Narrativa straniera Romanzi Gli affamati e i sazi
 

Gli affamati e i sazi Gli affamati e i sazi

Gli affamati e i sazi

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In un futuro non troppo lontano, in Germania è finita l'era di Angela Merkel e il nuovo governo ha messo in atto una serie di provvedimenti per bloccare l'immigrazione: insieme agli altri paesi europei paga gli stati del Nord Africa perché tengano sotto stretta sorveglianza i loro confini e non permettano a nessuno di passare. Oltre il Sahara si stanno costruendo enormi campi dove milioni di rifugiati aspettano, così a lungo che si potrebbe andare a piedi se non fosse una condanna a morte certa. Quando la star della tv tedesca Nadeche Hackenbusch fa visita al più grande di questi campi, il giovane Lionel capisce di avere un'opportunità unica: con centocinquantamila rifugiati usa l'attenzione del pubblico televisivo e inizia a marciare verso l'Europa. La bella presentatrice e i migranti diventano campioni di ascolti. E mentre l'emittente televisiva gioisce per la cronaca dal vivo, i record di telespettatori e le entrate milionarie della pubblicità, la politica tedesca volge lo sguardo altrove, minimizza e aspetta. Ma più il corteo si avvicina, più il ministro dell'interno Leubl deve impegnarsi. E tanto più urgente diventa per lui e per il popolo tedesco decidere cosa fare: accoglierli o fermarli?



Recensione della Redazione QLibri

 
Gli affamati e i sazi 2019-09-09 15:33:30 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    09 Settembre, 2019
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Un grande romanzo di attualità

«L’Europa ha pensato di fare una cosa simile con i migranti. Quando la gente saliva sui barconi, l’Europa ha cercato di chiudere il Mediterraneo E quando l’Europa si è accorta che non è possibile chiudere un mare intero e sorvegliare una costa tortuosa lunga migliaia di chilometri, allora ha spostato di nuovo il confine sulla terraferma, questa volta però in Africa. Ha pagato l’Egitto, l’Algeria, la Tunisia, il Marocco e un po’ anche i libici, ma un po’ di meno, ovvio. Perché a tutt’oggi nessuno saprebbe a chi darli i soldi, in Libia. Ma agli europei non è bastato. Anche perché i nordafricani hanno imparato la lezione e si sono messi a riflettere ad alta voce su cosa sarebbe successo se non avessero sorvegliato con attenzione quei confini. Lo hanno imparato dai turchi: grazie a loro hanno visto quanto rispetto e attenzione si riceve a far leva sui migranti. Così gli europei hanno messo mano ad altri fondi e tirato la linea successiva a sud del Sahara. Proprio per questo il sogno di Mahmoud di avere un passatore di prima classe non è più divertente. Perché nel frattempo ci sono soltanto passatori di prima classe.»

Siamo in un futuro non troppo lontano, l’era di Angela Merkel è giunta al suo epilogo, lo scenario che si apre innanzi ai nostri occhi è quello di una Europa chiusa e refrattaria ad ogni forma di accoglienza in cui il sistema degli sbarchi clandestini è stato debellato creando una sorta di frontiera invalicabile già nei paesi del nord-africa: pagando questi ultimi ogni forma di immigrazione è sorvegliata a vista in quanto per poter approdare in un paese europeo è necessario disporre di un passatore di prima classe, di disponibilità economiche non indifferenti e attendere, attendere il proprio turno, attendere di aver ricevuto una sorta di autorizzazione dallo stato ospitante che, come in primis la Germania, ha adottato una soglia massima di richiedenti asilo. Si sono così venuti a creare dei veri e propri lager di milioni di persone che semplicemente aspettano. Aspettano talmente tanto che sarebbero disposte perfino ad attraversare il deserto del Sahara a piedi pur di cambiare la loro condizione.
Nel frattempo, la presentatrice tedesca Nadeche Hackenbusch, nota per le sue partecipazioni a diversi reality show che non ne hanno certamente rivalutato la fama e rivalutata dal pubblico del piccolo schermo per aver portato alla ribalta diverse trasmissioni televisive tedesche grazie al suo impegno sociale, di modeste origini (non ce lo dimentichiamo, eh), dedita all’uso preventivo di botulino, ambiziosa e alla ricerca della vera notorietà, viene ingaggiata per recarsi personalmente in uno dei lager più grandi dove dovrà fare una serie di servizi atti a mostrare al pubblico europeo quel che si nasconde e cela dietro la facciata.

«Naturalmente non promette niente. Conclude la visita all’emittente con disinvoltura, come è nota fare. Ma quando è un’altra volta seduta nella sua limousine e detta alla nuova un capoverso della sua filosofia di vita, è ancora distratta anche se questo non è da lei. Si arrabbia quasi e tuttavia i suoi pensieri tornano sempre al trailer come lo avesse già finito di girare. La voce ferma e lei che dice: “Ospite stasera di Nadeche Hackenbusch: sua santità”.»

L’angelo della televisione, Malaika (come si dice in swahili) che aiuta i poveri, è giunta nei lager. In poche ore la voce si è sparsa, Lionel sa che lei è l’unica occasione per andarsene e spalleggiato da 150mila migranti e dal pubblico televisivo che li sta seguendo si mette in marcia verso l’Europa. Gli ascolti raggiungono le stelle, la pubblicità assicura milioni di entrate, il successo per l’emittente è assicurato. Ma la politica? Cosa fa in tutto questo la politica tedesca? Si muove? Valuta il problema? Riflette sul da farsi? No. La politica tedesca semplicemente si volta e attende. Un’attesa calma, placida, silente che vedrà il ministro dell’interno Leubl obbligato ad una scelta soltanto quando il corteo si sarà talmente avvicinato da costituire un vero problema. Cosa fare? Accogliergli o respingerli?
Ancora una volta, seppur a distanza di sei anni da “Lui è tornato”, Timur Vermes torna ad osservarci da vicino e questa volta si concentra sul tema dell’immigrazione nonché sulle pieghe che la nostra società contemporanea ha preso. La soluzione che viene proposta a questa grande e attuale problematica, che si sostanzia in somme di denaro devolute ai paesi africani affinché questi attuino un vero e proprio ferreo controllo a quelli che sono i flussi sino alla creazione di veri e propri campi di concentramento in piena regola, può da un lato risultare una soluzione assurda, dall’altro suscitare i favori di chi non è favorevole ad accogliere queste persone che sanno benissimo cosa lasciano ma non sanno cosa si troveranno davanti. Dittature, genocidi, povertà, guerre, discriminazioni razziali, soprusi, sfruttamenti di ogni genere sono soltanto alcune delle motivazioni alla base del loro spostamento. Vermes ci obbliga a soffermarci sul tema, ci obbliga ad interrogarci. Il lettore viene conquistato sin dalle prime pagine dall’universo che è stato costruito, divora il componimento eppure, una volta giunto alla sua conclusione, non lo mette via, questo continua ad esistere nella sua mente e continua a ripresentarsi suscitando ogni volta diverse riflessioni. Perché il tema dell’immigrazione è un qualcosa di attuale ma anche perché è un qualcosa di irrisolto e a cui una versa soluzione non c’è perché tante sono le ragioni insite alla base, le motivazioni che ne giustificano l’esistenza, le circostanze che lo rendono possibile. È un macro-problema, complesso e stratificato che qui viene analizzato con una doppia prospettiva, quella tedesca quale rappresentante dei popoli europei, quella dei lager nord-africani, quali rappresentanti dei flussi migratori.
Timur Vermes estende fino ai massimi livelli le circostanze narrate, non teme di destare gli animi, non teme di far storcere i nasi e proprio per questo arriva. Arriva grazie alla sua scrittura scevra, al suo stile limpido e accessibile a tutti, il suo stile ironico e acuto, alla sua attenzione costante verso quello che è il mondo che ci circonda in tutte le sue sfumature e drammaticità, grazie ad un epilogo che lascia un deciso retrogusto amaro.
Un libro per tutti e di tutti, un libro di quelli che vanno letti poco alla volta, gustati e fatti propri. Per riflettere, per guardare alla tematica da una prospettiva diversa.

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