Ho fatto la spia
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Recensione della Redazione QLibri
Una Justine contemporanea
Joyce Carol Oates è una scrittrice di spicco nel panorama letterario americano, sia per la sua prolificità ma anche per la qualità della sua prosa. Questo romanzo è il secondo che leggo, dopo "Scomparsa" che mi era piaciuto molto, e le mie alte aspettative non sono state deluse. Caso vuole, sfortunatamente, che la sua uscita in Italia coincida con un periodo di intense proteste in America dovute all'uccisione di George Floyd e quindi la lettura di questo libro è stata ancor più sentita per quanto mi riguarda.
Cosi come in "Scomparsa", anche qui la protagonista è una ragazzina, Violet Rue, che rappresenta anche la voce narrante e che per buona parte del libro è quasi una Justine di De Sade. Una vittima della società, della sua famiglia, dell'ambiente che frequenta e infine del suo amante. Tutte le volte che sembra essere "al sicuro", il malvagio è dietro la porta. Allontanata dalla sua famiglia all'età di dodici anni, intraprende un percorso di sofferenze ma anche di crescita e quindi di nuove consapevolezze. Il romanzo è suddiviso in tre parti: nella prima viene descritta la situazione scatenante, la "deflagrazione della bomba", nella seconda le macerie e infine, nella terza, si cerca una ricostruzione di ciò che è rimasto.
Dopo un bellissimo incipit che presagisce il dramma, e che verrà poi ripreso nel finale con una struttura quindi circolare, Oates riesce a delineare perfettamente una società, una famiglia e infine un individuo. I temi trattati sono molti ma nonostante ciò non si ha mai l'impressione di "troppa carne sulla brace" perché si concatenano con armonia, come se fossero un "causa-effetto". La moglie sottomessa al marito, tradita e trascurata vista quasi come se fosse solo una fabbrica di figli nonché la serva della casa; la rigida educazione cattolica ma anche la sua ipocrisia che inevitabilmente spicca fuori; i pregiudizi dei bianchi verso le persone di colore o dei bianchi più ricchi di loro, per contro, i pregiudizi delle persone di colore dei confronti dei bianchi; gli abusi sessuali, l'amore che inizia a trasformarsi in odio, il disgusto e l'indifferenza verso la propria persona, l'autopunizione, il razzismo, l'utilità e i modi riformativi delle carceri; ma, nonostante tutto e tutti, il forte richiamo delle proprie radici.
I personaggi sono tutti ben delineati e dal carattere forte e determinato, come per esempio il padre di Violet, e se possiamo leggere soltanto la voce introspettiva di lei, attraverso i suoi occhi riusciamo a distinguere bene e a capire anche i personaggi circostanti. Con uno stile di scrittura fluido e accurato, carico di flash-black e di momenti di riflessione si rivela essere un romanzo corposo ma anche movimentato, con un colpo di scena finale che, se da un lato è inaspettato, dall'altro è un confronto atteso e temuto per l'intero romanzo.
Concludo con qualche frammento che mi è particolarmente piaciuto:
"Loro erano cattolici, i matrimoni duravano anche quando l'amore si consumava, si sfilacciava come un tessuto lavato mille volte dal quale le macchie non vanno più via. Finché morte non ci separi - cazzate come tutto ciò che riguarda la Chiesa eppure, lui e Lula stavano insieme. Ciò che li aveva tenuti insieme è stato il perdono di Lula. E ciò che permetteva a lei di perdonare era l'amore. Il punto debole della donna, l'amore a prescindere. L'amore senza dubbi. L'amore come ossigeno che aspireresti anche da una cannuccia sporca e rotta, per il quale ti metteresti in ginocchio nel fango, qualsiasi cosa pur di sopravvivere perché senza di lui non puoi vivere."
"Come sono silenziose le persone maltrattate. L'intimità del silenzio ti è naturale. Tu sai quanto possono essere aspre e abrasive le parole, per chi è ferito. Meglio restare in silenzio finché non verranno le parole giuste."
"Caldo precoce di maggio, un sole biancastro cade diritto sul mio viso, non ho ancora messo tende, veneziane. Fuori dalla finestra c'è un balcone, una ringhiera che proietta sbarre d'ombra contro i vetri, sul letto, sulla mia faccia mentre sono distesa a letto svegliata dal buffo cagnolino che vuole soltanto baciarmi."
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Violet
«Tra i nostri genitori c’erano tante cose che restavano non dette. Adesso che sono più grande ho capito che il loro rapporto era simile al fitto groviglio di radici di un albero, sotterraneo e nascosto.»
Violet Rue Kerrigan ha soltanto dodici anni quando le vicende hanno inizio. Ultima della prole di una famiglia proletaria di origini irlandesi che vive a South Niagara, una piccola e tranquilla cittadina dello stato di New York, ella è la preferita del padre Jerome che la coccola e la protegge contrariamente alla sua indole dura e rigida. Un fatto inaspettato coinvolge i Kerrigan. I due fratelli Jerome Jr. e Lionel investono ubriachi un afroamericano e dopo averlo colpito ripetutamente con una mazza da baseball lo abbandonano al suo destino. La decisione è univoca: tutti devono tacere. Perfino il parroco è d’accordo nel portare avanti questa linea e nel non rivelare del misfatto. Tuttavia, la giovane, è afflitta da sensi di colpa, si interroga, si chiede cosa sia giusto e cosa no, si interroga anche su quei dogmi religiosi che sembrano tanto dei pilastri nei luoghi da lei conosciuti ma che, al contrario, si dimostrano essere fallaci in relazione a una situazione esterna che tocca da vicino e che secondo gli insegnamenti richiederebbe di parlare e di affrontare il quanto compiuto. La via prediletta è la strada dell’oblio, del celare, del nascondere. La rivelazione inaspettata e involontaria la porta all’esilio: mentre per i due fratelli il suo parlare si traduce in una incriminazione con tanto di arresto, per tutti i suoi cari si traduce in un tradimento imperdonabile. Relegata in casa della zia vivrà una adolescenza a base di bullismo, abusi e sensi di colpa e una età adulta altrettanto dolorosa e fragile. Perché ogni volta che penserà di aver trovato il suo porto sicuro si renderà conto che in verità tutte le sue certezze e sicurezze sono appese a un filo pronto a crollare al minimo scossone.
«Una dolorosa verità della vita di famiglia: le emozioni più dolci possono cambiare in un istante. Tu credi che i tuoi genitori ti amino, ma è te che amano o il figlio che è loro?»
E quel qualcosa crollerà, si sgretolerà e allora cosa resterà se non un tentativo di ricostruzione, un tentativo per ricominciare e andare avanti quando tutto quel che avevamo non esiste più?
Joyce Carol Oates destina il suo lettore di un romanzo capace di invitare alla riflessione su molteplici aspetti e che rivolge il suo sguardo su una prospettiva aperta e completa su ogni fronte. Il suo è un perfetto ritratto della società, un quadro all’interno del quale emerge il pregiudizio di razza da bianchi verso persone di colore e da persone di colore verso bianchi, il pregiudizio verso il gentil sesso, abusi e violenze sia sessuali che morali e fisiche, l’indifferenza, l’auto-colpevolezza, l’apparenza, la facciata e molto altro ancora.
Un elaborato forte, introspettivo, riflessivo, un titolo che non delude gli appetiti di chi cerca un elaborato di sostanza con una storia fluida e uno stile narrativo rapido e diretto.