoro di Georges Simenon.
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Mal di vivere
Joseph Lambert, all’età di nove anni, ebbe un gran mal di denti. “Il dentista gli aveva dato due compresse bianche, probabilmente un calmante, e poiché dopo pranzo il dolore era tornato a farsi sentire, molto forte, lui le aveva buttate giù tutte e due”.
Poi andò a riposare in giardino, sotto un tiglio, in uno stato fluttuante tra sogno e realtà, nel quale le sensazioni fisiche si dissolvevano e galleggiando lo cullavano regalandogli un senso di pace morboso e gratificante. “Che fosse il caldo, il torpore che segue al pranzo o l’effetto delle compresse… Fatto sta che continuava a sentire dolore alla guancia sinistra, ma non si poteva più chiamarlo dolore, trasfigurato com’era in piacere, in una sorta di voluttà, la prima, insomma, che avesse conosciuto.”
Quel ragazzino divenne un uomo sanguigno, energico, muscoloso , dai lineamenti marcati e il naso grosso e tozzo come suo padre, un muratore che con la forza delle braccia, schiena curva e sudore aveva creato un’impresa con officine, magazzini, uffici, dipendenti e svariati cantieri nella zona. Joseph portò nuove idee e sviluppò ulteriormente l’azienda paterna con mani sicure, fiuto ed esperienza. Eppure per tutta la vita continuò a rincorrere quella dolce dissoluzione nel nulla, quel torpore e quel mal di vivere che sperimentò per la prima volta a nove anni, a causa di un banale mal di denti, di un caldo dopo pranzo e di due compresse. Lo fece con l’alcol e soprattutto lo fece con le donne.
Al contrario dei suoi amici del caffè Riche, con i quali si ritrovava per il bridge e per qualche buon bicchiere, Joseph non sentiva il bisogno di dissimulare i suoi numerosi tradimenti coniugali, anche quelli più squallidi con prostitute. Non che li esibisse con ostentazione, ma nemmeno provava quell’imbarazzo che spinge a rifugiarsi nell’ipocrisia.
L’alcol, le donne, la voluttà erano il suo modo di dire no alla provincia, alla noia, ai doveri, alle responsabilità, alle anime belle, ai parenti soffocanti, alla domestica bigotta e rancorosa, ai due fratelli, un insopportabile sgobbone precisino e un alieno flaneur sparito in qualche circolo intellettuale a Parigi. La voluttà era la sua grande forza di attrazione, il magnete che lo richiamava costantemente verso l’abisso.
Una sera Joseph sorprese la sua efficientissima ed enigmatica segretaria Edmonde sdraiata sullo schienale reclinato, con il vestito alzato fino al ventre, una mano in mezzo alle cosce e un impercettibile movimento di dita. Rimase a guardarla fino al momento dell’orgasmo, notando le narici contrarsi e “il labbro superiore rialzarsi scoprendo i denti in una smorfia di sofferenza che non somigliava per niente ad un sorriso”.
Da quel momento Edmonde diventò, unica tra le tante amanti, la perfetta complice con cui condividere il suo insanabile mal di vivere.
La complicità dell’anima ebbe occasione e necessità di trasformarsi in complicità nel male quando l’incessante corsa verso il danno e la catastrofe giunsero alla meta finale, che non poteva essere più straziante: un pullman con quarantotto bambini a bordo esce di strada, si schianta e si incendia. Quarantasette bambini morti, più due maestre e l’autista, una bambina che lotta tra la vita e la morte e un solo responsabile: Joseph Lambert alla guida della sua Citroen con la mano sinistra, la mano destra immersa tra le bianche cosce della sua obbediente segretaria.
E’ da qui che parte la storia, da una tragedia che avrebbe potuto trasformare Joseph ed Edmonde negli amanti maledetti già visti in Teresa Raquin. Avrebbe potuto, ma in questo caso il percorso è un altro e si appoggia sull’enigma Edmonde, un personaggio inquietante che non si dimentica facilmente, e a cui serviva tutta la fantasia perversa e misogina di Simenon per prendere forma e vita.
Nei confronti di Joseph invece, nonostante l’indicibile gravità della tragedia provocata, tendiamo ad essere inspiegabilmente indulgenti e ad assecondare in parte il suo istinto auto assolutorio. “Non sono colpevole”, scrive lui ad un certo punto, ma poi ci ripensa, troppo difficile da spiegare, occorrerebbe essere capaci di srotolare quella matassa ingarbugliata che ha iniziato a formarsi tanti anni fa, in un assolato pomeriggio trascorso da un ragazzino con un acuto mal di denti.
Con questo romanzo sono tornato a frequentare, dopo tanto tempo, il vecchio Simenon. E ancora una volta sono rimasto colpito dalla perizia consumata di questo grande narratore. Con pochi tratti sapienti, riesce a costruire un quadretto vivo e credibile di una cittadina di provincia, con i suoi bar, i suoi circoli, le fattorie, i salariati, i notabili, le famiglie, le prostitute, le maschere antiche e sinistre di coloro che vivono ai margini del villaggio. In centocinquanta pagine veloci ci rende partecipi dell’inquietudine di un’anima, degli arrovellamenti che seguono un misfatto e del mistero che circonda coloro a cui incautamente affidiamo la nostra salvezza. E ci dimostra, con i fatti e non con astratte teorie, quanto siano inutili le raccomandazioni e gli avvertimenti premonitori di chi in un modo o nell’altro ci vuole bene (“stai attento”, “prenditi cura di te”) quando siamo in preda di un’insostenibile e terrena “cupio dissolvi”.
Ecco perché, se amiamo i libri, non possiamo non dirci riconoscenti a Simenon: i lettori gli devono gratitudine per le ore di piacevole ozio regalate da tante pagine che non ambiscono ad entrare nell’Olimpo o nel Parnaso della Letteratura, ma ci divertono per lo sguardo intelligente sull’umano mondo . Gli scrittori, e soprattutto gli aspiranti tali, mi auguro continuino a vedere in Simenon un grande, grandissimo maestro.
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Se siete all'esordio con questo autore, forse è meglio iniziare con qualche altra opera (ma poi non è detto)
Ricerca di una complicità
Ci possono essere momenti nella vita di ognuno di noi in cui azioni spesso non dipendenti dalla nostra volontà, piccole distrazioni, errori di valutazione, portano come conseguenza ad eventi nefasti capaci di cambiarci la vita.
Spesso, a fatto avvenuto, entriamo in uno stato d’animo dove la nostra sensibilità viene esaltata, non vediamo più quello che vedevamo prima, il mondo ci appare più rumoroso, i nostri nervi si scoprono e diventano oggetto di proiettili di sensazioni vive!
E’ quello che succede a Joseph Lambert, vittima di una strage non voluta che però finisce per risvegliarsi dal torpore di una vita spesa a vagare alla ricerca di un senso compiuto, lontano dal banale gruppo di cose e di persone che lo circondano, lontano da una moglie che è ormai solo una presenza fisica, lontano dai parenti che frequenta solo per dovere.
Con la solita magistrale capacità analitica dei fatti e dei pensieri, Simenon sviluppa il percorso del cambiamento di un uomo il quale, pur continuando a fare quello che sempre ha fatto nella sua vita di capitano d’azienda, ora rivive la sua vita sotto una prospettiva differente, al di là dello scontato senso di colpa per una strage provocata per pura voluttuosità.
Ora, quasi avendo intuito di essere alla fine della sua vita sebbene non avendone ancora la certezza, egli ha solo bisogno di capire, di mettere insieme i pezzi sparsi della sua vita, di darle l’ultimo senso prima della fine.
Di qui la ricerca ultima del significato di uno dei più pesanti punti non risolti, ovvero il comportamento della sua segretaria-amante Edmonde, al suo fianco durante il fatale incidente, essa stessa oggetto della colpevole voluttuosità omicida, quindi la sua complice!
Un gioco di sguardi, di parole non dette, di un mistero che lascio al lettore capire se si risolverà o meno.
Joseph in fondo nella sua vita ha sempre avuto bisogno di complicità perché ne è stato privato dal suo carattere schivo e burbero.
Non avrebbe però mai sperato di arrivarci in quel modo, solo e scontento.
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La catastrofe pubblica e privata
Un'auto e un autobus che trasporta bambini. Una strada e una curva. Un'amante seduta nell'auto. Una mano tra le sue gambe, invece che sul volante. Un'invasione di corsia.
Joseph Lambert, dallo specchietto retrovisore, vede l'autobus finire giù dal pendio e prendere fuoco nello scontro con un muro. Non riesce a far altro che togliere la mano dalle cosce di Edmonde e proseguire, muto, per la strada che li porterà a casa anche quella sera.
Nei giorni a venire, Joseph si porrà determinate domande, più e più volte: perché Edmonde finge che nulla sia accaduto e non vi fa il minimo accenno? E' possibile che non si sia accorta di nulla? E il pastore che era sul ciglio della strada? Li ha visti nell'auto? Che stia solo aspettando il momento giusto per poterlo ricattare?
Dipingere l'atmosfera di un piccolo paese di provincia: è questa la grande abilità che Simenon sfodera ne “I complici”. Lo fa attraverso gli occhi del “colpevole”, quando l'immane tragedia divide irrimediabilmente la sua vita in due parti (un prima ed un dopo).
L'odio dell'intera comunità per un responsabile che non si riesce ad individuare, la commiserazione per i piccoli defunti e i loro parenti, la partecipazione collettiva ai solenni funerali pubblici: sensazioni e comportamenti cui Joseph potrà assistere tra discorsi nei bar, incontri occasionali, discussioni con i propri familiari (combattuto tra la pura curiosità di vedere se la farà franca e la tentazione nichilista di confessare tutto). Lampi di vita che ad un certo punto lo portano a giudicare tutti quegli individui, senza prospettive, illusi, a volte meschini, ma non assassini (come invece è lui).
L'unico punto oscuro, per Joseph, diventa Edmonde: la segretaria che la sua ditta ha assunto qualche anno prima, professionale ma impenetrabile, riservata sino al mutismo. Nonostante la porti spesso con sé, l'unica cosa che Joseph conosce realmente di lei è quella particolare smorfia che le compare sul viso al momento dell'orgasmo, che lei pare vivere come qualcosa di proprio invece che di condiviso. Null'altro.
Nemmeno riesce a spiegarsi come lei si sia “accodata” al resto del paese nel seguire il triste funerale collettivo e non l'abbia invece denunciato per aver causato quella drammatica strage di innocenti.
Forse perché... sono “complici”?
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Com-pli-ci
Com-pli-ci-tà. Sbagliato.
Com-pli-ci. Sorriso.
Lambert odia l'astratto. Pare quasi di vederlo mentre sulla sua bocca affiorano queste poche sillabe, tremendamente incosciente, insulso e frastornato da una scommessa col destino, da una scommessa con Edmond, la segretaria con cui intrattiene una relazione e la cui gonna, quando si abbassa dopo l'atto, ha il ritmo di una ghigliottina inappellabile. Un angelo di morte che accompagna a passeggio la madre con l'atroce spensieratezza di chi rifugge indisturbato la propria coscienza. D'altra parte le voci strazianti di bambini assaliti dal fuoco sono il coro perfetto, la melodia più dolce per quest'essere, questa bestia sovrumana che avvince col suo fascino, con le sue dannate forme.
Com-pli-ci. Lo statuto della loro relazione è una fredda alleanza, una guerra perenne che risveglia gli impulsi più animaleschi, la brutalità più sozza e avvinghiante. E i loro amplessi non sono accordi di pace, non sono il trionfo dell'amore (ché di questo non si è mai parlato), ma una polluzione dei propri abominevoli istinti che rompe il ritmo di questa placida intesa, una necessità fisiologica, meccanica. Rompere il ritmo, essere complici, rischiare, come imprigionati in una roulette russa in cui tutto si riduce a gioco. Correre, accelerare, essere dinamici perché:
la stasi è il matrimonio: insopportabile;
la stasi è la vita lavorativa: opprimente;
la stasi è la relazione extraconiugale: noiosa.
La stasi di una mano imprigionata tra le fauci della voluttà è la distruzione e il principio dell'implosione.
Ma quanto l'uomo è inestricabilmente solo, quanto anche il delitto, la complicità nel delitto, questo legame irresistibile e solido, questa tacita intesa, è debole dinnanzi agli interrogativi dell'anima, di fronte al giudizio insopportabile, anzi, insopprimibile, della propria coscienza che tremenda si erge a giudice della nostra malevolenza. Quanto la mente si nasconde a se stessa, quanto spesso la giustificazione, adombrando la colpa, la rafforza, la sacralizza.
Col-pe-vo-lez-za.
Sillabe che difficilmente raggiungono la superficie, a stento emergono dalla densa materia del ricordo, a stento si fanno strada negli anfratti sopiti e tenebrosi del proprio animo.
Con quale desolante squallore l'uomo corre, come i criceti, nella ruota della prevedibilità, con quale pietà lo sguardo di Simenon divelle il sarcofago che nasconde il mistero dell'uomo. Con quale coraggio, con quale incredibile intraprendenza, osserva l'abisso che l'uomo racchiude.
Simenon trae la materia della sua prolifica produzione dall'osservazione attenta del mondo, dallo sguardo nella psiche umana, dal suo superbo acume introspettivo. Uno stile lineare, senza eccessi, senza pareti scoscese, senza facili discese; un tono medio che emerge dagli esordi al centro dell'azione, percorre le immediate conseguenze, e come un fiume carsico scava i ricordi, il magma spesso e pesante della memoria, per poi presentarne un esito già preannunciato.
Un libro gelido nonostante il calore dei corpi, nonostante liquori che segnano la trama e nonostante il corpo seducente di prostitute immancabili. Simenon sembra dialogare con i suoi personaggi, intrattiene con loro una fitta corrispondenza e chiede:
chi sei?
chi siete?
chi sono, io?
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Il peso della colpa
L'incipit è rocambolesco, fragoroso, allucinato, infartuale.
In poche righe accade tutto: si salvano due vite, se ne bruciano molte altre, si distrugge una coscienza, si pongono le basi per una vita di vergogna e rimpianto. In poche righe c'è così tanto che il libro potrebbe anche concludersi qui.
Lambert guida distratto la sua Citroen con una sola mano, la sinistra, chè la destra (e tutta la sua attenzione) è affaccendata fra le cosce di Edmonde, la sua segretaria-amante.
Nell’altro senso arriva un torpedone carico di bambini: l’autista, disperato, suona più volte il clacson per richiamare l’attenzione di quell’uomo che occupa il centro della strada. Edmonde vede tutto e reagisce stringendo le cosce e imprigionando la mano che la accarezza. Uno stridore di freni, una sbandata e l’autobus finisce contro un muro e prende fuoco.
Ma questo accade alle spalle dei due amanti, la Citroen è riuscita a passare indenne e la tragedia si svolge nello specchietto retrovisore, alle spalle, nel passato.
Lambert non pensa a chiamare i soccorsi, ma solo a costruirsi un alibi e fugge, in silenzio; nessun commento fra i due.
Con Edmonde non ne parleranno mai. Né una parola, né un’allusione, né un’occhiata fra loro, che evidenzi che condividono un segreto.
Da quel momento il racconto diventa intimista e assistiamo al disfacimento della vita di Lambert, che, assillato dal rimorso cui pure non vuole cedere, tentando ogni strada per sentirsi innocente, si scopre estraneo alla sua propria vita: l’incidente fa affiorare disagi antichi, rimossi ma non risolti.
E più si allontana dal suo mondo, più Edmonde diventa un polo di attrazione, l’unico pensiero, l’unico desiderio. Edmonde che tace, che in tutto il libro pronuncia forse quattro o cinque frasi, Edmonde che è complice, sì, ma forse non nel silenzio, non nel tacere quel che sa. Forse la sua complicità risiede in quel gesto (involontario?) di serrare le cosce, impedendo alla mano di liberarsi. Forse è in quel gesto che Lambert identifica la sua innocenza, scaricandosi di una colpa che non accetta di portare sulle sue spalle.
Bel libro, in cui, dopo il big bang iniziale, l’azione si smorza e il pensiero, il rimorso, il disagio permeano le pagine fino alla fine.
La bravura di Simenon sta nel tenere viva l’attenzione di chi legge, nonostante la mancanza di eventi, consentendo un viaggio nella profondità di un’anima che non trova più riferimenti.
[…]
Si chiedeva perché fosse scappato. Il panico si era impadronito di lui, soprattutto del suo corpo. Il suo primo pensiero, il più forte, quello a cui ogni altra cosa aveva obbedito, era stato di non vedere. Non ce l’avrebbe fatta. Proprio perché aveva ben chiara la percezione della propria colpevolezza.
Ma adesso, se voleva essere assolutamente sincero con se stesso, non era appunto la paura a farlo star male?
[…]
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Lo sciagurato. La sciagura. Gli sciagurati.
Joseph Lambert, imprenditore cinquantenne, guida la sua Citroen utilizzando una sola mano.
Non e' ubriaco. Ma la sua seconda mano e' voluttuosamente impegnata tra le cosce della sua segretaria.
Invade la corsia opposta. Lui non ritrae la mano.
Un pullman sopraggiunge nell'altra carreggiata, suona. Lui non ritrae la mano.
Invece di rientrare in corsia, l'auto ostacola completamente la traiettoria del bus. Lui non ritrae la mano.
Lo sciagurato. La sciagura.
Un testacoda per i due automobilisti, se ne vanno intatti, senza fermarsi, nello specchietto retrovisore le fiamme. Un autobus con a bordo 48 bimbi, un autista, due assistenti. Ne moriranno carbonizzati cinquanta in un inferno di angeli, l'auto si allontana velocemente.
Georges Simenon, con penna brillante ed elegante, quasi un sessantennio dopo la stesura di questo romanzo, ci propone una storia incredibilmente attuale. Due amanti. No, due complici.
Perche' c'e' una linea di confine che separa una definizione dall'altra e qui viene varcata.
Lo svolgersi del libro nelle riflessioni di Lambert, nel post incidente, nel lutto cittadino, nello scrutare gli altrui volti cercando di scorgerne un potenziale sospetto. Una colpa che sente sua e si ostina a volere negare. O forse no ?
Cornice al racconto un matrimonio fallito o forse mai decollato , una famiglia ai suoi occhi bigotta e insulsa.
Ghiotta la ricetta di quei piccoli bocconi erotici che lui piazza sapientemente quà e là per rendere la scena piccante, ma con classe, la sua penna non e' mai volgare nonostante adulterio e/o prostituzione siano onnipresenti nei suoi libri non Maigret.
Ricco di dettagli, associa ambienti, usi e costumi dei suoi personaggi alle riflessioni del suo protagonista.
Ne percepisco cosi' dei fotogrammi, quasi fossero immagini invece che parole e pur senza una grande azione nella trama, scivola via molto velocemente.
Di nuova pubblicazione in Adelphi, un altro ottimo lavoro dell'autore, alla scoperta dei limiti dell'uomo e di quanto questi siano talvolta irrimediabili, scrutando tra le sentenze della propria coscienza, giudice imprescindibile dei nostri misfatti.
Buona lettura