Hotel Silence
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Recensione della Redazione QLibri
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un inno alla pace e alla ricostruzione
Audur Ava Olafsdottir scrive un libro stupendo, eletto Libro dell’anno dai Librai islandesi, che giunge ora in Italia con il titolo Hotel Silence. L’autrice, nata a Reykjavik nel 1958, ha pubblicato Rosa candida, La donna è un’isola, L’eccezione, e Il rosso vivo del rabarbaro.
Quest’ultimo libro è un inno alla pace, una forte visione laica che riavvicina l’uomo in quanto tale a quanto di umano dentro di lui ha resistito agli orrori della guerra. Il racconto di una rigenerazione e di una trasformazione, fondato sull’assioma preciso secondo cui anche dalle macerie, dal lutto, dal sangue, si può erigersi, trasformarsi, e mutare tutto in un fiore, illuminato dalla dolce luce del sole.
Jonas Ebeneser è un uomo di quarantanove anni, deluso, stanco e solo. Ha una moglie da cui ha divorziato, e una figlia, di cui ha appena appreso di non essere il padre biologico. Ha perso la volontà di vivere, è in piena crisi depressiva e vuole suicidarsi. Si definisce:
“Io sono carne. (…) Per carne intendo tutto ciò che sta in posizione inferiore rispetto alla testa. Il che è coerente con il fatto che la carne è origine e termine di tutte le cose più importanti della mia vita.”.
Non vuole procurare un trauma alla figlia, e allora studia attentamente i vari tipi di suicidi:
“non immaginavo davvero che il gruppo di uomini e donne decisi a dare un taglio netto alla propria vita fosse tanto numeroso. (…) interessante notare che le donne agiscono diversamente: ce chi lo fa in cucina, dove basta girare la manopola del gas, chi sui sedili dell’auto, chiusa in garage con il motore acceso e qualche bicchierino di vodka. (…) Constato anche che le donne siano inclini ai messaggi di addio. “
Così decide che è meglio morire all’estero, in un paese straniero. Ne sceglie uno a caso, martoriato dalla guerra, che pare essere terminata, di cui, però, non se ne ha assoluta certezza. Lì regna ovunque distruzione e devastazione:
“la devastazione è ovunque. Alti palazzi condominiali sono semidistrutti e mancano quasi dappertutto i vetri alle finestre, laddove i muri si reggono ancora. Penso, tra me e me: qui le case crollano sotto le bombe, da noi si schiantano le rocce, le pietre quasi fuse affiorano e galleggiano sulla lava come sulla corrente di un fiume.”.
Lui armato di una sola cassetta degli attrezzi, in cui c’è anche il trapano per costruire il gancio a cui appoggiare la corda per impiccarsi, e di un cambio di vestiti, trova alloggio presso l’Hotel Silence,dove
“è come se su tutti i colori fosse calato un velo, come un corpo illividito che da tanto tempo non vede il sole. Nell’aria sonnecchia un sentore di muffa.”
Qui comprende come la sofferenza delle sue “cicatrici” sia ben poco rispetto a quella delle altre persone, che hanno vissuto la guerra, tra mine antiuomo, violenza dei soldati e degli invasori e totale annientamento. Con l’aiuto dei fratelli May e Fifì, e il piccolo Adam, inizia un percorso di rinascita, ottenuta a caro prezzo, con percorsi difficoltosi e sofferenti, intercalati da periodi di abulia e di totale disconnessione. La celebrazione della vita e della sua avvenenza, nonostante tutto, è una costante che percorre tutto il romanzo.
Il libro è davvero molto bello, tenero, scritto con grazia e soavità. E’ la storia intrigante e fascinosa di un uomo, di una comunità, e di un viaggio verso la riconquista della serenità, del quieto e normale vivere quotidiano dopo il baratro della sofferenza e del dolore estremo. Accurate ed elegiache sono le descrizioni degli orrori della guerra, delle tragedie che porta con sé, della mancanza di obiettivi e di scopi che caratterizza i sopravvissuti, che non riescono ad agire e a comunicare. L’autrice descrive con arguzia letteraria realtà orrende e squallide, mescolate ad un tono a volte cinico e sornione, quasi ad alleggerire l’atmosfera e la tensione creatasi. La vita e l’essere umano sono celebrati nella loro piena bellezza, senza sconto alcuno, con elegia e melodia. Simbolico è anche il titolo dell’hotel, antico albergo di lusso dove andare a fare delle cure termali, è l’analogia ambivalente del silenzio, del vuoto, in mezzo alle urla e al sangue dello sterminio e dell’orrore. Una lettura profonda e meditata, positiva e perspicace.
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Aiutare gli altri e ritrovare sé stessi
Jonas Ebenser è un uomo di mezza età, solo e deluso. La moglie lo ha lasciato e prima di farlo gli ha rivelato che la loro unica figlia non è biologicamente sua. In un momento di totale sconforto analizza la sua esistenza, definendosi :"uomo- divorziato-senza nessun potere- vita sessuale inesistente-buone capacità manuali". Presa coscienza di ciò, decide di suicidarsi. Comincia a programmare meticolosamente il dove, il quando e il come. Pensando alla figlia che potrebbe ritrovare il corpo, decide di andare all'estero, in un paese appena uscito da una lunga guerra civile. Prende alloggio in un alberghetto ancora in funzione, l'Hotel Silence. Ha con sé poche cose, ma non manca la sua cassetta degli attrezzi. La situazione disastrosa della cittadina e l'incontro con i pochi superstiti, tra cui i due gestori dell'hotel, lo fanno desistere ogni giorno dal suo intento.
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Questo breve romanzo è diviso in due parti : nella prima il protagonista crede di avere perso tutto, nella seconda il netto parallelismo con chi davvero ha perso tutto a causa di una guerra dura e spietata eppure ha il coraggio, la speranza di riscattarsi. Riparare danni, aiutare le persone consente a Jonas di riconciliarsi con la vita. La sua solitudine riflette quel malessere esistenziale che tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo provato : disincanto, apatia e senso di impotenza davanti ad eventi che abbiamo vissuto.
L'essenza di un uomo ferito dalla vita che aggiustando cose materiali, aggiusta un po anche se stesso.
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La cura
Ricordo di aver letto un articolo tempo fa che riguardava una associazione che si occupava di curare i reduci di guerra e in particolare le vittime di tortura, lo faceva in maniera del tutto particolare: insegnava loro a restaurare mobili. Il responsabile della struttura, uno psicanalista, raccontava quanto il riportare una superficie danneggiata, ad una condizione liscia e compatta, ha, in qualche modo, effetto levigante sulle cicatrici del corpo. Quel ripassare, levigare, lucidare, guarisce quindi. Ed è un po’ questo che fa il protagonista della storia, lo fa prima senza rendersene conto, nel paese dove approda con intenti ben diversi, un paese altrettanto ferito, dove i personaggi che incontra, altrettanto bisognosi di cura, essi stessi ne traggono vantaggio e forza È un romanzo sulle relazioni, sulla difficoltà di stringerle ma allo stesso stesso tempo sulla ineluttabilità dello stringerle quelle relazioni. La scrittrice si cala nel personaggio maschile con grande abilità, ma è costante la percezione che le donne, con la loro attitudine alla cura, trovino più facilmente la strada della guarigione. Nell’ultima pagina una citazione : “la donna è il futuro dell’uomo “ ne conferma la mia intuizione .
Romanzo profondo, scritto con semplicità e dolcezza che ci invita a portare con noi ovunque andiamo la nostra “cassetta degli attrezzi”. Altrimenti siamo perduti.
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La riflessione, la rigenerazione
Voglio vivamente consigliare questo libro, un romanzo particolare, scritto con eleganza e raffinatezza di stile, riflessivo e profondo; una storia che fa riflettere, due realtà completamente diverse, un uomo in profonda crisi. Jonas ha quarantanove anni, vive in un paese benestante ma vuol farla finita e pensa al suicidio, la moglie lo ha lasciato, rivelandogli che l’amatissima figlia in realtà non è figlia sua. Il protagonista non ha altri affetti. Dopo aver lasciato tutto a casa, senza avvertire nessuno, decide di acquistare un biglietto di sola andata per un paese povero, dove la guerra da poco ha lasciato il posto alla carestia, è qui che ha deciso di uccidersi, ma forse non è del tutto convinto di farlo. La nuova realtà offre al protagonista uno scenario spettrale, case distrutte e palazzi smembrati, non ci sono negozi, l’unico ristorante apre solo se si conosce e se si telefona per fissare. Jonas alloggia al misterioso e deserto Hotel Silence, in un passato lontano forse era un ambiente elegante e lussuoso, adesso, gestito da fratello e sorella, ha gravi problemi e mancanze, ha bisogno di manutenzioni continue, non c’è sempre l’acqua per fare la doccia, oltre al protagonista, c’è solo un altro cliente, un tipo non troppo gentile; fa una apparizione anche un’attrice prima famosa, dal passato oscuro. La guerra ha distrutto tutto, ha violentemente deturpato le vite e le speranze degli abitanti, ignari delle cause del conflitto, ha spezzato i sogni dei giovani, c’è un bambino che comunica orrore con i suoi disegni, una donna che ha partorito in uno scantinato, gli incubi che tornano senza tregua. Il protagonista dice a se stesso: non posso portare la morte a chi l’ha vissuta così da vicino, a chi l’ha vista.
La gente ha comunque ancora voglia di parlare e comunicare, si sente il desiderio di ricostruire; Jonas comincia ha fare lavoretti per gli abitanti, attività che ha sempre saputo fare, sembra il suo nuovo obiettivo, conosce persone, dialoga, si confronta, poi di nuovo il contatto con il suo mondo. Un finale a sorpresa.
L’autrice lentamente riesce a immergere il lettore nelle realtà descritte, mai con aggressività o scene particolarmente d’effetto, ma sempre con il suo stile lucido e delicato; nonostante lo scenario bellico, non ci sono osservazioni ideologiche o interpretazioni politiche, ma, attraverso la sua scrittura scorrevole e piacevole, ci presenta una storia intensa, piena di messaggi attuali, soggetta a varie interpretazioni, ricca di spunti di riflessioni profonde sull’esistenza e sulla vita, una storia che mette sempre tutto in discussione.