Gli addii
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L'inutilità dei pregiudizi
“Avrei voluto non avere visto dell’uomo, la prima volta che entrò nel negozio, nient’altro che le mani: lente, intimidite e goffe...Mi sarebbero bastati quei movimenti...per capire che non si sarebbe curato, che non aveva nessuna idea da cui trarre la volontà di curarsi”.
Da queste descrizioni secche, incisive e lapidarie che si trovano a pagina 1 e 2 di questo breve romanzo, Onetti ci fa intuire quello che sarà il finale di una storia probabilmente non a lieto fine. Siamo in Sudamerica, il protagonista è un ex giocatore di basket ammalato di tubercolosi che si reca in una località di villeggiatura dove è presente un sanatorio con l’intenzione di farsi curare. Ma quello che preme a Onetti non è tanto “il cosa” raccontare bensì “il come”, e lo fa avvalendosi di un espediente nel quale il narratore in terza persona è il proprietario dell’emporio cittadino, crocevia di turisti ed abitanti del luogo in cui è inevitabile mettere piede. Il racconto diventa così un meccanismo stratificato a più voci di tanti testimoni (dall’infermiere, alla cameriera dell’hotel dove l’uomo ha scelto di dimorare, all'agente immobiliare etc) che osservano e riferiscono al narratore le proprie impressioni sul protagonista.
Prende progressivamente forma una storia in cui accanto al malato, uomo schivo e solitario “...con il suo vestito grigio di città, il cappello calato sulla nuca” si affiancano due donne, l’una matura con figlio a carico e l’altra giovane, come se si trattasse di una contesa, di una scelta finale a carico del protagonista. Da questi scorci, dal voyeurismo dei tanti curiosi, dalle insinuazioni e dai pregiudizi della gente, ecco che si definisce un puzzle frammentato nel quale è il narratore a tirare le fila. Fino alla conclusione che nel richiamare il titolo del romanzo sembra voler ricordare, in primis ai lettori, quanto sia facile, oltre che dannoso e crudele, ricostruire le vite altrui dalla semplice osservazione dei fatti, da un'etichettatura talvolta avvelenata che in conclusione si rivela fallace.
Indicazioni utili
L'oggettività impossibile
La vita di un uomo malato viene esaminata dagli occhi curiosi dell'io narrante. In una piccola comunità con un sanatorio, la maggior parte dei nuovi arrivati viene per le cure mediche. L'io narrante, curioso, si diverte a rovistare nelle vite di questi sconosciuti e a fare pronostici sull'epilogo. Trova pane per i suoi denti all'arrivo del protagonista, un ex campione di basket con abitudini insolite e dispendiose, apparentemente con una doppia vita. Due vite, una vita o nessuna? Dall'eccesso alla solitudine più profonda. Dalla solitudine alla simulazione dell'eccesso. Data l'impossibilità di arrivare a una descrizione oggettiva di una vita umana, data l'ineliminabilità del dato soggettivo e la sua assoluta preponderanza, ne deriva il desiderio di simulare in qualche modo conscio o inconscio quello che non si è mai vissuto, simulare senza per questo fingere. Intensità, benessere, affetti, pienezza di vita. Invece ogni vita nasconde soprattutto i suoi vuoti dentro la bolla d'aria dei miraggi che riesce a evocare.