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Gli ultimi della steppa Gli ultimi della steppa

Gli ultimi della steppa

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Quando Michail Aleksandrovič riceve dalla Mongolia i resti di un cavallo selvatico, ne rimane folgorato: il teschio che tiene tra le mani corrisponde a quello di un esemplare considerato estinto da lunghissimo tempo, tanto che il giovane zoologo di San Pietroburgo comincia subito a sognare una spedizione negli altipiani a oriente, alla ricerca della specie che affonda le sue radici in tempi remoti, forse la più antica esistente, di cui i nomadi non hanno mai smesso di raccontare. Un’impresa apparentemente impossibile, che l’incontro con un esploratore entusiasta renderà d’un tratto concreta. Poco più di cento anni dopo, Karin lascia Berlino insieme al figlio e si avventura nella riserva di Hustajn per realizzare il più grande piano di salvaguardia naturale di tutti i tempi: grazie a lei, quegli stessi cavalli un tempo liberi e selvaggi, con i quali sin da bambina condivide un legame profondo, stanno per tornare alle vaste steppe delle origini. Ce la faranno a sopravvivere? E che ne sarà di quelli rimasti nei parchi faunistici di un continente sconvolto dai cambiamenti climatici, da carestie e alluvioni, di cui Eva, in un futuro molto vicino, si prende cura nella sua fattoria? Sono loro, i cavalli di Przewalski, quelli dei miti e delle pitture rupestri, l’affascinante filo narrativo che unisce le vicende di tre secoli: dalla Russia del tempo degli zar, attraverso la Germania di ieri e di oggi, fino al Nord di un’Europa che si sta dissolvendo, Maja Lunde racconta di tre famiglie – tre madri e i loro figli – unite dalla passione per la stessa specie e dalla lotta per impedirne l’estinzione.



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Gli ultimi della steppa 2021-06-08 13:43:38 C.U.B.
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C.U.B. Opinione inserita da C.U.B.    08 Giugno, 2021
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Faber est suae quisque fortunae

Eva, Norvegia, 2064
Una donna e la figlia adolescente, una fattoria decadente, la gente in fuga alla ricerca della salvezza in un mondo ormai sfiatato. Annegato di piogge ininterrotte, bruciato di infinite siccità, brutalizzato dalla brutalità dell’uomo. La fame e la sete, il timore di ferirsi o ammalarsi che non esistono ormai più cibo, acqua, farmaci.
Resilienza, per te e per lei. Pietà, verso una creatura sola e sperduta. Speranza: il travaglio di un neonato nel pianeta sbagliato. Due cavalli, forse gli ultimi due rimasti sulla Terra, un gesto di umanità e il cerchio si chiude.

Racconto del mio viaggio in Mongolia, 1882
Sua madre lo avrebbe voluto vedere maritato a una bella ragazza, i nipotini a rincorrersi tra le sottane. Lui sceglie la solitudine, l’avventura, una lunga spedizione in Mongolia alla ricerca di una razza di cavalli che si riteneva estinta. Non siamo padroni di quello che proviamo, siamo padroni di quello che facciamo.

Karin, Mongolia, 1992
A cinquantasei anni rischia tutto. Denaro, lavoro, casa. Un ambizioso progetto per reintrodurre una specie nel suo habitat. Quel suo ragazzo bello e dannato, le notti nei palazzi fatiscenti di Berlino alla ricerca di un figlio cullato da una maledetta siringa di eroina. Una veterinaria, la sua missione è negli orizzonti infiniti delle steppe asiatiche.

Il cavallo di Przewalski è un esemplare selvatico originario della Mongolia, che sfiorò l’estinzione a causa della caccia. Alcuni animali vennero tuttavia avvistati alla fine dell’Ottocento e, dopo la cattura, trasferiti nei giardini zoologici europei con l’intento di ripopolare la specie. Nel 1992 un branco di 16 elementi venne finalmente reintrodotto in Mongolia, oggi ne conta più di 2000, in parte allo stato brado.

Una bella storia vera è la fonte di ispirazione di questo romanzo di Maja Lunde, che alterna tre diversi livelli temporali: il passato più remoto, il passato più recente e il futuro. Il presente spetta al lettore, che coinvolto dallo stimolo ecologista onnipresente nella narrativa di Lunde, assiste al teatro dell’uomo che prima distrugge e poi si danna per ricreare.
Romanzo scorrevole, una volta entrati nella storia diviene avvolgente fino alla commozione.

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